Clemente Marsicola (a cura di) – Il viaggio in Italia di Giovanni Gargiolli

Patrimonio di uomini, paesaggi e rovine

                                                                                                                         recensione di Marina Miraglia

dal numero di giugno 2015

Clemente Marsicola (a cura di)
IL VIAGGIO IN ITALIA DI GIOVANNI GARGIOLI
pp. 342, € 40,
Iccd, Roma 2014

9788890507243Il catalogo ripercorre i primi anni di vita del Gabinetto fotografico nazionale (Gfn) all’epoca della direzione del suo fondatore, Giovanni Gargiolli (1839-1913), illustre protagonista, anche se poco noto ai non addetti ai lavori, della vicenda fotografica a cavallo fra XIX e XX secolo, di cui l’attuale Iccd (Istituto centrale per il catalogo e la documentazione), con la nascita del Ministero dei beni culturali (1975), ha ereditato parte dei propri compiti, nonché il più precoce nucleo costitutivo del proprio ricchissimo accumulo storico di immagini.
La visione dell’Italia che Gargiolli ha costruito nelle campagne condotte sulla base di strategie, personalmente elaborate, ma anche su richiesta degli storici dell’arte più insigni dell’epoca (Giovanni Cavalcaselle, Adolfo Venturi e Pietro Toesca), ci parla essenzialmente del nostro patrimonio culturale, non solo quello storico artistico, ma anche quello ambientale e paesaggistico e, giustamente, le molteplici problematiche messe in campo dalla pluralità dei soggetti fotografati, hanno fatto ritenere opportuna la scansione interna delle immagini in tre diverse sezioni tematiche, legate alla documentazione artistica, al paesaggio e all’approccio stilistico adottato dal fotografo; fanno da corona ai saggi che accompagnano le tre sezioni una serie di scritti che mettono a fuoco la complessità del lavoro svolto (catalogazione, restauro, ­ricerca), e fra questi quello di Anna Perugini che, con lo studio delle carte d’archivio, ha consentito di stabilire una cronologia interna ai quasi vent’anni di attività di Gargiolli.

L’occasione espositiva, legata al centenario della morte del fondatore, viene immediatamente negata nel suo carattere episodico per configurarsi piuttosto (continuando una traiettoria già da tempo definita dall’attuale direzione) come iniziativa istituzionalmente forte, ossia come resoconto di un impegno quotidiano di ricerca e di approfondimento dei numerosi fondi che costituiscono l’enorme patrimonio di immagini che sono il vanto dell’Istituto; un intento esaltato dalla scelta degli studiosi (autori dei vari contributi) quasi tutti interni all’Iccd, dall’intreccio continuo fra letture attuali e rinvio alle fonti archivistiche, dell’ex Gfn e dell’Archivio centrale dello stato, nonché dal paragone fra le fotografie prodotte da Gargiolli e quelle di altri autori a lui contemporanei, specie se operanti all’interno di ditte fotografiche attive già dagli anni cinquanta dell’Ottocento.
A determinare la qualità del compito assunto, un ruolo centrale riveste certamente l’adozione di particolari coordinate teoriche di approccio e di lettura, principalmente quelle che (perfettamente coerenti agli sviluppi attuali del postmoderno e dell’arte postmoderna in particolare) attribuiscono all’archivio, alle sue serie, alle sottoserie e ai “fondi”, ossia ai suoi diversi strati di aggregazione, la connotazione portante di dispositivo teorico, che consente di definirlo come ambito di conoscenza e di sapere in ordine ai discorsi che ne possono scaturire, in considerazione dello slittamento sempre diverso dei significati, passati o più recenti, che non escludono, anzi reclamano, di accedere anche all’individuazione delle primitive impronte, vale a dire ai significati sociali e agli usi perseguiti all’epoca della realizzazione delle immagini. Questa tensione ermeneutica, felicemente ripresa dall’esegesi degli ultimi anni e cui lo studio qui recensito offre un ulteriore contributo di approfondimento, ha costituito, a partire da Umberto Eco, Roland Barthes e Rosalind Krauss, uno dei fulcri portanti del pensiero ­contemporaneo.

