Yasmin Incretolli: un estratto da “Ultrantropo(rno)morfismo”

Yasmin Incretolli è finalista della XXVIII edizione del Premio Italo Calvino

dal numero di giugno 2015

I diritti del romanzo sperimentale di Yasmin Incretolli sono stati acquistati dalla casa editrice Tunué, che l’ha dato alle stampe cambiando il titolo in Mescolo tuttoe l’ha diffuso in libreria dal 2016. Qui ve ne presentiamo un breve estratto.

Incipit

Ho diciannove anni e dieci mesi nel giorno in cui avvio la stesura di ultrantropo(rno)morfismo. Nei momenti concentrati, la pulsione nel ferirmi ristagnava quanto un decomporsi fulmineo, dunque ho compreso fosse ottima distrazione dall’inclemente fobia di scucirmi quella scrittura urinata da polpastrelli provetti divaricatori antropici d’interstizi muliebri e mascolini. Soffro della “sindrome da autolesionismo ripetuto” dall’età di quindici anni ed ho cicatrici su cosce, avambracci, schiena, fianchi soprattutto in canali neurologici digrignanti, cicatrici a sconnettermi. Cazzo, a sconnettermi! Bizzarra, eclettica, schizofrenica, un po’ puttana… Vomito cranico d’una depauperata in cornici etiche.

Sonno inquieto
Ho raggiunto sonno in terribile senso d’astio contorcersi nello stomaco. Come se, antecedentemente l’appisolo, avessi ingurgitato passetti di millepiedi malinconici. Capita frequentemente e sono i momenti peggiori. È uno stato d’ansia, depressivo reattivo, talmente scontroso da udirlo sbattere splatter nel ventre.
Le mani tremano, vacillano nevrotiche. È solitudine. Sensazione desolata. Scorgo nella parvenza felicità. Son impossibilitata ad incamminarmi tanto distante. In spossatezza a stento strascico su grana escoriante. Colta da una sferzata di frustrazione mi dimeno dalla costernazione. Eccoli, gli ultrastronzi, a sostenermi priva di valore.
La solitudine ha gambe ? E mani ? Parla ? Riesce a graffiare? Poiché avverto tale fitta afferrata dalla sua stretta. Ferisce cute grazie ad artigli infetti. Percepisco il flash all’iniziare d’un congedo in percussioni ventrali. Vengo dimezzata, quasi sbratto. Tuttavia lei dotata nella furbizia serra fessura orale privando permessi nello svuotarmi.

“Posso controllarlo ?” ho bisogno del vomito.
Questo desiderio d’uccidermi leggermente? Solo un po’, imbrogliando la morte.
“Posso controllarlo ?” vorrei proprio vomitare e curiosare clochard cosa sia sgorgato dall’esofago.
Le persone non accettano visione d’abrasioni, deformità, lacerazioni. Considerano fusi ed optano d’evitare. Il peso d’un giudizio ammazza perfino la curiosità. Se solo s’informassero scoprirebbero son sempre più gli adolescenti del XX secolo affetti da “sindrome da autolesionismo ripetuto”.

Le grida s’arrestano all’ugola implorando.
“Vai via ! Scompari!” supplicano.
Asseriscono si tratti d’un errore, se davvero fosse tale come mai non commetterlo diviene azione maggiormente infelice del compierlo?
Chiedo il riassaporare del ribollio d’un acceso colore sulla carne. Cedo. Afferro lametta in platino nascosta da calzini gialli riposti in fondo al cassetto. Incido nella pelle. Incido crucci psichici e frustrazioni. S’è solo spellata, devo calcare più intensamente.
Ho. Bisogno. Di. Calcare. Più. Intensamente.
Sangue. Finalmente ossigeno. Non esiste commozione migliore, magnificente. Scarcerata danzo nell’estasi. Infliggermi sofferenza scaccia insicurezze, infondendo importanza. Prevaricare su me stessa rende padrona. Padrona del corpo. Regina della mente.
Affetto ancora. Viviseziono l’avambraccio. Di precisione scalfisco tagli orizzontali. È d’un estetismo estasiante… Stringhe vermiglie s’intrecciano generando opere in prosa, linguaggio alchimistico colmo in poesia. Lascio tale loop lisergico afferrarmi e m’accingo in rapporti lascivi con braccia grondanti in voluttuoso godimento. Le vezzeggio posandole su labbra massacrate a trapanate dentali, inumidendole libidinosamente. Lambisce volto di caldo fluido, nettare vitale…Adoro mentire custodendo segretezza da tale ricetta alleviatrice.

Introduco lascivamente mano destra all’interno di slip, concedendo autoerotismo nevrotico.
Accuratamente sviolino un clitoride. I sensi non percepiscono tempo discorrere tra pustole dure sparse lungo materasso antidiluviano, m’inganno d’esser circondata da spugnosi prepuzi penieni. I secondi scandiscono pacati svaporandosi in vividi intensi battiti ciliari. I tagli, ornamentali squarci, non son altro incantate fessure, ante socchiuse. Spioncini dai quali è concesso sbirciare tranci paradisiaci. È atto perpetuante, penetrante da smarrire nesso tra mente e corpo. Appaio bordata da merlettatura in pizzo, elaborata da pretenziose sarte militanti della perfezione.

“Alla perfezione!” tuono stramazzando psicotropa nel plaid ibisco.

Nel giorno della nascita ho sfiorato la morte. Sono sgusciata fuori dalla vagina di madre con un cordone ombelicale attorcigliante la gola. Nei tre giorni seguenti la pelle tendeva verso gradazione bluastra e faticavo a respirare. Mi son rotta di farlo. Respirare intendo.

«Disubbidienze femminili»: sul numero di maggio 2016 lo scrittore Fabio Stassi recensisce Maria di Isili di Cristian Mannu, vincitore del Premio Calvino 2015.