Il nuovo museo dell’Acropoli: un manifesto politico architettonico

Sulle impalcature di Fidia

dal numero di ottobre 2015

di Guido Montanari

Negli ultimi decenni sono stati realizzati da grandi architetti di fama internazionale numerosi nuovi musei in giro per il mondo. Molte di queste opere sono state occasione di riqualificazione di aree depresse, o di rilancio di città in crisi come è stato per i casi di Bilbao, Barcellona, Valencia, ma anche di Roma, Berlino, Los Angeles e della stessa Parigi. Per la maggior parte si tratta di musei destinati alle arti contemporanee, adatti ad accrescere la fama dei loro autori e alla spettacolarizzazione delle loro raccolte, come strumenti di migliori posizionamenti nel market urbano internazionale. Tuttavia se costruire un nuovo museo per l’arte contemporanea si presta bene ad assecondare il capriccio dell’architetto di grido e la visibilità del politico di turno, diverso è progettare un contenitore adatto a ospitare una collezione storica o archeologica. Operazione complessa che rischia l’autoreferenzialità del progetto e la messa in crisi delle stesse finalità di fruizione e di studio del museo, come avvenuto, per esempio, nel caso del Musée d’Orsay di Gae Aulenti, a Parigi.

Museo dell'Acropoli di Atene

Realizzare un museo archeologico in un contesto straordinario come quello dell’Acropoli di Atene, con il proposito di raccogliere le collezioni più significative al mondo, fondanti l’intera civiltà artistica occidentale, è evidentemente operazione delicata e complessa. Gli architetti Bernard Tschumi e Michael Photiadis con il museo dell’Acropoli di Atene hanno forse vinto una sfida che non è solo culturale, ma anche fortemente politica. La vicenda del nuovo museo inizia nella seconda metà dell’Ottocento, quando l’interesse per lo studio e la divulgazione degli scavi dell’Acropoli pone la necessità della costruzione di un edificio adatto per raccogliere i ritrovamenti. All’avvio della campagna di scavi dell’area viene realizzata una prima costruzione (1863-1874), che si rivela presto insufficiente. A inizio Novecento un secondo museo non riesce ancora a risolvere i problemi di gestione della crescente quantità di reperti e di visitatori, problemi che si protraggono per tutto il secondo dopoguerra, nonostante ­l’ampliamento del 1964.

Nel 1976 l’allora primo ministro Konstantinos Karamanlis delinea un programma e individua un sito per il nuovo museo, già pensando a una riunificazione delle sculture del Partenone, in gran parte conservate presso il British Museum di Londra, a seguito della depredazione compiuta da Lord Elgin, e per qualche frammento presso altri musei. Tuttavia i concorsi nazionali avviati nel 1976 e nel 1979 non hanno successo. Nel 1989 il ministro socialista della cultura, Melina Mercouri, legherà il progetto del nuovo museo alla richiesta del ritorno in patria dei marmi di Lord Elgin. Perorata la causa, con molto rilievo mediatico, nelle più alte sedi culturali e politiche internazionali, il ministro avvia la competizione internazionale di architettura, che però è annullata a seguito della scoperta del grande insediamento urbano del Makryianni, risalente dal periodo arcaico fino al primo periodo cristiano. Il comitato per la costruzione del museo lancia una nuova gara, secondo le direttive dell’Unione europea, con l’obiettivo di integrare le nuove scoperte archeologiche. Dal concorso, cui partecipano architetti di fama internazionale, tra cui Daniel Libeskind e Arata Isozaki, scaturirà finalmente nel 2001 il progetto vincitore, inaugurato nel 2009.

Museo dell'Acropoli di Atene

Il progettista, pur senza avere precedenti esperienze nel campo della progettazione di musei, è noto nell’ambito della corrente decostruttivista che, giunta alla ribalta con la mostra al MoMa di New York del 1988, vede nell’architettura la possibilità di esprimere le incertezze e le aporie di una società in crisi, senza più eroi né grandi racconti. Accompagnato nella sua ricerca dal confronto con il filosofo Jacques Derrida, l’architetto svizzero è assurto a notorietà internazionale con il progetto del Parc de la Villette a Parigi (1982), dove ha proposto una sovrapposizione di griglie funzionali e paesaggistiche sui cui nodi sono disposti edifici di servizio cubici, in metallo dipinto di rosso, variamente decostruiti.

