Luc Boltanski: un capitalismo sempre nuovo

Deindustrializzazione e economia dell’arricchimento

intervista a Luc Boltanski del Collettivo La Boétie

dal numero di maggio 2016

L’incontro del Collettivo La Boétie (composto da Camilla Emmenegger, Francesco Gallino e Daniele Gorgone, cui per l’occasione si è aggiunto Francesco Manto) con Luc Boltanski si è svolto a Torino dove quest’ultimo si trovava per una serie di incontri organizzati dall’Unione culturale Franco Antonicelli, il dipartimento di Culture, politica e società dell’Università di Torino e la rivista “Teoria politica”.

In occasione dell’incontro intitolato Dialogo sulle nuove forme di capitalismo, assieme ad Arnaud Esquerre avete presentato alcuni risultati del vostro ultimo lavoro di ricerca la cui uscita è prevista in Francia per il 2017. Una delle nozioni su cui vi concentrate è quella di “economia dell’arricchimento”, nello stesso senso in cui si parla di “uranio arricchito”: potete chiarire che cosa intendete con questa espressione?

Il cambiamento economico avvenuto in Francia – e in parte anche in Italia – a partire dagli anni settanta, verte su due fenomeni. Primo, la deindustrializzazione: salvo nucleare, armamenti e aeronautica, tutti i settori industriali sono in crisi e hanno visto una netta diminuzione del numero degli operai, che si è ulteriormente accentuata negli ultimi vent’anni. Ciò ha portato a una nuova ondata di disoccupazione, soprattutto per i lavoratori meno istruiti. Dall’altro lato si sviluppa un’economia nuova, che – anche se non è conteggiata unitariamente nelle statistiche – concerne alcuni settori fortemente interconnessi: l’industria del lusso, il turismo (la Francia è la prima destinazione mondiale), la cultura (il settore che è aumentato di più in termini di numero di addetti negli ultimi vent’anni) e il commercio dell’arte e dell’antichità. Si tratta di ambiti strettamente irrelati; i grandi marchi del lusso si circondano di artisti per decorare le proprie boutique e, al contempo, proprio sui prodotti di lusso si reggono in gran parte alcuni settori della stampa, come i settimanali. “Le Monde” ha un supplemento settimanale pagato dalla pubblicità dell’industria del lusso; e la rivista “Air France Magazine” – quella distribuita gratuitamente sui voli Air France – è pubblicata da Gallimard.

In Italia, lei è noto soprattutto per Il nuovo spirito del capitalismo (Mimesis, 2014). Dobbiamo pensare all’economia dell’arricchimento come a un nuovo “spirito del capitalismo”, cioè una nuova tappa nell’evoluzione del capitalismo?

In realtà, rispetto a quel libro, la nostra nuova ricerca parte da un punto di vista diverso. Il nuovo spirito del capitalismo si concentrava sul lavoro e sullo sfruttamento del plusvalore del lavoro. Ed è per questo che, insieme a Ève Chiapello, avevamo utilizzato i testi di management, che sono dei veri e propri manuali su come far lavorare le persone. Adesso invece ci interessiamo a una cosa diversa: la merce e la circolazione della merce in quanto produttrice di denaro. Si può dire che abbiamo diviso in due l’operazione di Marx, che da un lato si occupava del plusvalore del lavoro e delle forme di sfruttamento, ma, dall’altro lato, della questione della merce, che è al centro del Capitale e che non è affatto affrontata nel Nuovo spirito del capitalismo. Oggi credo che queste due questioni possano essere disgiunte perché il loro legame è meno evidente: la produzione della merce standard è infatti largamente delocalizzata. Prendete un borghese del XIX secolo: il flâneur di Benjamin, per esempio, viveva molto più vicino di noi agli operai; mentre oggi la persona che ha fabbricato gli oggetti che ci circondano (uno smartphone o una penna) noi non l’abbiamo mai vista, è lontana decine di migliaia di chilometri. Forse un giorno si rivolterà, ma non ne sappiamo nulla.

Lei parla dell’importanza delle narrazioni (récits) nel processo di “arricchimento” degli oggetti. Chi le produce?

Le narrazioni hanno molto spesso una base istituzionale. Si tratta di elaborazioni in parte collettive; possono venire da scrittori, curatori, o da chi scrive le storie dei musei. Al Musée de l’Armée di Parigi, ad esempio, c’è una vetrina con un vestito; c’è scritto che si tratta di un vestito che de Gaulle indossava quando era dal dentista, con una lunga storia relativa a quell’occasione. Si dà valore a tutte le minuzie del passato.

Chi crede a queste storie?

