Alan M. Turing: la riscoperta dopo un lungo silenzio

Un uomo scomodo, forte e sicuro di sé

di Gabriele Lolli

dal numero di maggio 2015

Ora che gli è stato dedicato un film, Alan M. ­Turing (1912-1954) non è più l’illustre sconosciuto il cui nome anche in circoli di persone colte cadeva in un imbarazzato silenzio. Ampie informazioni sul matematico inglese si erano già riversate sul pubblico in occasione del centenario della nascita ma a ben cinquant’anni dalla morte. Ora il “Times” del 17 febbraio 2014 può titolare che “l’era moderna della computazione è cominciata negli anni trenta con il lavoro di Alan Turing”; e Dyson, che pure mette al centro della nascita dell’universo digitale la figura di von Neuman, intitola il libro a Turing, benché gli dedichi solo un capitolo (von Neumann non cita mai Turing, ma invitava i suoi collaboratori a leggerlo).

Segnale su ALAN TURING - Alan Turing (2)

I motivi del lungo silenzio precedente sono stati gli stessi che una volta rimossi alimentano un interesse vivace, anche morboso, al di là dell’invenzione del computer e della paternità dell’Intelligenza Artificiale: il contributo alla Seconda guerra mondiale per la decrittazione dei codici tedeschi (con il lungo strascico del segreto militare) e la sua omosessualità e tragica fine (suicidio, incidente, o trame occulte). Solo nel 1983, nel clima delle prime battaglie sui diritti degli omosessuali, la stupenda e amorevole biografia di Andrew Hodges aveva messo a disposizione tutte le informazioni possibili sulla vita e le opere di Turing (resta insuperata anche da quella nuova di Copeland, che è reticente sugli aspetti privati e certamente inconfrontabile con esercizi come quello di Nigel Cawthorne, riassunto di quello di Andrew Hodges da parte di un autore che ha al suo attivo ottanta altri libri). Hodges ha scritto anche una breve introduzione centrata sul problema pensiero e le macchine. L’editore Bollati Boringhieri è stato tempestivo nel proporre la biografia di Hodges e una scelta delle opere di Turing, appena nel 1992 sono iniziate a essere pubblicate le opere complete. Ma in Italia prima del centenario le poche persone interessate a Turing si trovavano tutte convenute negli atti del convegno, oltre agli informatici (il Turing Award è il premio della Association for Computing Machinery, recentemente assegnato a Silvio Micali).

Segnale su ALAN TURING - Storia di un enigmaIl film di Morten Tyldum è un falso sotto tutti i punti di vista, storico, scientifico e psicologico. Presenta il lavoro fatto dalla squadra inglese a Bletchey Park come se non facesse alcun passo avanti per due anni fino a che Turing non salta su con un eureka, quando fin dall’inizio del 1940 i primi risultati furono essenziali per vincere nell’estate la battaglia d’Inghilterra; falsifica il contributo, importantissimo, di Turing lasciando immaginare che le bombe, le macchine usate contro l’enigma tedesco, fossero una sua invenzione legata o analoga a quella del calcolatore digitale, confuso pure con il Colossus, altra macchina con cui Turing ebbe poco a che fare; erano macchine elettromeccaniche solo perfezionate da Turing e dovute al contributo precedente dei polacchi (Turing piuttosto inventò metodi statistici originali per il loro uso); inserisce storie inventate e improbabili di spie, di cui una ricatta con successo Turing minacciando di rivelare la sua omosessualità, quando Turing la proclamava apertamente, e nell’occasione farebbe dunque la parte del traditore; Turing nel film è una specie di robot che ripete con troppa frequenza la parola “logica”, non mostra né il suo vero carattere, che era sì eccentrico e insofferente degli stupidi, ma dolce e socievole con gli amici, né peraltro la sua reale indifferenza per le forme, che lo portava a volte a usare un cordino per tenersi su i pantaloni, mentre Cumberbatch sembra un manichino di Saville Row (con le bretelle!). Alla radice di tutte queste deformazioni sta la scelta di rappresentare Turing secondo l’idea omofobica dell’omosessuale mitico, debole, lamentoso, passivo, incapace di controllare il proprio destino. Quando Turing era vivace, forte, sicuro di sé, arguto. Una recensione sdegnata è stata scritta da Christian Caryl per “New York Review of Books” (XVII, n. 2, 2015).

