Robert Capa e le magnifiche 11 di Omaha Beach

Storia di una leggenda

recensione di Gabriele D’Autilia

dal numero di settembre 2017

Robert Capa
NORMANDIA 6 GIUGNO 1944
sceneggiatura di Jean-David Morvan e Séverine Tréfouël, disegni di Dominique Bertail
pp. 100, € 22
Contrasto, Roma 2017

Russell Miller
MAGNUM
I primi cinquant’anni della leggendaria agenzia fotografica
pp. 376, € 24,90
Contrasto, Roma 2017

Russell Miller - MagnumA differenza di un soldato, il corrispondente di guerra ha la libertà di decidere dove stare, e anche la possibilità di comportarsi da vigliacco senza essere per questo giustiziato; ha la vita nelle sue mani, la può puntare su un cavallo oppure rimettersela in tasca all’ultimo momento. Con questo spirito, secondo il fratello Cornell, Robert Capa, già celebrato al tempo come “il più grande fotoreporter di guerra del mondo”, decise di unirsi, il 6 giugno 1944, alla Compagnia E nella prima ondata dell’attacco alleato alla costa francese. Come è noto, lo sbarco in Normandia, l’operazione militare più azzardata e imponente di tutta la guerra, doveva costituire l’inizio della resa dei conti con Hitler e accelerare il crollo della Germania. Fu perciò anche un grande evento mediatico, che richiese un’adeguata copertura giornalistica e in particolare il coinvolgimento dei migliori fotografi: erano loro a dover convincere il mondo incredulo, con la forza dell’immagine del reale, che la guerra si avvicinava davvero alla fine. Con queste premesse il fotografo che, con il celebre miliziano spagnolo colpito a morte, aveva dato l’avvio nel 1936 a un’idea mitica ed eroica del fotogiornalismo di guerra, non poteva “rimettersi la vita in tasca”, doveva scegliere la prima linea. Capa non amava certo la guerra, la Normandia lo avrebbe segnato, e dieci anni dopo, partito per sostituire in Indocina un collega della Magnum, incontrò la morte per un genere di fotografia che sembrava non appartenergli più.

Il cavallo più difficile

E tuttavia con il mito bisogna conviverci. La fotografia, nel Novecento, si è conquistata una doppia funzione mitopoietica, quella di costruire miti attraverso l’immagine e quella di rendere alcuni fotografi protagonisti indiscussi dell’universo dei media. Capa, giocatore impenitente, puntò sul cavallo più difficile, quello di Omaha Beach, che sarebbe diventata per gli americani un fondamentale luogo della memoria e del dolore (sarà immortalata, molti anni dopo, anche da Steven Spielberg proprio a partire dalle fotografie di Capa), e che diventerà un nuovo tassello della costruzione del suo mito fotografico.

Tra gli altri “turisti all’inferno” (come i soldati consideravano questi folli reporter che rischiavano la vita senza necessità) Capa fu l’unico a riportare un servizio sulla guerra combattuta, restando, insieme ai marines, inchiodato per due ore sulla spiaggia dalla difesa tedesca e scattando con le sue due Contax più di cento fotografie; il caso e la fretta però fecero la loro parte e i preziosi negativi vennero irreparabilmente deteriorati da un assistente di camera oscura di Londra: tranne undici, che divennero (è anche così che si costruisce il mito) le “magnifiche undici” fotografie dello sbarco. L’episodio, tramandato mille volte a partire dalla prima testimonianza di John G. Morris, photoeditor di “Life” e altro protagonista della fotografia novecentesca, è stato raccontato anche in forma di graphic novel e oggi è disponibile in versione italiana. Il disegno è un’immagine fissa come la fotografia, ma in più è libero di inventare; questo racconto quindi porta efficacemente il lettore, con “realistiche” tavole in bianco e nero, nell’inferno di fuoco della Normandia, e soprattutto “dentro” i soggetti di quelle che sarebbero state le foto del servizio di Capa se non fosse andato perduto.
Il volume ribadisce la versione della vicenda custodita gelosamente dalla leggenda di Capa, a cui presto si è aggiunta quella della sua creatura, l’agenzia Magnum, che si può considerare l’incarnazione dell’anima del fotogiornalismo “umanista” novecentesco. Anche un libro di qualche anno fa, che ricostruisce la storia dell’agenzia attraverso un’attenta cronaca documentata, e disponibile ora anche in Italia, conferma la storia dei negativi deteriorati: qui però l’“eroismo” della figura del fotoreporter, che sia Capa o Cartier-Bresson, Werner Bichof o George Rodger, viene ricondotto dall’autore a una dimensione più prosaica, che ne arricchisce anziché diminuirne l’interesse storico.

Versioni diverse

Una recente ricerca dello studioso americano Allan D. Coleman ha però messo in discussione la versione della vicenda fotografica di Omaha Beach accreditata da Morris: Capa non avrebbe scattato, forse perché terrorizzato o forse per la difficoltà oggettiva della situazione, nemmeno una foto in più delle 11 (ormai 10) rimaste e sarebbe restato sulla spiaggia poco più di mezz’ora; questa seconda “verità” però, se rivelata, avrebbe compromesso, sostiene l’autore, un mito che “Life” o lo stesso fotografo volevano continuare a sfruttare (come è noto anche la foto del miliziano spagnolo ha generato una lunga polemica sulla sua attendibilità).
La storia della fotografia si accanisce a volte sulla ricostruzione di fatti spesso privi di fonti certe, dimenticandosi che la storia dei media – e la fotografia, almeno quella giornalistica, costituisce uno dei medium centrali della nostra contemporaneità – è una storia di rappresentazioni e narrazioni: se il miliziano è davvero morto come lo rappresenta Capa o se le “magnifiche undici” sono gli unici negativi scattati, conta meno della leggenda e appunto della narrazione (o delle narrazioni) che ne sono seguite. L’indagine filologica è stata e continua a essere una grande e irrinunciabile conquista di ogni storiografia, ma non basta; ormai da molti decenni mentalità e immaginari, miti e stereotipi, potenti strumenti di costruzione della cultura e influenti fattori di cambiamenti storici, sono diventati oggetto di studi spesso illuminanti, se naturalmente prendono avvio anche loro da una corretta critica delle fonti. Di conseguenza, la retorica della verità, che appartiene oggi come allora a ogni fotoreporter, è una materia di approfondimento spesso più interessante della stessa verità fotografica.

gabriele.dautilia@gmail.com

G D’Autilia insegna cinema, fotografia e televisione all’Università di Teramo