Umberto Eco – Numero zero

Fango e manipolazione

recensione di Francesco Tuccari

dal numero di marzo 2015

Umberto Eco
NUMERO ZERO
pp. 222, € 17
Bompiani, Milano 2015

L’ultimo romanzo di Umberto Eco narra una vicenda per molti aspetti stralunata. Il suo protagonista è un “perdente compulsivo” di cinquant’anni suonati. Alle spalle studi universitari mai conclusi. Qualche noiosissima traduzione dal tedesco. Poi una lunga serie di grigie esperienze di “facchinaggio culturale” come scribacchino per quotidiani di provincia, correttore di bozze, revisore di voci di enciclopedie, lettore di manoscritti inviati a case editrici che nessuno aveva voglia di leggere e soprattutto di pubblicare, ghost writer (“negro”) di un autore di libri gialli che a sua volta “firmava con un nome americano”. E da ultimo un tentativo, quasi subito abortito, di scrivere in proprio. Nel frattempo, ovviamente, un matrimonio fallito, qualche sporadica avventura di nessun significato e un po’ di sesso mercenario.

Storia di un perdente compulsivo

Il perdente abituale – il suo nome è Colonna – approda a Milano nei primi mesi del 1992, tra l’inizio dell’epopea di Tangentopoli e il terremoto elettorale del 5-6 aprile. A convocarlo è uno spregiudicato e geniale personaggio, Simei, ex direttore di un settimanale sportivo e di un mensile per soli uomini, “o per uomini soli”, incaricato da un ancor più spregiudicato imprenditore, il commendator Vimercate, di allestire e dirigere un nuovo quotidiano che con ogni probabilità non uscirà mai! È a questa impresa apparentemente insensata che Colonna è chiamato a collaborare.

In realtà, come spiega Simei, quell’impresa è tutto tranne che priva di senso. Il Commendatore (il cui profilo, al netto di molti dettagli, risulterà in qualche modo familiare al lettore) ha un piccolo impero. Controlla alberghi e case di riposo. Possiede qualche televisione privata che trasmette, in tarda serata, televendite e show scollacciati. Ed è editore di una ventina di riviste di settore e trash, tra cui spiccano, e qui Eco inizia a sbizzarrirsi, “Peeping Tom”, “Il delitto illustrato” (!), “Cosa c’è sotto” e l’irrinunciabile “Il medico in casa”. Vimercate, tuttavia, non è ancora sazio. Vuole entrare nel salotto buono della finanza, delle banche, dell’informazione e magari della politica. Da qui l’idea di dar vita (meglio: di minacciare di dar vita) a un nuovo quotidiano “disposto a dire la verità su tutto”. E cioè, tradotto, a mettere in difficoltà, con tutte le tecniche possibili del (cattivo) giornalismo, quello stesso salotto buono cui egli vorrebbe finalmente accedere. Per questo non è necessario che il nuovo giornale venga effettivamente pubblicato, è sufficiente una messinscena credibile: dodici numeri zero stampati in poche copie riservate da far leggere alle persone giuste, e il gioco è fatto. Il salotto buono capirà. Pregherà il Commendatore di rinunciare al suo progetto e lo accoglierà a braccia aperte, magari concedendogli una generosa percentuale di azioni di una banca, di un grande quotidiano, di una potente catena televisiva.

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La messinscena nella messinscena

Simei, tuttavia, non è affatto un ingenuo. Avendo compreso il piano del Commendatore, organizza il triplo gioco, la messinscena nella messinscena. Propone così allo sventurato Colonna di lavorare come caporedattore ai numeri zero del nuovo giornale concepito secondo il disegno del suo committente. Nello stesso tempo, soprattutto, lo incarica di scrivere, sempre da “negro”, un libro che, rovesciando la realtà di quello che sta per accadere, magnifichi l’eroico esperimento del nuovo giornale e celebri le sue qualità di giornalista indipendente al servizio della solita verità. Se alla fine, com’è certo, il giornale non uscirà, Simei potrà almeno pubblicare il suo libro arricchendosi con i diritti oppure venderlo esentasse (Vimercate in sedicesimo) a qualcuno che non vuole che sia pubblicato.

