Jenny Offill – Le cose che restano

Le parole creano mondi

recensione di Laura Savarino

Jenny Offill
LE COSE CHE RESTANO
trad. dall’inglese di Gioia Guerzoni
pp. 230, € 17
NN Editore, Milano 2016

Jenny Offill - Le cose che restanoDi Jenny Offill va detto questo: plasma mondi attraverso le parole. È in grado di evocare immagini vividissime, palpitanti, che balzano fuori dalla pagina e si insinuano nella mente del lettore. Con semplicità: le frasi sono brevi ma ritmate, cadenzate, e costituiscono l’accesso segreto a un universo fantastico, popolato da mostri marini e bestie rare ma abitato anche da personaggi reali, dai contorni appena abbozzati eppure così intensi, originali, scintillanti.
Le cose che restano è una storia delicata, filtrata tutta dallo sguardo innocente della piccola Grace. Grace è una bambina timida e solitaria, non gioca con i suoi coetanei e al mondo reale preferisce quello immaginifico e fiabesco modellato per lei dalla madre. La madre è la figura più affascinante dell’intero romanzo, presenza ingombrante e tangibile anche nell’assenza: alta, bellissima e fiera, è originaria della Tanzania e di mestiere protegge rapaci in via di estinzione. Vive in un mondo a sé, governato da leggi magiche e inafferrabili, racconta leggende africane come favole della buonanotte e trascrive la storia dell’universo in una stanza con le pareti dipinte di nero. È originale, bizzarra, imprevedibile.
Il rapporto madre-figlia è il binomio attorno a cui si sviluppa la narrazione, o almeno la prima parte, quando gli occhi di Grace sono colmi di meraviglia e fiducia incondizionata nella figura materna. Ben presto, infatti, l’equilibrio si rompe, la situazione deflagra, la volubilità della madre si fa stridente e la sua imprevedibilità diventa troppo, per la figlia e per il lettore. Con Grace si cerca un nuovo appiglio, una nuova guida spirituale che detti il ritmo della narrazione e la si ritrova nella figura del padre: il metodico, razionalissimo padre.

Il cambio di registro è palpabile, il binomio madre-figlia si spezza e se ne forma uno nuovo, diverso, un microcosmo dominato dalla ragione in cui Grace ritrova la serenità perduta. Offill non si schiera mai dichiaratamente ma sono i silenzi, i non detti (o meglio, i non scritti) a far pendere la narrazione per l’uno o l’altro nucleo, in una vicenda narrata dalla voce acerba della piccola di casa, che alla fine del romanzo si trasforma, cresce, pur mantenendo viva la speranza in un futuro magico ed emozionante.
Le cose che restano è un romanzo sulla complessità degli affetti, anche quando si è molto piccoli per comprenderli appieno. È un’avventura funambolica tra il sogno e il reale narrata con garbo e dolcezza, modulata su una manciata di parole evocative tradotte con naturalezza da Gioia Guerzoni.