Fabio Pusterla – Cenere, o terra | Poesia

Proprio qui, nel viaggio

di Margherita Quaglino

Fabio Pusterla
CENERE, O TERRA
pp. 220, € 20,
Marcos y Marcos, Milano 2018

Cenere, o terra, l’ultima raccolta di Fabio Pusterla, inizia dove finisce la precedente, Argéman (Marcos y Marcos, 2014): da un’immagine di volo. Col volo “di scatto e surplace” della libellula, “musica / che appare solo a istanti, per vettori / e frattali, / zig zag” si concludeva Argéman; Cenere, o terra si apre con una Preghiera della rondine (rondine e libellula spiccano sulle copertine dei rispettivi volumi, opera di Luca Mengoni) che vola “verso la chiazza di luce sul fondo / verso il riflesso del sole”. Alla libellula di Argéman si sovrappone nelle prime pagine di Cenere, o terra la libellula de L’analfabeta di Guido Gozzano: citata in esergo di Verso lo Zebio, nell’originale in rima con cellula (“come dal tutto si rinnovi in cellula / tutto”), esprime il sommo dei “misteri” della natura. Di questa metamorfosi incessante conserva memoria, verso la fine del libro, la libellula di Al vento di Focara, fossile “immobile sul grigio / di uno scisto argilloso”. Sono tanti i voli descritti nel volume: la sovrapposizione dei significati sulla stessa immagine, l’accertamento del “punto in cui qualcosa smette di essere solo se stesso e confina con l’altro, senza per questo potersi trasformare o smemorare” (ha scritto l’autore in un saggio) sono tra le condizioni più congeniali alla poesia di Pusterla. Cenere, o terra, forse più delle precedenti raccolte, si costruisce in questa intersezione, “sempre in bilico” tra l’affermazione di una momentanea presenza e la simultanea resa al continuo mutare delle cose (“E qui stiamo. / Col fiato sospeso, può darsi. Ma qui, / proprio qui, nel viaggio”): e la indaga in molti modi. Il primo è forse l’uso della preposizione “tra” con cui inizia l’epigrafe in capo alla raccolta, “Tra l’incerto oro e il vuoto”, tratta da una delle IX Ecloghe di Andrea Zanzotto, dove l’aggettivo “incerto” carica d’attesa l’oro del grano maturo, semanticamente opposto al vuoto dell’inverno e cromaticamente vicino, invece, al verde dei campi in primavera: “Verde del grano che alzi il capo e irridi / tra l’incerto oro e il vuoto”.

La compresenza di immagini distinte e del continuo passaggio dall’una all’altra è espressa in secondo luogo accostando immagini simili ma appartenenti ad ambiti distanti: per mezzo di elenchi o di similitudini e frequentemente attraverso apposizioni analogiche (i ciottoli neri che sulla spiaggia, tra i chiari, sono “occhi sgranati, pupille / intense prive d’iride. / (…) Piccole / screpolature del giorno, nebulose / oscure, dove si dice nascano le stelle”). Oppure mettendo a contatto condizioni opposte: attraverso l’uso di avverbi (“impedisce / non impedisce”), di congiunzioni (“non nega e non afferma”) spesso all’interno di interrogative (“morsa o apertura?”), o senza mediazioni (“La parola che indicibile / deve essere detta essere taciuta”).

Queste nebulose di significati in transito in terzo luogo si addensano in immagini di oggetti concreti: come i tanti ponti disseminati sui margini delle sezioni del libro, segni di passaggio conclusi ma mai univoci. Sono ponti che non esistono più, come in Ponte Chiasso e in Ponte bruciato, o ingannevoli (come in Sopra un’antica caduta), dei quali viene rilevato il fragile equilibrio che aggetta sul vuoto, come in Da ponti, rocce, sbalzi. Sono passerelle scricchiolanti, guadi travolti, un “pontile” che “staccava verso il nulla”.

