Enrico Brizzi – Il sogno del drago

Una missione difficile

recensione di Luigi Nacci

dal numero di ottobre 2017

Enrico Brizzi
IL SOGNO DEL DRAGO
Dodici settimane sul Cammino di Santiago da Torino a Finisterre
pp. 318, € 14,90
Ponte alle Grazie, Firenze 2017

Enrico Brizzi - Il sogno del drago“Siamo in missione ufficiale, mica in gita scolastica” dice uno dei compagni di cammino di Enrico Brizzi nel Sogno del drago, ed è proprio da questa affermazione che sarebbe bene partire. È l’idea della missione, infatti, prima ancora che del pellegrinaggio, a irrorare le pagine dell’ultimo libro dello scrittore bolognese. In Nessuno lo saprà (Mondadori, 2005), il racconto del coast to coast a piedi dall’Argentario al Conero che inaugura la sua produzione on the road, la spinta a partire è data dalla volontà di archiviare un percorso di vita e d’autore : “Non sei partito per conoscere meglio, o conoscere meglio i tuoi amici. Volevi disconoscerti, se mai. Dimenticare il tuo nome”. In Il pellegrino dalle braccia d’inchiostro (Mondadori, 2007), ambientato sulla Via Francigena, si dice che “questo non è un viaggio, è una migrazione”, mentre nel successivo Gli psicoatleti (Dalai, 2011), il desiderio di attraversare l’Italia a piedi nel centocinquantesimo anniversario dell’unità nasce da letture ottocentesche, nelle quali si cela “una storia affascinante di avventurieri e sensitivi, idealisti e professionisti del complotto, che affondava le sue radici nella tradizione dei carbonari”.
Ha impiegato anni Brizzi a fare lo zaino per avventurarsi verso Finisterre, il grande Ovest che chiude la classica triade Roma-Gerusalemme-Santiago de Compostela. Era assalito dal dubbio che intacca un gran numero di camminatori veterani: che senso ha mettermi in una via massificata? Perché adeguarmi alle mode? Invece è grazie a questa scelta, di ricalcare le orme di molti altri e di oscurare l’io che si gonfia nell’esplorazione del non noto e nell’apertura delle strade nuove, che Brizzi può originare un racconto più maturo. Ci sono ancora, come nei precedenti lavori, l’uso della seconda persona e la compagnia dei sodali storici, i cosiddetti “Buoni Cugini”, ma stavolta, fin dal titolo, a tenere in piedi la struttura vi è la condizione di spaesamento, simboleggiata dalla tana in cui vive il drago che visita “i tuoi incubi quando la vita si è fatta precaria”, quando sei colto dalla crisi che, “nel bel mezzo dell’età adulta, ti ha fatto tornare vulnerabile come un fanciullo”.
I passaggi più felici si danno quindi laddove l’autore, abbandonate le digressioni storiche che spezzano il ritmo della narrazione, come nel caso dei ritratti di Filippo il Bello e Luigi XIV, confessa di avere assaporato “la sensazione della sconfitta”, perché il lavoro della scrittura era diventato “routine faticosa e sterile”, o a causa del fallimento del proprio matrimonio.

Molto più che un fascio di strade

Felici sono anche i momenti in cui si approfondiscono le riflessioni sul senso del camminare: “Servirà ancora del tempo perché trovi voce il movimento degli ‘orizzontalisti’, maratoneti delle carrarecce, dei sentieri di fondovalle e delle alte vie”, viandanti indifferenti alle vette e alle pareti da arrampicare, interessati soprattutto ai “valichi, le insellature, i colli battuti da secoli, che mettono in comunicazione porzioni diverse del mondo e creano una storia comune per le genti dell’una e dell’altra vallata”. Funzionano i dialoghi scanzonati tra viandanti, che riproducono fedelmente le dinamiche del cammino di gruppo, ma ancora di più le considerazioni di Brizzi abbandonato dagli amici: facendosi viandante solitario riflette sulle sue radici, ruggisce, prega, si interroga su Dio, interroga il passato, non si illude di diventare santo ma tenta di diventare più mite, più capace di temperanza, scorge negli occhi dei pellegrini che incontra la stessa luce. Spiace che le pagine finali dedicate all’arrivo alla città di san Giacomo e al cammino per il faro di Finisterre siano esigue, forse per necessità di concludere in fretta, o per pudore, o per sottolineare la rilevanza dell’itinerario e non della meta.

Si può ritenere una moda un fenomeno che tra alti e bassi si protrae da più di un millennio? Il cammino per Santiago è molto più che un fascio di strade, appartiene alla storia del nostro continente, ci ricorda in maniera pressante il nostro stato liminale e transitorio, ed è con tale complessità che ha deciso di confrontarsi onestamente Brizzi. Rebecca Solnit, autrice dell’imprescindibile Storia del camminare (Bruno Mondadori, 2002), sostiene che “ascoltare i racconti di persone che rivendicano la nostra attenzione per il solo fatto di essere andati a piedi lontano, è come farsi consigliare sul cibo da chi ha per credenziale soltanto il primato di avere vinto gare di velocità nel mangiare torte”. Brizzi fortunatamente non appartiene a questa schiera. Ci aspettiamo dunque da lui altri racconti di cammino, frutto magari di passi in solitaria, o magari, perché no, alla stregua di Virginia Woolf viandante nelle strade di Londra alla ricerca di una matita o di Xavier de Maistre esploratore della sua stanza minima, pensati e scritti su una distanza breve. Dei pellegrinaggi in miniatura, delle missioni ufficiali in scala ridotta, sempre tenendo d’occhio il drago.

L Nacci è poeta e scrittore. Il suo ultimo libro è Viandanza. Il cammino come educazione sentimentale (Laterza, 2016). Il suo blog è http://www.nacciluigi.wordpress.com/

Esperienza del mondo ed esperienza del sé: anche Herman Hesse dedicò numerosi scritti alla pratica del camminare.