In ricordo di Donato Sartori

Più che maschere: sculture in cuoio

di Francesca Romana Rietti

Il 23 aprile del 2016, con un colpo di pistola, lo scultore e mascheraio Donato Sartori si è tolto la vita nella sua casa di Abano. Era all’ultimo stadio di una malattia terminale.

Donato Sartori era un figlio d’arte. Nato nel 1939, era cresciuto nella bottega padovana del padre Amleto, un poeta, scultore e costruttore-studioso di maschere, protagonista, nell’immediato dopoguerra, della riscoperta delle antiche e scomparse tecniche di costruzione di quelle in cuoio della Commedia dell’Arte. Nel 1952, realizzò la prima maschera in cuoio per l’Arlecchino servitore di due padroni di Strehler (prima Moretti si dipingeva la maschera sul viso con il nerofumo). Fu l’inizio di una lunga collaborazione con il Piccolo di Milano. Le ricerche intorno alla Commedia dell’Arte portarono Amleto anche a un sodalizio artistico con il mimo Jacques Lecoq, come lui docente e collaboratore del teatro dell’università di Padova, diretto da Gianfranco De Bosio. Il legame con Lecoq continuerà anche nella sua scuola di Parigi, città nella quale Amleto lavorò con Jean-Louis Barrault e conobbe la fama internazionale.

Quando Amleto morì, nel 1962, Donato ricevette un patrimonio straordinario di tecniche e saperi. Anche un grave testimone. Seppe usare e tramandare la sua eredità, ma anche orientare la sua ricerca in direzioni nuove e diverse. Furono importanti per questo soprattutto i contatti con Parigi, dove frequentò l’ambiente dell’École des Beaux-Arts e conobbe lo scultore César.

Una nuova idea di maschera

Donato maturò una nuova idea di maschera che, oltre alla dimensione teatrale, tenesse conto di aspetti antropologici e rituali e soprattutto delle istanze politico-sociali della turbolenta realtà dell’Italia post-sessantottina. Così dalla metà degli anni settanta, alla creazione delle maschere del viso in cuoio per artisti e gruppi teatrali – tra i molti, il Piccolo di Milano, l’Odin Teatret, la scuola di Lecoq, Edoardo De Filippo, Dario Fo – affiancò quella delle «strutture gestuali». Sono sculture in cuoio che raffigurano frammenti straziati e contorti del corpo umano, denunce di una società ferita. Nel 1979, insieme alla moglie Paola Pizzi, architetto, e allo scenografo Paolo Trombetta, fondò a Padova il Centro maschere e strutture gestuali, dove sperimentò i «mascheramenti urbani», presentati per la prima volta a Piazza San Marco nel 1980, quando Donato fu chiamato a partecipare alla Biennale-Teatro di Venezia. Da allora, realizzò mascheramenti urbani in tutte le città del mondo.Museo-Della-Maschera-Abano-Terme-

Nei suoi viaggi, di studio e di scambio, raccolse reperti originali etno-antropologici e maschere provenienti da ogni angolo del pianeta. Il valore di questo patrimonio artistico e culturale unito a quello costituito dalle maschere e dalle sculture realizzate dai Sartori nell’arco di mezzo secolo, è stato riconosciuto dal comune di Abano Terme che ha destinato alla sua conservazione la Villa Trevisan Savioli. Qui, nel 2005, è stato inaugurato il Museo internazionale della maschera Amleto e Donato Sartori (http://www.sartorimaskmuseum.it/).

F R Rietti insegna spettacoli del XX secolo all’Università di Roma Tre