E poi ci sono, in Cenere, o terra come in nessun’altra raccolta di Pusterla, i viandanti: figure compiute e in movimento, personaggi che portano scritta nella loro storia la traccia della trasformazione delle cose, personaggi in cammino, verso i margini. La raccolta si snoda idealmente da Dante a Ovidio passando per il Renzo dei Promessi sposi, confrontandoli e sovrapponendoli con altri personaggi variamente esulari: l’ombra del padre in Fantasmi a un concerto di Terry Blue, il bracconiere di Canzonetta per F.K., i due alpinisti di Am Gletscherrand, “persi nell’attimo, nell’essere e nel transito”, le tante apparizioni registrate quasi solo come spezzoni di voci in Frammenti metropolitani, Stanze del crepuscolo, Ipotesi circa grandi azioni.

Al centro della raccolta, un poemetto suddiviso in trentatré testi è dedicato al più compiuto e indecifrabile dei personaggi di Pusterla, il custode delle acque. Erede in qualche modo del Custode della piccola porta di Argéman, suggerito da un toponimo evocativo, la Casa del custode delle acque presso Vaprio d’Adda, è presentato – ma solo dopo la sua scomparsa – nientemeno che da un rapporto all’Illustre Signore delle terre alte sui mari (nello stile dei migliori personaggi caproniani!) e da una misteriosa frase di Leonardo da Vinci che condensa le sincronie di opposti che cozzano nella raccolta: “Dove finisce il nulla nasce la cosa; e dove manca la cosa, nasce il nulla”. L’acqua dell’Adda, protagonista della sezione, rispecchia questa compresenza: è un’acqua che “chiama e allontana, / verde menta o fangosa, limpidissima / o nera impenetrabile, ma sempre / pullulante, (…) sempre / in movimento”. Nella parte centrale della sezione, immediatamente dopo il monologo del custode – che si interroga sull’ordine e sulla misura, “sul punto (…) di alzare / paratie” – la violenza primigenia degli opposti riuniti nell’acqua esplode nella pagina attraverso tre componimenti che trascrivono brani di Leonardo (a lungo viandante e ospite sulle rive dell’Adda): “Quando acre e quando forte, / quando prusca e quando amara (…) quando salutifera o tosculente // Onde dicon che ‘n tante nature si trasmuta, / quanti sono vari i lochi onde passa”. L’acqua di Leonardo comprende nel suo fluire l’alterna vicenda dei contrari e delle trasformazioni del ciclo naturale: chiamata all’ordine delle chiuse e dei canali, alle dogane e ai porti che costruiscono la società civile, esonda invece con una veemenza che è anche verbale e che si trasfonde nell’elenco dei “vocavoli” con i quali Leonardo cerca di “descrivere la forza, la violenza dell’acqua”: “Ondazioni, rigamenti, bollimenti / (…) Sbalzamento, corruzione d’argine, confuscazione”.

La scansione in quattro sezioni, che si possono ricondurre agli “antichissimi quattro elementi (terra, aria, acqua, fuoco), (…) non già secondo il calcolo di un progetto, piuttosto attraverso un agguato dell’immaginazione” (scrive l’autore nella Nota finale), dà a Cenere, o terra una solidità immaginifica che le altre raccolte non avevano e alla quale si potrebbe forse associare l’etichetta bachelardiana di “immaginazione materiale”: all’interno di ogni sezione un nodo di immagini e significati si accumula intorno a ciascun elemento, moltiplicando come in un caleidoscopio i livelli e le prospettive. Con un simile principio di rimodulazione è organizzata anche l’ultima parte del libro, dove la citazione che dà il titolo al volume (tratta da Purg. IX, 115) attiva 12 testi che lo concludono in dissolvendo, dalle metamorfosi del fuoco alle miniere di carbone del Sulcis.

margherita.quaglino@unito.it

M. Quaglino insegna storia della lingua italiana all’Università di Torino