Elena Ferrante – Storia del nuovo cognome

Due in una e una in due

recensione di Beatrice Manetti

dal numero di dicembre 2012

Elena Ferrante
STORIA DEL NUOVO COGNOME
L’AMICA GENIALE, VOL. II
pp. 470, € 19,50
e/o, Roma 2012

Elena Ferrante - Storia del nuovo cognomeNel primo volume dell’Amica geniale (e/o, 2011; cfr. “L’Indice”, 2012, n. 1), Elena Ferrante aveva interrotto la storia di Elena e Lila nel punto di più alta densità simbolica e di massima tensione. Per un anno siamo rimasti tutti lì, appesi allo sguardo furente di Lila sulle scarpe che erano state il suo capolavoro di bambina e che adesso, riapparse ai piedi dell’odiato Marcello Solara nel giorno del suo matrimonio, le urlavano in faccia il tradimento del marito, che le aveva comprate per amore e per convenienza le aveva cedute al suo peggiore nemico. Fedele alle regole del gioco che ha scelto di giocare, quello sfacciato e avvincente della narrazione popolare, prima di riagganciare quello sguardo per accompagnare le due protagoniste nel pieno della giovinezza, Ferrante ricapitola a beneficio del lettore le tappe della puntata precedente. Ma nel farlo, con un salto cronologico in avanti che è anche una sofisticata operazione metanarrativa, rimette in discussione tutto ciò che credevamo di sapere finora.
Storia del nuovo cognome segue le vite delle due “amiche geniali” dal 1961 al 1968, lasciandole ancora una volta in sospeso e rimandandone il completamento ai volumi che seguiranno. Ma comincia in un giorno di primavera del 1966, quando Lila consegna a Elena una scatola con otto quaderni: dentro, insieme a pazienti esercizi di scrittura e alle traduzioni da autodidatta in latino e in greco, ci sono gli eventi, le figure e le emozioni che l’hanno segnata dall’infanzia fino a quel momento, le stesse che hanno costituito la materia del primo volume. Nel vecchio trucco da feuilleton, la cui funzione principale è appunto quella di riprendere il filo del racconto, risuona allora una domanda allarmante e decisiva, che salda e complica ulteriormente il rapporto tra le due protagoniste e ne estende anche retrospettivamente la specularità dall’enunciato all’enunciazione: a chi appartiene questa storia?

Attrice e spettatrice, eroina e testimone

Per rispondere, in un romanzo le cui figure principali sono una in due e due in una, è necessario sdoppiare la domanda: chi racconta questa storia? E poi: di chi racconta questa storia? A prima vista sembra tutto ovvio: la voce narrante è indubitabilmente quella di Elena e la vita narrata è altrettanto chiaramente quella di Lila. I tratti caratteriali delle due amiche le hanno predisposte fin dall’inizio a questa distribuzione dei ruoli: ansiosamente vigile, subalterna un po’ per scelta un po’ proprio malgrado, compressa in una feroce autodisciplina nello studio che è il suo strumento di riscatto sociale ma anche la camicia di forza della sua vita emotiva, Elena ha la fisionomia della perfetta testimone; e Lila, che è sempre un passo avanti nel creare e distruggere, inventare e cancellare, spezzarsi e rinascere, è una fulgida eroina dai sentimenti viscerali e dai pensieri acuminati. È il suo matrimonio con Stefano Carracci a rompere la simbiosi infantile con l’amica e a divaricare le storie di ciascuna; ed è il suo ingresso tempestoso nella vita adulta a relegare quella di Elena ai margini del racconto o ad accoglierla solo come contrappunto.

Ma i quaderni di Lila su cui si apre il romanzo complicano lo schema. Quelle pagine, dalle quali si sprigiona «la forza di seduzione che Lila spandeva intorno fin da piccola» e che Elena impara a memoria prima di gettarli nell’Arno, non solo fanno entrare la sua voce e il suo punto di vista nel capitolo iniziale, ma li riverberano su tutto il romanzo precedente e su buona parte di questo: sono il sottotesto invisibile e perduto, ma ineliminabile, del testo che abbiamo sotto gli occhi. Allo stesso tempo, e proprio grazie a quella voce, Elena è spinta a sua volta a invertire le parti, sia come narratrice, mettendo finalmente se stessa al centro della scena e tornando sui suoi anni alla Normale che aveva liquidato frettolosamente in poche pagine, sia come personaggio, riuscendo a dire la sua indicibile lacerazione in quello che diventerà il suo romanzo d’esordio.
Forse la chiave del rapporto tra le due protagoniste, e insieme del ritmo che presiede al racconto, sta proprio in questo affiorare e inabissarsi di tracce, nella dialettica tra cancellazione e conservazione, infine nella lotta contro e per la forma.