Segnale su ALAN TURING - L'uomo che sapeva troppoLo stesso errore inficia il pur interessante libro-romanzo di David Leavitt. L’autore americano è stato attratto dall’omosessualità del suo eroe e fa ruotare tutta la sua vita intorno a questa condizione, interpretandola come pulsione al fallimento, che si manifesta nella rinuncia a vedere realizzati tanti suoi progetti. Invece il motivo dell’impazienza di Turing nel dopoguerra per i ritardi nella costruzione del suo calcolatore da parte del governo inglese, che lo portano ad abbandonare le battaglie con le istituzioni sta piuttosto nell’insorgere di altri interessi, come diremo. Leavitt attribuisce addirittura la struttura dell’articolo del 1950, dove sono premesse le confutazioni delle obiezioni alla possibilità dell’intelligenza delle macchine, al modello dei documenti dei primi sostenitori dei diritti gay, che non c’è prova che Turing conoscesse. Leavitt comunque ha fatto un lavoro improbo per capire ed esporre gli aspetti tecnici delle ricerche di Turing, arrivando a descrivere nel dettaglio il funzionamento delle macchine del 1936, macchine teoriche che precedono l’elettronica, una fatica poco utile, se non eventualmente per gli specialisti, a cui non si rivolge certo il libro, visto che queste macchine sono ora definite in una versione dovuta a S.C. Kleene abbastanza diversa dall’originale. La scarsa familiarità con la materia porta Leavitt ad alcune affermazioni errate, come l’attribuzione all’influenza di Turing dell’insistenza di von Neumann sull’importanza della memoria, identificandola con il nastro delle macchine; la caratteristica decisiva dell’idea di Turing, ripresa da von Neumann, è invece la possibilità di inserire i programmi come dati in memoria, facendo sì che essi possano essere modificati dimostrando duttilità e imprevista intelligenza.

Il confronto dei materiali scritti con il film di Tyldum conferma la tesi che un libro è ancora il solo mezzo con cui si possa sviluppare un argomento complicato (cfr. Darryl Pinckney nella recensione di Selma, di Ava Du Vernay, su “New York Review of Books”, XVII, n. 3, 2015). Sono adesso disponibili gli atti di tre convegni tenuti nel 2012 a Bari, Roma e Pisa, dove finalmente comincia a delinearsi e a essere apprezzato compiutamente il complesso lascito di Turing, che non si riduce al calcolatore, pur se questo basterebbe a dargli una fama imperitura, né al contributo alla disfatta nazista, ugualmente memorabile. Nel libro a cura di Hykel Hosni si trova una sintesi completa ma di dimensioni accettabili di tutta l’opera di Turing. Un elenco di ricerche e risultati non è molto interessante, ma un elenco può essere impressionante: probabilità e statistica (teorica e applicata), logica (indecidibilità della logica, sistemi di logica transfinita per superare incompletezza), teoria della calcolabilità (esistenza di problemi indecidibili, Macchine di Turing come modello di computazione), problemi di decidibilità in algebra, metodi numerici, calcolo degli zeri della funzione di Riemann, progetto del calcolatore digitale Ace, primo manuale di programmazione, dimostrazioni di correttezza dei programmi, programmi per scacchi, teoria matematica della morfogenesi; e in filosofia, la tesi argomentata della possibilità dell’intelligenza meccanica nell’articolo citato del 1950. La tesi si appoggia al gioco dell’imitazione, che è presentato nelle versioni volgari come se l’impossibilità da parte di esperti di stabilire se si sta comunicando con una macchina o una persona proverebbe l’intelligenza della macchina; il gioco invece, argomentato con vivacità negli interventi di Turing alla Bbc del 1951 e 1952, prevede una fase in cui un interrogante deve capire chi è l’uomo e chi la donna dei due soggetti con cui dialoga, senza contatto fisico; quindi si sostituisce uno dei due soggetti con una macchina e Turing si chiede se le probabilità di un interrogante medio di indovinare aumentino significativamente. Le sue previsioni, presentate di solito come profezie, a una lettura attenta non sono particolarmente ottimistiche. Turing vuole mettere in evidenza il modo con cui noi parliamo delle macchine, più che la possibilità di una cosa indefinibile come l’intelligenza; studia tuttavia metodi di educazione delle macchine, anche di diversa architettura.

Un giovane Alan Turing nella foto di classe

Un giovane Alan Turing nella foto di classe

Finalmente gli ultimi studi hanno messo in evidenza le ricerche sulla morfogenesi che Turing ha perseguito negli ultimi due anni della sua vita, con la costruzione in particolare di un modello matematico di reazione-diffusione chimica con cui spiegava la formazione dei mantelli maculati o striati di certi animali. L’intensità di questo suo ultimo interesse fa credere che egli avesse superato il trauma della condanna per atti indecenti; non pare vero, come suggerisce anche il brusco finale del film, che egli fosse entrato in un vortice di depressione dopo aver accettato la castrazione chimica invece della prigione; non solo lavorava con entusiasmo ai nuovi problemi, ma anche la sua vita sessuale era ripresa, sia pure anche con l’ausilio della psicoanalisi. Per questo motivo, l’ipotesi del suicidio con una mela avvelenata di cianuro non sembra convincente, nonostante la sua passione per Biancaneve e il suo frequente ricordare la canzoncina disneyana sulla mela avvelenata; neanche l’ipotesi della madre di un incidente dovuto al suo maneggiare veleni sembra realistica, data la sua esperienza, e la necessità di inoculare il veleno nella mela, che peraltro non fu mai analizzata.

Resta l’ipotesi che Turing fosse diventato troppo scomodo, dopo la condanna, in considerazione del gran numero di segreti militari che conosceva (era stato anche in America come rappresentante ufficiale di Bletchey Park). Il tema della tragica morte ha sollecitato anche autori di teatro; particolarmente toccante ci sembra il monologo di Massimo Vincenzi, con la voce di Stefano Molinari.

gabriele.lolli@sns.it

G Lolli insegna filosofia della matematica alla Scuola Normale di Pisa

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