È appena sottinteso che gli sgangherati redattori del nuovo quotidiano non dovranno sapere nulla. Né del rude progetto del Commendatore, né del piano B elaborato da Simei. Essi dovranno lavorare sodo, pensando solo a costruirsi un brillante avvenire di giornalisti della carta stampata. Sono sei in tutto, hanno i nomi di caratteri tipografici, e sono stati scelti con tutta la cura del caso da Simei in persona: Maia Fresia, un’esile e fragile single ventottenne quasi laureata in lettere e in fuga da un giornale di gossip, che diventerà l’amante di Colonna; Romano Braggadocio (in inglese significa “millantatore”, “sbruffone”), un paranoico esperto in rivelazioni scandalose, ossessionato da complotti di ogni genere e già sul libro paga di Vimercate (sia pure a pezzo) come pennivendolo di “Cosa c’è sotto”; Cambria, giornalista fallito di nera, abituato a trascorrere le sue notti in commissariati di polizia e ospedali per raccogliere la notizia di qualche arresto o di qualche truculento incidente stradale; il misterioso e inquietante Lucidi, che pare avesse in precedenza collaborato a pubblicazioni peraltro sconosciute e che in realtà è quasi sicuramente un agente dei servizi; Palatino, con un lunga esperienza in settimanali di enigmistica; e Costanza, “ormai desueto come il torchio di Gutenberg”, che aveva lavorato come proto in vari giornali diventati ormai troppo lunghi per poter essere riletti prima di andare in stampa, e dunque pieni di Rooswelt, Beaudelaire, etc. Insomma, una triste compagnia di falliti, ignari complici di un cinico scalatore sociale (e forse politico), guidati da un mediocre giornalista ma di genio.

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Uno strale contro il giornalismo contemporaneo

Numero zero è il resoconto assai divertente di questo incredibile ma credibilissimo esperimento, che dura un paio di mesi, da aprile a giugno del 1992, che intreccia i primi scandali di Mani pulite, la strage di Capaci, Gladio e altre poco edificanti vicende della storia italiana tra prima e seconda Repubblica e che alla fine fallisce per tutti, tingendosi tra l’altro – come il lettore leggerà – di giallo e di nero per effetto delle manie ipercomplottiste di Braggadocio. Allo stesso tempo esso racconta, e denuncia in modo urticante, la duplice e drammatica degenerazione della società e del giornalismo italiani (ma non solo) che è diventata inarrestabile tra gli anni ottanta e novanta.

Vimercate, in effetti, non è soltanto Vimercate. È l’incarnazione di quel rampantismo sgomitante, spregiudicato, orientato al successo a qualsiasi costo che è andato dilagando nelle società di fine secolo e che per molti aspetti conosciamo già assai bene. Ma è soprattutto Simei, con la sua visione del giornalismo e delle sue tecniche, a bruciare. È vero che egli, in nome del sacrosanto principio della verità, sta in realtà costruendo consapevolmente e su commissione una delle tante macchine del fango che hanno sporcato la politica italiana negli ultimi decenni (tant’è che qualche giornalista, recensendo il libro di Eco, si è sentito chiamato in causa e ha risposto per le rime). È altrettanto vero, però, che Simei esprime forse, e dunque indirettamente denuncia, una pulsione più generale e diffusa del giornalismo contemporaneo. Che deve rivolgersi a lettori “ghiotti di pettegolezzi e rivelazioni su varie forme di disordine”, frequentatori della “Gazzetta dello Sport” più che di libri. Che deve costruire oppure occultare notizie più che diffonderle, utilizzando a tal scopo le più disparate tecniche di falsa obiettività. Che, insomma, deve seguire e al tempo stesso creare le tendenze della gente. Simei lo dice in modo brutale nel corso di una delle tante gustose lezioni di giornalismo che infligge alla sua raccogliticcia redazione: “La gente all’inizio non sa che tendenze ha, poi noi glielo diciamo e loro si accorgono che le avevano”. Sono i rischi e le conseguenze di questa filosofia più generale, che Eco denuncia con passione. Lo aveva già fatto su un piano diverso, tra gli altri, Walter Lippmann nel 1922 in Public opinion, mostrando quali nefaste conseguenze quei rischi potevano avere sulla qualità delle democrazie moderne. Ma, evidentemente, senza successo.

francesco.tuccari@unito.it

F Tuccari insegna storia del pensiero politico all’Università di Torino

Tra tritacarne e gioco di società: anche mc ha recensito Numero zero nel numero di marzo 2015

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