Cavalli di trojan: Facebook

L’editore degli editori

di Federico Bottino

dal numero di marzo 2017

Alcuni editori sostengono che il digitale è marginale. La cosa è in parte vera, in parte falsa. Se si parla del libro come oggetto, risultato di una filiera produttiva che dall’editore giunge alle librerie passando per tipografie e reti distributive, allora è vera. È invece falsa o, perlomeno, fuorviante se si intende il libro come testo, il testo come fonte d’informazione e l’informazione come insieme aggregato di dati accessibili.

Se un editore utilizza il web per farsi conoscere, le informazioni vengono distribuite attraverso i siti e i suoi testi (o le anteprime) vengono raggiunti, e letti e usati, per mezzo dei siti stessi. Nella sua accezione tradizionale, l’editore è un collettore di contenuti. Oggi gli editori si trovano a essere non solo collettori, ma soprattutto contenuti, collezionati a loro volta da collettori digitali, assai più grandi. Negli ultimi anni alcuni soggetti della filiera produttiva del libro-oggetto (in primis le librerie, in parte gli editori stessi) hanno puntato il dito contro i nuovi colossi della distribuzione come Amazon, colpevoli di fagocitare il mercato librario risputandolo dimagrito e globalizzato. Se invece si considera la questione nel secondo modo (libro-testo-fonte di informazioni) non è Amazon il grande livellatore, il titanico editore che divora i suoi figli è Facebook.

Controllo delle fake news e instant articles, la rivoluzione

La campagna elettorale di Donald J. Trump si è svolta quasi totalmente sulle piattaforme social ed è stata vinta a colpi di fake news e contenuti editoriali studiati ad hoc per scaldare gli animi degli elettori americani. Così, per la prima volta, il fondatore di Facebook ha parlato apertamente della necessità di controllare i contenuti editoriali diffusi sul suo social network. Nel mirino di Mark Zuckerberg sono dunque finiti i contenuti violenti e le notizie false che attirano l’attenzione di utenti superficiali per gonfiare di traffico siti pieni di pubblicità. È stato così costituito uno staff apposito per la nuova sezione notizie di Facebook (newsfeed). A dirigerla Campbell Brown, ex Cnn, che ha annunciato la formazione di un ente terzo e imparziale con funzioni di garante rispetto alle segnalazioni delle notizie false. Insomma, Facebook si dota di un comitato editoriale. Ma da quando il social network è diventato un editore o, meglio, “l’editore degli editori”? “Non produciamo i nostri contenuti ma ci limitiamo a distribuirli e monetizzarli tramite la pubblicità”, diceva Sheryl Sandberg, attuale capo delle operazioni di Facebook, rassicurando gli editori del fatto che Facebook mai sarebbe stato uno di loro. La dichiarazione risale al 2015, durante il lancio degli instant articles, un’implementazione del social network che permette agli utenti la lettura degli articoli delle più grandi testate internazionali, direttamente all’interno della struttura web di Facebook. Eppure nemmeno l’editore Scribner’s ha mai scritto una riga di Fiesta: si è limitato a distribuirlo e monetizzarlo. Gli editori di tutto il mondo con ingenua leggerezza aderiscono agli instant articles, trasformando il sito di Zuckerberg nell’“l’editore degli editori” e permettendogli, tramite i suoi algoritmi, di filtrare, nascondere o cassare i contenuti editoriali di tutto il mondo. Ed è appunto nella metodologia di selezione e distribuzione che troviamo la nuova natura di questa editoria 3.0.

La grande differenza fra l’editoria tradizionale e la post-editoria di cui Facebook è l’indiscusso campione è teleologica. Se da una parte c’è un’intentio culturale e umanistica, dall’altra c’è un telos commerciale e autoreferenziale. Lo sforzo di Facebook non mira infatti all’accrescimento culturale degli individui ma all’aumento del tempo medio di permanenza degli individui sul proprio sito. “L’editore degli editori” non segue criteri editoriali storico-culturali, bensì identitari e quantitativi. È una macchina programmata per domare i contenuti, trovare i loro specifici utenti, ghermirli e, nella luminosità degli schermi, incatenarli.