Juan José Millás – Carta straccia

Quando un autore conosce il finale

recensione di Luigi Contadini

dal numero di marzo 2013

Juan José Millás
CARTA STRACCIA
ed. orig. 1983, trad. dallo spagnolo di Paola Tomasinelli
pp. 156, € 16
Passigli, Firenze 2012

Juan José Millas - Carta stracciaCarta straccia (titolo originale Papel mojado) è uno dei primi romanzi di Juan José Millás (Valencia, 1946), ma contiene le principali tematiche e modalità narrative poi ampiamente sviluppate dall’autore. Se in Italia Millás, già parzialmente tradotto, non ha raggiunto la popolarità sperata, in Spagna è considerato uno dei grandi scrittori contemporanei. Il successo ottenuto da Carta straccia nella versione originale è straordinario, con decine di ristampe e centinaia di migliaia di copie vendute. Scelta felice quella di Passigli, che offre al lettore italiano un testo di notevole spessore letterario e allo stesso tempo godibilissimo, intrigante e di agevole lettura.
Quando uscì in Spagna, nel 1983, era da poco terminata la transizione e il processo politico che ambiva ad allineare il paese alle più avanzate democrazie europee si era ormai consolidato con la vittoria elettorale dei socialisti nel 1982. Il romanzo, quindi, reduce dall’epoca del desencanto, attinge a piene mani alle tecniche della postmodernità, emancipate, con la fine della dittatura, da compromissioni etiche. Il breve testo non investe molto nell’ambito retorico e discorsivo.
La scrittura lineare non è però dovuta a un eccesso di semplificazione, piuttosto è il punto di arrivo di un’articolata elaborazione e depurazione: la caratteristica “complessità semplice” di Millás. L’opera sviluppa una trama poliziesca, interamente ambientata a Madrid, nella quale gli obiettivi dei personaggi, denaro, successo, amore, si confondono con quelli della letteratura in modo tale che il romanzo stesso diviene oggetto di contesa e di riflessione. Il doppio finale inatteso dispone retrospettivamente la trama su una linea circolare e mette in luce l’importanza determinante dell’aspetto metanarrativo in cui i riverberi acquistano, borgesianamente, un ruolo preminente.

Un giornalista di riviste rosa

Il romanzo coincide con il racconto del protagonista Manolo, il quale, prendendo spunto da un drammatico episodio che lo conduce a vivere alcuni giorni della sua esistenza in modo eccezionale, ha finalmente l’occasione e il materiale per scrivere un romanzo, il sogno della sua vita. La narrazione, interamente autodiegetica, sarebbe dunque la realizzazione di questo sogno. Manolo si presenta come un giornalista di riviste rosa, insoddisfatto del suo lavoro nonostante i vantaggi economici, che si vede improvvisamente coinvolto in un losco intrigo nato dal presunto suicidio dell’amico Luis, anch’egli aspirante scrittore. Il protagonista non crede alla tesi del suicidio e di sua iniziativa comincia a investigare seguendo una pista che lo stesso Luis gli aveva fornito prima di morire. Tutto lascia supporre che un importante laboratorio farmaceutico, in cui lavora la moglie di Luis, abbia commesso una clamorosa frode fiscale e che Luis, scoperto l’inganno, sia stato eliminato perché ormai a conoscenza dei segreti dell’azienda. Manolo eredita dal suo amico una valigetta, sottratta a un dipendente del laboratorio, contenente una discreta quantità di denaro e alcuni documenti che, secondo il protagonista, dovrebbero sciogliere l’enigma della morte di Luis. Tale valigetta diventa l’oggetto più conteso del romanzo, inseguita sia dalle forze dell’ordine sia dall’azienda farmaceutica che assolda degli sgherri per recuperarla.

Veduta di Madrid

Veduta di Madrid

La trama si dispiega apparentemente secondo i criteri tipici del romanzo poliziesco. Ma in realtà il protagonista, al contrario dei modelli tradizionali, appare, a mano a mano che la narrazione avanza, sempre più goffo e impacciato. Spesso compie azioni senza fini logici, e più che assomigliare a un buon detective ricorda altri protagonisti dell’autore, smarriti e turbati, attenti a riflettere sulla propria condizione interiore e sulla volubilità della percezione piuttosto che agire con determinazione e scopi chiari. Di fatto, il binomio caos/cosmo, tradizionale del genere poliziesco, si presenta qui invertito: l’ordine esterno (nonostante l’omicidio) fa da contrappeso al caos interiore del protagonista.