Contro il rischio di disgregarsi

Elena e Lila lottano innanzitutto contro la forma dei padri e delle madri, che sentono premere in se stesse, nei coetanei, perfino nella città «sempre più scomposta, sempre più degradata», con la prepotenza inaccettabile della biologia o del destino. In questo senso Storia del nuovo cognome nasconde nelle pieghe di una duplice Bildung femminile la prospettiva più ampia di un romanzo generazionale lambito a sua volta dalla corrente maestosa di uno spaccato sociale. Dove le inquietudini giovanili, i primi passi della rivoluzione dei costumi, il miracolo economico e il suo abbraccio con la criminalità organizzata, l’incubo atomico e il torpore democristiano sono comunque filtrati dallo sguardo sfocato di Elena, che come ogni parvenu, ignorante e affamata di tutto, abita la terra di nessuno tra il mondo che ha lasciato e quello che deve ancora conquistare.

Elena Ferrante - L'amica genialeMa Elena e Lila lottano soprattutto per tenere a bada la propria disgregazione. Subendola quando è inevitabile, accelerandola quando è necessaria, ma sempre cercando di contenerla in un sistema ordinato di segni. In una delle scene chiave del romanzo, Lila trasforma la sua gigantografia in abito da sposa esposta nel negozio di scarpe dei Solara in un puzzle sconciato di donna, dove «gran parte della testa era scomparsa» e «restava un occhio, la mano su cui poggiava il mento, la macchia splendente della bocca, strisce in diagonale del busto, la linea delle gambe accavallate, le scarpe». A colpi di pennarello e di cartoncino nero cancella se stessa, distrugge la sua immagine di sposa prima di fare a pezzi la sua vita di moglie, però mettendo in scena la propria cancellazione. Solo così, nello «schema governabile» di un linguaggio, la violenza, il desiderio, la frustrazione e la rabbia possono essere liberate senza che diventino mortali. E solo pescando in quel furore il linguaggio può dire qualcosa che valga la pena di essere ascoltato. Sono due movimenti necessari l’uno all’altro, esattamente come all’autobiografia di Elena è necessaria la biografia di Lila («La sua vita si affaccia di continuo nella mia, nelle parole che ho pronunciato, dentro le quali c’è spesso un’eco delle sue, in quel gesto determinato che è un riadattamento di un suo gesto, in quel mio di meno che è tale per un suo di più, in quel mio di più che è la forzatura di un suo di meno»), al suo racconto coerente e pacato sono necessarie l’incoerenza e i deragliamenti dell’amica. I quaderni buttati nel fiume e però imparati a memoria, le paginette infantili della Fata blu scritte da Lila bambina e riemerse a distanza di vent’anni, dove Elena riconosce «il cuore segreto» del romanzo che sta per pubblicare, la foto cancellata che affiora di continuo nel ritratto a tutto tondo: sono troppi i segnali disseminati dall’autrice in Storia del nuovo cognome per non leggerlo anche e soprattutto come un romanzo sul segreto della scrittura. O meglio, sul segreto della sua scrittura, la cui limpida naturalezza attinge il proprio fascino da un fondo altrettanto ingovernabile.

Non so se qualcuno sia ancora interessato alla vera identità di Elena Ferrante. Forse il gioco si è esaurito, la giostra delle congetture si è fermata, e la vera identità di Elena Ferrante è finalmente diventata la scrittrice Elena Ferrante. Se è così, come spero, i volumi dell’Amica geniale sono la sua sola possibile e più autentica autobiografia.

beatrice.manetti@unito.it

B Manetti è ricercatrice di letteratura italiana contemporanea all’Università di Torino