Il nuovo museo dell’Acropoli è costituito da semplici volumi stereometrici rifiniti in cemento a vista, vetro e acciaio, dislocato su tre livelli che poggiano su cento colonne in calcestruzzo armato antisismiche, disposte in modo da non interferire con i ritrovamenti archeologici; ha una superficie di circa 25.000 metri quadri, di cui più di 14.000 destinati all’esposizione, dieci volte lo spazio del vecchio museo.

L’ampia sala destinata alla raccolta delle sculture d’epoca arcaica suggerisce un inedito dialogo tra le opere e le colonne in calcestruzzo armato a vista, che si propongono come uno sfondo neutro, ma anche evocativo delle proporzioni e delle spazialità del tempio. Meno riuscita la collocazione delle Cariatidi dell’Eretteo, illuminate artificialmente e poste su un soppalco che non ne rispetta la percezione originaria. Straordinario invece il piano destinato ai marmi del Partenone dove è possibile seguire l’intero svolgersi della narrazione di Fidia (V sec. a.C.) sui due registri: quello del fregio interno, originariamente posto dietro le colonne che circondavano il tempio e quello delle metope che scandivano la parte superiore degli architravi, all’esterno. La visita permette di trovarsi al cospetto delle opere come se si fosse sulle impalcature, al tempo della loro realizzazione, al seguito del maestro e dei suoi committenti, come immaginato nel famoso dipinto di Lawrence Alma-Tadema (1868) al Museums and Art Gallery di Birmingham. Tuttavia il confronto tra i freddi calchi in gesso delle parti non originali e i materiali storici impone una riflessione sul destino delle parti mancanti, strappate dalla loro collocazione originaria e la cui restituzione alla Grecia non è ancora stata onorata dai governi britannici. Al livello inferiore si trovano gli scavi, attualmente non visitabili, ma visibili dalle grandi aperture e dalle vetrate del piano terra; dove si trova l’atrio principale con le biglietterie, spazi per mostre temporanee, un auditorium e servizi per i visitatori. Una rampa vetrata, che consente di percepire gli scavi sottostanti, conduce con un percorso in salita, che riecheggia la salita all’Acropoli, alle gallerie espositive del volume centrale, uno spazio a doppia altezza, destinato ai ritrovamenti d’epoca arcaica. Al piano superiore si trova un volume parallelepipedo completamente vetrato e traslato di ventitré gradi rispetto all’edificio sottostante, con lo stesso orientamento del vicino Partenone, studiato per accogliere, su apposite strutture, il doppio registro dei marmi del Partenone, nonché le sculture superstiti dei due frontoni. Questa galleria si affaccia su un’ampia terrazza con bar e ristorante, da cui si gode lo strepitoso paesaggio dell’Acropoli e della città.

Il museo, la cui realizzazione è durata più del previsto (avrebbe dovuto aprire in occasione delle Olimpiadi del 2004) ha suscitato pareri contrastanti, con critiche riguardanti soprattutto l’impatto nel contesto. Certamente l’edificio è notevole per dimensioni e per materiali moderni, ma la sua massa non modifica il paesaggio, anzi si accosta alle preesistenze di fine Ottocento, primi del Novecento, tra Acropoli e città, senza stravolgerle. In ogni caso qualsiasi critica non può prescindere dal significato politico e morale di quest’opera che, nel rispetto dei capolavori conservati, continua a esprimere la muta richiesta del ritorno dei tesori della cultura occidentale nella loro patria, nella culla della democrazia e della civiltà. Richiesta che sembra ora echeggiare altre richieste meno silenziose di un popolo che, appunto in nome della democrazia moderna, ha avuto il coraggio di ribellarsi alle scelte ingiuste di un governo europeo guidato da burocrati e gruppi finanziari. In quasi tutti gli spazi del museo la luce naturale si rivela elemento dominante della percezione delle opere: sia al primo livello, dove entra da lucernari schermati, sia nella galleria dei marmi del Partenone dove vetri speciali garantiscono alla mitizzata luce del cielo attico di lambire le opere esposte. L’allestimento vive del raro equilibrio tra parti moderne e capolavori dell’antichità.

guido.montanari@fastwebnet

G Montanari insegna storia dell’architettura contemporanea al Politecnico di Torino