Il Mediterraneo, le sue rive, l’Europa: conversazione con Predrag Matvejevič

Uno spazio che produce più storia di quanta possa consumarne

di Alessandro Stillo

dal numero di aprile 2017

Nell’estate del 2010 trascorsi un periodo di vacanza a Koločep, isoletta croata di fronte a Dubrovnik, dove ebbi la fortuna di incontrare Predrag Matvejevič, che già avevo conosciuto nei miei viaggi a Sarajevo. Con Matvejevič facevo lunghe passeggiate e alla fine della vacanza gli chiesi un’intervista. Lui, con semplicità e calore, mi disse: “Scrivi le cose che ci siamo detti in questi giorni, andranno benissimo”. Così feci, mandandogli l’intervista per approvazione. Oggi, dopo che il 2 febbraio scorso ci ha lasciati, mi sembra doveroso condividere questa conversazione, che è rimasta inedita, con i lettori dell’“Indice”.

È possibile parlare oggi di una visione unitaria del Mediterraneo: che cosa è la mediterraneità, se esiste, ci sono tratti comuni, al di là degli stereotipi, oppure dietro si nascondono concezioni differenti?

Il dislivello tra nord e sud sta aumentando sempre di più con la crisi e ai nostri giorni le rive del Mediterraneo non hanno in comune che le loro insoddisfazioni: ci sono non uno ma tanti Mediterranei, con qualità comuni, purtroppo non tutte positive.
Non è possibile considerare questo mare come un “insieme” senza tenere conto delle fratture che lo dividono, dei conflitti che lo dilaniano: oggi in Palestina e in Libano, ieri a Cipro, nel Maghreb, nei Balcani e nell’ex-Jugoslavia. Il Mediterraneo assomiglia sempre di più ad una frontiera che si estende dal levante al ponente per separare l’Europa dall’Africa e dall’Asia Minore. Su questo “mare primario” diventato uno stretto di mare è stato detto tutto, anche sulla sua unità e sulla sua divisione, sulla omogeneità e sulla disparità, da tempo sappiamo che non è né “una realtà a sé stante” e neppure una “costante”: l’insieme mediterraneo è costituito da molti sottoinsiemi che sfidano o rifiutano le idee unificatrici.
Nella mia esperienza per la Commissione della Unione europea guidata da Romano Prodi, in particolare nel  gruppo di lavoro dedicato al Mediterraneo (il gruppo che produsse il Rapporto intitolato Il Dialogo tra i Popoli e le Culture nello Spazio euro-mediterraneo), ricordo che per esempio israeliani e arabi ripercorrevano i tempi dei non allineati e della politica di Nehru, Nasser e Tito: a quei tempi non c’erano nazionalismi e fondamentalismi, c’era un denominatore comune, non solo nel Mediterraneo.

La centralità del Mediterraneo nella modernità è destinata a ridimensionarsi in quanto questione regionale oppure riconquisterà una centralità?

Il ruolo del Mediterraneo è di diventare sempre di più un’area di interesse regionale, perché al suo interno ognuno pensa come uscire dalla crisi, che è globale ma in cui ognuno ha le sue specificità e i suoi problemi. Così la parte più dura della crisi in Europa è nel gruppo cosiddetto PIGS, che comprende tre paesi mediterranei, Grecia, Spagna, Portogallo, oltre all’Irlanda.

Il dialogo euromediterraneo e il ruolo della Unione europea sono soddisfacenti?

L’Unione europea si è sviluppata, sino a poco tempo fa, senza tenere conto del Mediterraneo: è nata un’Europa separata dalla “culla dell’Europa”, come fosse un ragazzo che non ha avuto un’infanzia. I parametri con cui al nord si osservano il presente e l’avvenire del Mediterraneo non concordano con quelli del sud, le griglie di lettura sono diverse: la costa settentrionale del Mare Interno ha una percezione e una coscienza differenti da quelle della costa che sta di fronte. In seguito all’esperienza nel Gruppo di saggi l’Unione europea ha prodotto la Fondazione euromediterranea per il dialogo interculturale, intitolata ad Anna Lindh, il suo primo ministro assassinato, e dopo mesi di tentennamenti e di attese la Svezia ha proposto la città di Alessandria d’Egitto con la biblioteca alessandrina  e il centro culturale svedese come sedi della Fondazione stessa.

La biblioteca però, per fare un esempio, è un luogo dove non possono essere custodite opere di chi si ritiene abbia offeso l’islam, per cui non ci sono opere di tanti autori del mondo. In questo panorama l’Italia ha vanificato l’impegno di Prodi: anche se avrebbe potuto inaugurare la Fondazione Anna Lindh durante il semestre di Presidenza italiana, ha prevalso l’interesse a non valorizzare quella esperienza. Oggi l’Unione europea non ha una politica mediterranea, perché prevale in Europa l’elemento continentale, che costituisce un centro intorno a cui ruota l’agenda politica.
In questo c’è anche una colpevolezza del Mediterraneo, in cui prevale una forte identità dell’essere di fronte a una debole identità del fare: ad esempio Napoli, tipica per questo aspetto, è una città di arte, pittura, poesia in cui la spazzatura è agli angoli delle strade e la produttività industriale è crollata. Il Mediterraneo è il regno di quella che possiamo definire una identità dell’essere passiva, in cui si può godere di mare e sole ma non andare oltre ciò.