Manolo dichiara più volte, sovente con un registro ironico, di sentirsi incastrato in una vita routinaria che lo porta a compiere gesti e attività che detesta. Sotto questo involucro fatto di consuetudine (da cui anche l’amore è stato espulso) esiste un mondo nascosto di emozioni impensabili e disgreganti che alimentano quella parte di sé da cui egli sempre si è difeso. La follia viene evocata come uno stato latente, confinata in un ambito ristretto dalla metodicità e dalla razionalità. Il protagonista si rende conto di trovarsi su quella linea di confine che, se varcata, potrebbe metterlo in contatto con gli aspetti più oscuri e inquietanti della propria esistenza.
Nonostante l’affannarsi nelle indagini, Manolo non riesce a svelare l’enigma della valigetta. Sarà la polizia a scoprire che il suo prezioso contenuto non è costituito da quei misteriosi documenti, ma proprio dalle banconote, che si rivelano false. Era imminente, infatti, l’immissione nel mercato di un ingente quantitativo di denaro falsificato di cui quello presente nella valigetta costituiva solo un prototipo da perfezionare. Ma a questa prima sorpresa se ne aggiunge un’altra ancora più singolare, che spiazza il lettore e mette in discussione il genere. Il protagonista narratore, che fin dall’inizio si è attribuito la paternità del romanzo, sa più di quanto dice e sottrae al lettore due informazioni fondamentali: la prima è che l’autore del romanzo non è lui, ma il suo defunto amico; la seconda è che il responsabile dell’omicidio è proprio Manolo, che ha ucciso Luis in preda a un’invidia irrefrenabile, proprio per usurpare la paternità di quel testo, principale oggetto del contendere, e diventare finalmente “scrittore”.

Carta straccia dal doppio significato

La situazione che ne deriva è paradossale, poiché si scopre che il protagonista ha agito come detective del suo stesso omicidio, narrato anticipatamente dal vero autore del romanzo, Luis, e interpretato a posteriori proprio da Manolo. Luis si era riservato la parte del morto e aveva attribuito al suo amico il ruolo dell’assassino poiché immaginava, conoscendo bene le debolezze e le ambizioni di Manolo, fino a che punto avrebbe potuto spingersi nel momento in cui, finalmente, fosse riuscito a scrivere una vera opera letteraria. Ed è quello stesso testo, consegnato alla polizia da Manolo come resoconto romanzato delle sue indagini, che lo smaschera. Infatti, come dice il commissario nel finale, quel testo, scritto dal defunto e vissuto da Manolo, rivela la soluzione dell’intera vicenda perché proprio lì sono disseminate le tracce, a prima vista invisibili, della colpevolezza del protagonista: “Quando un autore conosce il finale, non può evitare di raccontarlo durante l’azione”. Tracce, però, che non possono essere utilizzate in un tribunale, poiché la giustizia non si basa sull’ermeneutica, ma su prove concrete e dimostrabili.

Un ritratto di Juan José Millás

Un ritratto di Juan José Millás

Il titolo Carta straccia è dunque riferito ai due principali oggetti del contendere, la cui funzione simbolicamente si confonde: le false banconote di denaro e il romanzo stesso. Avendo deciso di interpretare il ruolo di un personaggio, Manolo, nella parte finale del libro, viene investito da una irresistibile sensazione di irrealtà. Dall’idea shakespeariana, citata nel testo, che l’essere umano è composto della sostanza dei sogni, si giunge al tema, molto caro a Millás, della realtà come addensamento di immaginazione. Così, nel corso della narrazione, il futuro del protagonista viene progressivamente annullato, intrappolato nelle pagine di quel romanzo che presume di avere scritto, sottratto alla realtà da quel gesto omicida che gli ha permesso di rompere gli schemi, ma che lo condanna a uno stato di smarrimento dove i riferimenti socialmente condivisi sembrano svaniti per sempre.

luigi.contadini@unibo.it

L Contadini insegna letteratura spagnola contemporanea all’Università di Bologna