Claudia Cautillo – Il fuoco nudo

Affettività sghembe

recensione di Franco Pezzini

dal numero di dicembre 2016

Claudia Cautillo
IL FUOCO NUDO
pp. 223, € 15
edizioni Anordest, Villorba (TV) 2016

il-fuocoLui, Max, è un giovane prete, don Marco Buozzi, dalle brillanti promesse, protetto dall’influente monsignor Rastalli: quando quest’ultimo diviene cardinale, anche don Marco passa in odor di vescovado. Lei, Violante, è una graziosa bambina del suo oratorio: cresce, si sposa, è lasciata vedova dal ricco marito e (praticamente da subito) trova varie consolazioni. A legare questi due personaggi è un rapporto nato nei giorni in parrocchia, nel segno di quelle brutte storie di pedofilia che tanto hanno colpito l’opinione pubblica – fino a generare una certa quantità di narrativa e cinema – e ripreso attraverso un fortuito ritrovarsi da adulti. Un rapporto però che sarebbe scorretto ridurre al mero sesso: certo il sesso vi entra, ma a tradire anzitutto interiorità sbandate da dinamiche affettive sghembe, loop interiori che (anche per carenze tragiche delle agenzie di formazione) rendono difficile ai protagonisti qualche scelta di libertà. Conducendo, attraverso venature grottesche, ironiche e amare verso la tragedia finale.

Questo il quadro del romanzo di Claudia Cautillo finalista al Calvino 2016: un romanzo che guarda al caso pedofilia nella chiesa ma per condurre avanti, all’affresco di un’Italia e forse un mondo troppo spesso analfabeti dei sentimenti, troppo spesso incapaci di gestire un rapporto sano con il piacere e di declinare i propri riti personali in dinamiche costruttive tra adulti degni di tal nome. Un mondo che insegue il mito della dominazione sessuale – il padre amante, la dark lady – dimenticando che Cinquanta sfumature è un testo del meraviglioso (nel senso di Todorov, con irreali principi e principesse) e che agli abusi da parte di ambigui religiosi può semplicemente sostituirne altri.

Di entrambi i personaggi – prima di Max, ma alla fine anche di Violante – scopriamo il racconto della prima conoscenza col sesso, nei giorni dell’infanzia coi compagni: più lieve, confusa e simbolicamente mediata quella di lui, più vivace quella della ragazzina, ma nei termini un po’ selvatici e mitici di un’età e una fase della vita. Scopriamo lui crescere in un ambiente che sublima in categorie troppo alate ciò che appartiene alla terra, e lo rende pericolosamente, criminalmente inerme di fronte alla tentazione di un orizzonte sconosciuto, di un’incolpevole malizia da bambina; come scopriamo lei apprezzare quei giochi. L’autrice rende bene una dimensione di fragilità e di miseria punteggiata in Max da ingenue uscite poetiche (fervide di richiami al Cantico dei cantici e in generale al linguaggio biblico e liturgico, ma anche a un certo gusto un po’ estenuato di chi resta un adolescente fuori tempo) e in Violante da un’incapacità ormai protratta e consolidata di vivere l’amore.

Attraverso un itinerario labirintico dove il senso del male è attenuato e prevale piuttosto la speranza di definirsi identitariamente, Max approderà all’idea di dar forma concreta a quel rapporto in una “normale” vita di coppia, abbandonando l’abito per Violante ormai adulta: ma è ciò che lei, tra pose e spregiudicatezze da dark lady in sedicesimo (ancora il meraviglioso, ancora fantasie sull’erotica non più fondate di quelle di Max) non può accettare – e che le fa perdere il controllo del finale. “Mi perseguitava, è un pazzo… devono credermi”: non sappiamo quanto bene Violante riuscirà a uscirne davanti ai tribunali umani, ma la sua non è una vittoria. Travolta in fondo – e nonostante ogni posa da femme fatale sadiana – da una fragilità irriconosciuta parallela a quella di Max.

L’autrice riesce a costruire la storia con un felice montaggio delle due voci alternate, un’evocazione molto equilibrata delle scene di sesso, un intelligente glissare sulle vicende del temporaneo allontanamento e sui dettagli del finale, e un ottimo tirare le fila – nell’ultima parte – di una vicenda di affettività sconnesse. Dove la sensazione, al di là del successo “ambientale” (nella chiesa, nel bel mondo) o della stessa presenza di interlocutori “altri” (mentori, amanti, maschere di passaggio) resta quella – amarissima – di due solitudini allo sbando.

franco.pezzini1@tin.it

F Pezzini è saggista