Quale può essere oggi l’idea vincente di Mediterraneo per i popoli che lo abitano?

Elaborare una cultura mediterranea alternativa, come alcuni propongono, non mi sembra un progetto imminente, mentre condividere una visione differenziata mi pare meno ambizioso, senza essere comunque facile da raggiungere.
Le nostalgie per il Mediterraneo si esprimono attraverso le arti e le lettere e le frammentazioni prevalgono sulle convergenze. Si profila da qualche tempo un pessimismo storico, un “crepuscolarismo” letterario. In questo momento anche le nozioni di scambio e di solidarietà, di coesione e di “parternariato” devono essere sottoposte a un esame critico.
Il Mediterraneo ha affrontato la modernità in ritardo e non ha conosciuto la laicità lungo tutte le sue sponde ma, per procedere a un esame critico di questi fatti, occorre prima liberarsi di una zavorra ingombrante. Ciascuna delle coste conosce le sue contraddizioni, che non cessano di riflettersi sul resto del mare e su altri spazi, talora lontani. Occorre ripensare il concetto di periferia e centro, che oggi sembra sorpassato, gli antichi rapporti di distanza e di prossimità, le relazioni delle simmetrie a fronte delle asimmetrie, perché queste cose non si possono più osservare solo in termini dimensionali, ma vanno considerate anche in termini di valori.

Qual è lo stato dei rapporti est-est, sud-sud, nord-est?

Uno dei molti modi di presentare i Balcani, la riva est del Mediterraneo, è una frase di Winston Churchill, Questo spazio (…) produce più storia di quanta possa consumarne”: essi sono diventati per alcuni la “vetrina” del nostro continente, per altri il suo “termometro”; si va dal considerarli la “culla d’Europa” all’idea che siano (e siano stati) la sua “polveriera”.
Gli spazi balcanici sono disseminati delle vestigia degli imperi sovranazionali e dei resti dei nuovi stati, definiti in seguito ad accordi e programmi nazionali. Sono idee di nazione che datano al XIX secolo e ideologie internazionaliste nate dal socialismo reale del XX secolo, eredità di due guerre mondiali e di una guerra fredda, vicissitudini dell’Europa dell’est e di quella dell’ovest. Si intrecciano relazioni ambivalenti fra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo, tangenti e trasversali est-ovest e nord-sud, legami e fratture fra il Mediterraneo e l’Europa, sia l’Unione europea che “l’altra Europa”.
Una delle fratture più profonde in questa regione rimane quella provocata dallo scisma cristiano del 1054, che divise chiese e fedi religiose, imperi e poteri, stili e scritture. Nel fossato che si è creato fra Bisanzio e la latinità, all’interno del cristianesimo cattolico e ortodosso, si è inserito l’islam. L’Europa e il Mediterraneo si sono scissi e sono esplosi in seno ai Balcani. Sulla riva est c’è la mancanza di una vera laicità, la religione cattolica è diventata clericalismo in Croazia mentre la chiesa ortodossa si trasformava in nazionalismo in Serbia: su tutto ciò pesa appunto lo scisma cristiano che ha diviso queste terre con effetti che si ripercuotono tuttora sulle politiche degli stati.

Il Mediterraneo in questa regione rappresenta l’ultima preoccupazione dei governi: per fare un esempio, oggi la Croazia vuole superare la crisi svendendo i suoi cantieri navali che durante il titoismo erano tra i primi cinque nel mondo e oggi non sono neppure al sessantesimo posto. La sponda adriatica ha risentito anche del forte colonialismo italiano, prima veneziano e poi, nel secolo scorso, del fascismo.
Nello stesso tempo è necessario evidenziare come il Mediterraneo non sia stato razionalizzato nella riva est, è stato molto più sentito che pensato e discusso: per fare un altro esempio, i musulmani di Bosnia amano il sud e il Mediterraneo, anche se poi lì non se ne discute molto (o forse per nulla). L’Europa, durante la guerra in ex-Jugoslavia, ha perso una grande occasione di sostenere i musulmani jugoslavi, non islamisti e neppure fondamentalisti, come lo erano i siciliani o gli spagnoli durante le dominazioni arabe: il più grande errore dell’occidente è stato di non capire la laicità dell’islam nel contributo degli islamisti dell’est balcanico. Il risultato è che oggi le aree musulmane della ex-Jugoslavia sono state invase di denaro dai paesi arabi, finalizzato alla costruzione di moschee e di centri culturali.

Per quanto riguarda i rapporti con la riva sud, ho avuto una esperienza per me significativa per la traduzione in arabo di Breviario Mediterraneo, che è uscito per la prima volta in Marocco tradotto a Casablanca e poi è stato ritradotto in Egitto al Cairo, perché gli egiziani non ritenevano sufficientemente comprensibile la traduzione marocchina. Se poi parliamo della riva sud, essa ha vissuto intensamente le sue difficoltà: l’arretratezza e la povertà di varie regioni, la memoria del colonialismo e la difficoltà a superane le conseguenze, il mancato rispetto dei diritti umani e dei principi democratici, la tensione dei rapporti tra paesi affini, l’aggressività dell’integralismo che in Algeria ha fatto decine di migliaia di morti, musulmani uccisi da altri musulmani.

alessandrostillo@gmail.com

A Stillo è organizzatore di eventi artistici e culturali