Michele Mari – Di bestia in bestia

Per fare un fantasma

recensione di Daniele Zito

Michele Mari
DI BESTIA IN BESTIA
 pp. 223, € 19,50
Einaudi, Torino 2013

Michele Mari - Di bestia in bestiaDi bestia in bestia è il romanzo d’esordio di Michele Mari, pubblicato nel 1989 e mai più ristampato, un libro strano, una sorta di classico naufragato tra le pieghe dell’editoria nostrana. Einaudi ha deciso di riproporlo nella collana “Supercoralli” in una versione profondamente ripensata dall’autore stesso. Nella postfazione, Mari racconta il proprio rapporto tormentato con la riedizione di questo suo romanzo. Si tratta di un processo lunghissimo fatto di tagli e ripensamenti, continui rimaneggiamenti, rielaborazioni ossessive di linguaggi, situazioni, personaggi, un lavoro che sarebbe potuto proseguire all’infinito, l’autore ne è consapevole, se a un certo punto non fosse approdato a una versione definitiva. C’è da chiedersi cosa sia rimasto di tutto questo lavorio, quali cose, cioè, Mari abbia deciso di salvare. Il libro, in questo senso, offre una risposta a suo modo commovente: Mari ha salvato tutti i topos che poi denoteranno la cifra dei suoi romanzi successivi, nessuno escluso.

3086c50c790cd744ae4beaf599c68a57In primo luogo ha mantenuto il rapporto con la mostruosità, un tema costante presente in ogni sua opera, quasi un’ossessione. Un rapporto mai semplice. I mostri di Mari sono sempre mostri particolari: hanno un proprio linguaggio, che usano e abitano come una seconda pelle (basti pensare ai fantasmi di Fantasmagonia o al Felice di Verderame); non tentano mai di normalizzarsi o di apparire come gli altri, restano sempre e comunque mostri. La loro identità si fonda a partire da uno scarto con la normalità, qualcosa di più profondo della diversità, una sorta di oltranza radicale da cui le storie di Mari traggono il proprio senso.

In secondo luogo, è rimasto il tema, anch’esso onnipresente nell’opera di Mari, dell’infanzia, o meglio di quel particolare periodo dell’esistenza in cui l’infanzia scivola nell’adolescenza, un momento fondante del meccanismo narrativo messo in piedi dall’autore. È in quel particolare periodo della vita che il mostro fa capolino per la prima volta, cambiando l’esistenza degli altri protagonisti. La genialità di Mari sta nel declinare tale meccanismo in modi sempre nuovi.

In terzo luogo è rimasta l’ambientazione “fantasy” scelta dall’autore per questo suo esordio. Il fantasy di Di bestia in bestia, però, è un fantasy particolare, è un fantasy declinato in senso desadiano, del De Sade, cioè, delle 120 giornate di Sodoma: un castello solitario immerso in uno scenario desolato. Fuori la neve, dentro le parole. Come scrive l’autore in Fantasmagonia: “Per fare un fantasma occorrono, una vita, un male, un luogo. Il luogo e il male devono segnare la vita, fino a renderla inimmaginabile senza di essi. Il luogo dev’essere circoscritto, con confini precisi; più che un luogo, una porzione chiusa di luogo: preferibilmente una casa”.

Infine, fatto non banale, è rimasta la trama, quasi intatta, malgrado la rivisitazione: due uomini e una donna giungono a un castello situato nel nulla. Dentro vi trovano un principe, Osmoc, il suo fedele servitore e una biblioteca con “cinquantamila volumi in ventiquattresimo e in-folio”. Scopriranno che dentro il castello c’è anche un’altra presenza che pian piano conquisterà il centro della scena. È Osoc, la bestia, il mostro, il rovescio della medaglia. Mari ce lo svela con un succedersi di colpi di scena che prendono in giro ironicamente quel fantasy declinato al fumettistico, di cui Di bestia in bestia è anche una parodia.

Naturalmente però il centro del libro non è il plot, ma la lingua, come del resto in ogni libro di Mari. Manganelli a proposito di questo libro scriveva: “L’invenzione inconsueta, linguaggio, o piuttosto linguaggi insieme elaborati, dotti ed estrosi: tutto ciò ci offre un libro che se ne sta appartato, dispettoso, non facile, con il fascino di cosa venuta fuori dal nulla che qualche volta ci offre la letteratura”. È vero. Mari è un autore prezioso, perché si concede il lusso di scherzare con la letteratura, di piegarla a suo piacimento, di scriverla e riscriverla reinventandola. Chiunque lo abbia letto sa che la sua lingua non è un semplice esperimento mimetico, ma una lingua costantemente ricreata a partire da registri preesistenti, di rapporti interni a un sistema linguistico, una sorta di caos magmatico dove fluiscono assieme varie lingue, reali o inventate; a ben vedere, però, il caos linguistico di Mari non è un caos in senso “classico”, è qualcos’altro. È un ordine ancora da decifrare. Gran parte del fascino della sua scrittura è dato proprio da questa azione di continua decifratura che mette in gioco il lettore a ogni passo. Le lingue di Mari, prima che sulla pagina, abitano nei ricordi del lettore, che viene continuamente chiamato in causa per ritrovare, in mezzo a quel magma di combinazioni possibili, il bandolo di un’ipotesi di lettura. Per questo va letto: perché obbliga a ricostruire sopra le macerie di un linguaggio letteralmente esploso, nel momento stesso in cui esplode. Una rarità, insomma.

zito.daniele@gmail.com

D Zito è ricercatore precario all’Università di Catania