Alessandro Bartoletti – Lo studente strategico

Imperativo: non studiare

recensione di Gino Candreva

dal numero di luglio/agosto 2014

Alessandro Bartoletti
LO STUDENTE STRATEGICO 
Come risolvere rapidamente i problemi di studio
pp. 216, € 14,
Ponte alle Grazie, Milano 2013

Alessandro Bartoletti - Lo studente strategico

Tutti forse abbiamo subito il blocco dello studente e sperimentato strategie risolutive. Ma talvolta queste difficoltà diventano apparentemente insormontabili, laddove è difficile individuare una causa specifica non legata a problemi cognitivi, lacune pregresse o altro, per le quali ci sentiamo attrezzati come insegnanti e genitori. Ci si trova in quei casi davanti a un blocco psicologico che rischia di compromettere un percorso scolastico, anche in studenti ben avviati. L’errore principale che commettono gli educatori, secondo Alessandro Bartoletti, psicoterapeuta e docente del Centro di terapia strategica di Arezzo, è immaginare che con semplici perorazioni, minacce, premi e punizioni si possano superare le difficoltà di studio. Errore che deriva dal mancato riconoscimento dell’origine psicologica del problema. Anzi, le soluzioni fallimentari, reiterate, diventano parte del problema. Si tratta quindi di analizzare non solo le difficoltà dello studente, ma anche le tentate soluzioni didattiche e pedagogiche intraprese: “L’osservazione clinica delle difficoltà di studio durante l’infanzia fino all’adolescenza ci porta spesso a identificare come siano proprio gli sforzi di genitori e insegnanti a peggiorare e mantenere la situazione”. Bisogna dunque uscire dalla dicotomia capacità/volontà, per affrontare lo studio come problema che non dipende da svogliatezza o scarse capacità. Ma se la responsabilità (e non la colpa) del successo o dell’insuccesso scolastico è prevalentemente degli educatori, quando lo studente raggiunge una certa maturità cognitiva occorre analizzare i propri “blocchi delle performance”, dovuti a stili di apprendimento inefficaci, che innescano un circolo vizioso fino all’abbandono scolastico.

Agli stili inefficaci di genitori e insegnanti, corrispondono quindi altrettanti errori strategici degli studenti. L’ambizione del libro consiste, nientemeno, che nel “trasformare il dovere dello studio nel piacere di studiare”. L’approccio praticato è quello della terapia breve di Paul Watzlawick e Giorgio Nardone, elaborata dalla scuola di Palo Alto: ridurre la complessità del problema, evitando un’analisi introspettiva e di lungo periodo sul passato, e concentrarsi sulle soluzioni nello sforzo di realizzare un cambiamento misurabile sul breve periodo. L’autore suggerisce una terapia che produca risultati efficaci entro dieci. Da qui il titolo: lo strategico si riferisce ovviamente non allo studente ma alla terapia sistemica in grado di sbloccarne le difficoltà. L’assunto da cui parte il testo è che “più ci si sente obbligati più vengono meno il desidero e la voglia di studiare”. L’obbligo non è solo esterno, ma soprattutto autoimposto. In questo caso i principali stratagemmi fallimentari ruotano attorno alle dimensioni della paura e del controllo, che in realtà si alimentano a vicenda: la paura di fallire nutre la necessità di avere tutto sotto controllo. L’intervento del terapeuta si dovrà concentrare dunque su questi aspetti: la paura dovrà essere fronteggiata e il controllo dominato. La tecnica consiste in una reductio ad absurdum, nel fomentare il fallimento strategico, intenzionale, come metodo per liberarsi dalle pulsioni fobico-ossessive, particolarmente insidiose nell’attività di studio. Gli esercizi ai quali è sottoposto lo studente hanno tutti lo stesso obiettivo: studiare di meno, allenarsi all’imperfezione, esercizi di caco-scrittura, e via enumerando.

Una scena tratta da "L'attimo fuggente" di Peter Weir (1989)

Una scena tratta da “L’attimo fuggente” di Peter Weir (1989)

La seconda metà del libro è dedicata ad analizzare casi clinici esplicativi delle tecniche illustrate. Le terapie adottate si avvalgono di misure omogenee: allentare il controllo, in modo da accettare che il nostro studio è imperfetto, e contrastare la paura figurandoci la peggiore delle situazioni possibili in caso di fallimento, dalla figuraccia in pubblico alla bocciatura con ludibrio. In fondo, come diceva Francesco Bacone, “Vorrei vivere per studiare, non studiare per vivere” e passare esami. Non si dovrebbe studiare per l’esame, ma l’esame è la misura del nostro studio.

gino001@gmail.com

G Candreva insegna all’Itc Zappa di Milano