Juan José Millás – Dall’ombra

La strategia della murena

recensione di Lia Ogno

dal numero di novembre 2017

Juan José Millás
DALL’OMBRA
ed. orig. 2016, trad. dallo spagnolo di Paolo Collo
pp. 142, € 17
Einaudi, Torino 2017

Juan José Millás - Dall’ombraLa murena è un pesce schivo che suole rintanarsi in anfratti bui, fenditure delle rocce, vecchie anfore o relitti dove trascorre la maggior parte del tempo e dai quali esce solo la notte per procacciarsi il cibo di cui abbisogna. Adora la penombra e i luoghi oscuri ed è un animale prevalentemente solitario.
Con tali caratteristiche non c’è da stupirsi se, in una società in cui pesce grande mangia pesce piccolo, alla domanda dell’anchorman televisivo se si identifichi maggiormente con lo squalo o con la sardina, Damián Lobo, il protagonista dell’ultimo romanzo di Millás, scelga la murena. D’altronde, ancor prima di perdere il lavoro, ancor prima di ritrovarsi a vivere all’interno di un armadio, la sua era stata una vita solitaria e trascorsa nell’ombra. E poco importa se intervista, studio televisivo e intervistatore siano solo frutto dell’immaginazione del protagonista, sta di fatto che, dopo aver perso il lavoro che aveva svolto per ben 25 anni, Damián si sente smarrito, attanagliato dalla paura e, da animale stanato, forse sta solo cercando un altro nascondiglio dove continuare a condurre la sua esistenza passiva, alla ricerca di un senso. Con l’ironia e la feroce lucidità che hanno da sempre caratterizzato la sua scrittura, con Dall’ombra, Juan José Millás ci regala un romanzo agile e brillante per struttura e tono narrativo, ma tutt’altro che frivolo e superficiale. Per sua stessa ammissione: il romanzo più politico da lui mai pubblicato.

Un fantasma benevolo

L’intreccio parte da un evento insolito e bizzarro, ma plausibile, che l’autore valenciano esplora e conduce fino alle estreme conseguenze: in un mercatino dell’usato, per sfuggire a una guardia di sicurezza che l’aveva sorpreso a effettuare un piccolo furto, Damián Lobo si rifugia all’interno di un armadio. Ma ancor prima che riesca a uscirne, il vecchio guardaroba viene imballato, caricato su un furgone e trasportato presso la villetta dove l’ignara Lucía, che ha appena acquistato il mobile, abita con il marito e una figlia adolescente. Nel timore di essere scoperto, Damián aspetta il momento opportuno per potersi dileguare. Ma la mattina seguente, quando tutta la famiglia lascia l’abitazione per correre dietro alle proprie occupazioni, l’uomo, anziché approfittarne per scappare, si guarda attorno e si mette a riassettare casa, a lavare i piatti sporchi che la famiglia aveva lasciato dalla colazione e dalla cena della sera prima. Ora non è che non riesca a fuggire, è che non vuole più farlo. Ora riesce a sentirsi nuovamente utile e decide, così, di fare dell’armadio la sua nuova dimora, dove correrà a rintanarsi non appena la famiglia farà rientro a casa, trasformandosi in una sorta di benevolo fantasma.
Ed è in questa svolta paradossale che risiede tutta la forza e la profonda carica simbolica della godibilissima narrazione. È infatti grazie al contrasto che viene a generarsi tra una premessa logica e un comportamento assurdo e irragionevole che Millás riesce a confezionare, con sapiente misura e originalità, una favola morale dei nostri giorni che indaga sui meccanismi psicologici che possono interagire in un uomo il quale, per l’esclusione dal mondo lavorativo, vive la perdita del proprio ruolo sociale. Sullo sfondo, si delinea un quadro chiarissimo e disincantato della nostra società, quella dei reality show, di YouPorn, dell’obsolescenza programmata. D’altronde Millás, sia nei romanzi sia dalle colonne dei giornali, si è sempre rivelato un acuto osservatore della realtà in cui viviamo.

Una realtà da lui osservata con occhio da entomologo, ma ricreata letterariamente come attraverso uno specchio deformante capace, da una parte, di stupire e divertire il lettore e, dall’altra, di mettere in evidenza aspetti nascosti e spesso scomodi della nostra esistenza. Così anche l’intervista televisiva immaginaria ‒ con tanto di pubblico e di applausi ‒ che scandisce l’intera narrazione, oltre a essere un originale espediente per fornire al lettore tutta una serie di informazioni sul vissuto del protagonista e sui suoi stati d’animo, diviene un’aspra critica alla nostra società plurimediatica, malata di audience e di spettacolarizzazione.
Dall’ombra è uno di quei romanzi destinati a restare nei ricordi del lettore, non solo per la singolarità e la stranezza della sua trama, ma perché ha identificato un tipo: Damián Lobo, l’uomo-murena. Nel fondo, alla stregua di Cosimo di Rondò — il protagonista di Il barone rampante — Damián è un ribelle: scegliendo di non fuggire, attua la sua personalissima fuga dal mondo, e afferma così la propria insoddisfazione nei confronti di un sistema capitalista che lo ha prima fagocitato e poi espulso, ma avvertendo tutti noi che il suo fallimento individuale è solo il riflesso del nostro fallimento collettivo.

lia.ogno@unito.it

L Ogno insegna letteratura spagnola all’università di Torino

Quando un autore conosce il finaleLuigi Contadini recensisce Carta straccia, il precedente romanzo di Juan José Millás.