Eco infatti, riflettendo sull’importanza della lettura testuale dell’oggetto estetico, ha dischiuso spunti inediti di riflessione sulla figura dello spectator e sulla centralità del suo sguardo interpretativo per valutare e riattualizzare tutte le espressioni estetiche di un passato più o meno remoto; Barthes e Krauss hanno ulteriormente affrontato, con particolare riferimento alla fotografia, le problematiche legate alle capacità individuali di lettura dello spectator, creando i presupposti di quelle letture incrociate e di carattere interdisciplinare che formano nel loro insieme il tratto più interessante del catalogo. E ciò accade nella misura in cui la teoria viene calata nella pratica, senza però che la pratica dimentichi la sua matrice teorica, in un sostanziale rinvio allo straordinario spessore rappresentativo e simbolico dei prodotti della fotografia, medium che in un certo senso viene ad assumere la valenza di struttura di segni con cui, come con le parole, i verbi e altre parti del discorso, possiamo scrivere tutte le storie che vogliamo.
Ed è straordinario come i diversi saggi (quelli dello storico dell’arte, dello storico della fotografia, dell’antropologo e dell’archivista, per citare soltanto alcuni dei contributi) non solo non si contraddicano l’uno rispetto all’altro, ma fra loro embricandosi e sostenendosi a vicenda, contribuiscano a ricostruire e ad attribuire sfondo alle esigenze della documentazione artistica, alle tensioni estetiche e formalizzanti e, più in generale, alla temperie sociale e culturale del periodo storico in cui si collocano l’attività e la complessa figura di Gargiolli.

Centrale ci è sembrata la notizia, fornita da Clemente Marsicola, che l’autore fosse stato fotografo amatore del periodo e della corrente pittorialista del tardo Ottocento, notizia che trova il proprio rispecchiamento nella lettura di Monica Maffioli, che fa risalire proprio a questa formazione antiaccademica e più disinvolta nell’approccio fotografico, l’attitudine del fotografo a far rientrare nell’inquadratura elementi che nulla hanno a che fare con la documentazione artistica vera e propria (paesaggi, figure umane e animali, elementi arborei), che lo portano ad allontanarsi, automaticamente, dalle modalità rappresentative del professionismo ottocentesco, tipiche soprattutto dei Fratelli Alinari, memori ancora di una rigida precettistica d’ascendenza rinascimentale e, per la resa prospettica, soprattutto fiorentina.
In un processo a catena, è proprio questa attitudine del fondatore del Gfn a insinuare come, accanto al patrimonio artistico, l’Italia possegga anche, come evidenzia Francesco Faeta, un patrimonio paesaggistico fatto di “uomini, paesaggi, rovine” che suggerisce una ben precisa idea del paese e della sua identità, in un implicito e progressivo slittamento da una concezione, non più documentaristica, ma documentaria della fotografia, ribadita, con il sostegno di un’attenta analisi di Olivier Lugon, anche nell’introduzione di Laura Moro, così come nel contributo che Benedetta Cestelli Guidi dedica all’individuazione dello stile di Gargiolli, nonché nei casi particolari che la studiosa prende in considerazione, giocati sull’eterna dialettica fra immagine e realtà.

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L’importanza che, in questo contesto, viene ad assumere l’immagine, piuttosto che il suo soggetto realistico, dà anche ragione del titolo scelto per il volume e che prende a prestito, con un’esplicita citazione, quello ­attribuito da Luigi Ghirri al suo famoso progetto del 1984; anche allora, come spesso è accaduto e tuttora accade, l’intento era quello di porre le dovute distanze rispetto alle precedenti pratiche fotografiche di lettura del paesaggio urbano ed extraurbano, ancora basate sui vecchi stereotipi rappresentativi del secolo precedente, particolarmente lenti a morire per la forza della tradizione su cui erano basati e, soprattutto, per la conseguente difficoltà della fotografia a superate lo scoglio ­dell’apriori ­referenziale.

marinamiraglia@tiscali.it

   M Miraglia è stata funzionario direttivo dei beni culturali presso l’Istituto nazionale per la grafica