Mi stupisce molto, nel mio mestiere di sociologo, scoprire quanto le storie giochino un ruolo importante nella vita. È per questo che sono sempre più scettico rispetto a certi aspetti del pragmatismo che mettono l’accento sull’esperienza. C’è un paradosso della condizione umana: la maggior parte delle cose alle quali siamo legati le conosciamo solo attraverso delle storie, non le abbiamo sperimentate; le persone “ragionevoli” non cercano oltre una certa misura di verificare l’esattezza di queste storie. Dovete immaginare di avere un fratello, un figlio, e gli dite: “vai a vedere se è arrivata la posta nella buca delle lettere”. Se ritorna e dice di non aver trovato nulla, voi non andate di nascosto a controllare se ha rubato la posta. Se invece ci andate ci sono delle possibilità che siate accusati di essere dei paranoici. Ecco dunque il paradosso: nessuna persona normale spinge all’estremo l’indagine sulla verità della realtà, ma accetta ciò che gli è stato fornito attraverso storie.

Uno degli aspetti su cui lei ed Esquerre insistete, a proposito di questa nuova forma di capitalismo, è l’importanza del passato. Nella storia moderna ci sono stati altri periodi di fascinazione per il passato, come ad esempio il romanticismo: quale tipo di passato è in gioco ora? E in che rapporto sta questo passato con la nozione, centrale ad esempio nella sharing economy e nell’economia di Slow Food, di “autenticità”?

In effetti, questa nuova forma di produzione della ricchezza sfrutta in larga parte quel giacimento che è il passato. Il valore di molte griffes è dovuto al fatto che sono storiche, classiche. È un passato evocato attraverso una narrazione, che serve a rendere interessanti i luoghi e le cose. Fino a un periodo recente, il passato è stato una risorsa per proteggersi dal capitalismo, o per avere almeno l’impressione di restarne fuori; mentre oggi il passato è annesso al capitalismo, è sistematicamente sfruttato, nell’esatta misura in cui è suscettibile di produrre profitto. Il passato fa parte dello storytelling: i manuali di marketing spiegano che l’ultima frontiera nel settore turistico consiste nel ghost tour, un viaggio per turisti americani un po’ naïf a cui, quando cala il sole, si raccontano storie di fantasmi mentre li si porta a passeggio per gli angoli bui dei centri storici. Si tratta di una forma di strumentalizzazione del passato. Quanto all’autenticità, essa è associata al passato attraverso l’identità, una nozione molto importante visto che è anche carica di conseguenze politiche. L’identità attesta l’autenticità e affonda nel passato. Questa messa a valore dell’identità va di pari passo col fenomeno politico, centrale oggi in Francia, del ritorno al nazionalismo, che implica l’ostracismo crescente nei confronti degli stranieri. Il fenomeno della patrimonializzazione porta con sé molto denaro: le regioni industriali francesi, come il Nord e il Nord-Est, che qualche decennio fa erano le regioni ricche, oggi sono impoverite; mentre le regioni rurali – la Provenza ad esempio, o le regioni costiere – che erano state abbandonate negli anni sessanta, oggi diventano regioni ricche grazie a un’economia che i geografi chiamano “residenziale”: un’economia fatta di seconde case, di pensionati e di persone che lavorano all’estero (ad esempio in Belgio o nei Paesi Bassi) ma comprano una casa lì. Ed è proprio il carattere “autentico”, ovvero identitario, del luogo a costituire un’attrattiva. Quando i vostri vicini sono degli stranieri ricchi, sia chiaro, non è un gran problema. Ma se avete molte persone etichettate come “straniere”, anche se magari hanno la cittadinanza francese, questo abbassa il valore del patrimoine. E questa è una delle ragioni (anche se non l’unica) del sostegno alla xenofobia di destra in Provenza.

Quindi pensa che il Front National, e più in generale i nuovi estremismi di destra, siano l’incarnazione politica di questa forma di capitalismo?

Ci sono due fonti del successo del Front National. La prima è il risentimento di coloro che erano legati al vecchio mondo industriale e che ora sono disoccupati, e subiscono la concorrenza dei lavoratori degli altri paesi. E poi c’è l’appoggio di tutti coloro che vivono della patrimonializzazione, e che hanno bisogno di un ambiente favorevole per approfittarne. C’è un celebre poema di Baudelaire che si intitola L’Invitation au voyage: “Là non c’è nulla che non sia beltà, ordine e lusso, calma e voluttà”. Ed è proprio questo: l’economia dell’arricchimento ha come ideale un paese di lusso, calma e voluttà. Questa è la ragione per cui si tratta di un’economia estremamente fragile. Per distruggere un’economia industriale c’è bisogno di un arsenale. Mentre per distruggere l’economia dell’arricchimento, bastano attentati circoscritti, come quelli a cui abbiamo assistito in Egitto.

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