Jenny Offill – Tempo variabile

Una che non ha sfondato

di Camilla Valletti

Jenny Offill
Tempo variabile
traduzione dall’inglese di Gioia Guerzoni

pp 178, € 16
NN Editore, Milano 2020

Un ritorno attesissimo, che in America è stato accolto quasi come un evento messianico. Jenny Offill, una delle rivelazioni più acclamate dalla giovane critica militante statunitense, esce con il terzo romanzo dal titolo Weather, che la traduzione italiana restituisce come Tempo variabile. E giustamente ha scelto di porre l’accento sulla variabilità di questo nostro tempo che Offil disintegra, ancora una volta, con una scrittura aforistica, spezzata, tutta lanciata ad addensare in una immagine, in una battuta, in un dettaglio imprevisto, l’esistenza di una madre di Brooklyn.

Lizzie è una bibliotecaria sbarcata al lavoro senza il titolo necessario. Ha un marito, Ben, che trascorre molte ore in casa, un figlio piccolo, Eli, che frequenta una scuola dagli ambienti troppo grandi per lui che è un essere tanto piccolo, un fratello, Henry, con gravi problemi di tossicodipendenza, seduttore e cultore di pessimi film. Lizzie cerca di tenere tutto insieme, anche l’umore della madre, una donna gentile ma assai poco pratica. Sente la pressione di tutte le vite che dipendono da lei, spesso si perde, sempre divaga quando segue i programmi di geologia alla televisione. In più, va in crisi profonda quando la sua amica e psicologa Sylvia, le chiede di rispondere in sua vece alle infinite mail che otturano il suo computer. Qui Lizzie si perde nel mare di domande che arrivano dagli utenti. Lizzie si accorge infatti che è circondata da un nuovo millenarismo. La fine del mondo è percepita come a un passo, la terra è esaurita: «Che cosa sparirà per prima dai negozi? Cos’è la trance culturale? Cos’è l’internet delle cose?» Mentre Lizzie non sa cosa replicare, Sylvia sembra chiudersi in una forma depressiva sempre più acuta. E Henry che pareva proiettato sulla nuova paternità ha già tradito la compagna (la quale intanto invia segnali preoccupanti che svelano una grave instabilità) e ha riallacciato una relazione con una ex. Lizzie prova a rimodulare le sue massime, il supporto dell’ironia però sembra vacillare. «A un fratello che è un fardello, a una sorella che non ha mai sfondato», scrive su un tovagliolo di carta dedicando a Henry la sua vicinanza di sorella. Il programma “Pazzi per la spesa” non funziona più come calmante per una che non si dice dipendente dai sonniferi ma solo abituata a farne uso… Insomma, a Lizzie resta forse l’illusione di un amante, un tale Will che compare come possibile «accoppiamento assortativo», un simile che ama un simile. A Will, Lizzie si darebbe senza freni se lui accettasse anche il suo carico di vite, fratello tossico e collega depressa compresa. Ma nella vita le cose non vanno così, a casa l’aspetta un topo che non si riesce a stanare e la strana inconsapevole sensazione di essere in bilico tra un mondo che scompare e l’orto da coltivare, oltre l’ottimismo filosofico che non resiste agli attacchi del new age e della paura.

Un romanzo che ha una sua forte tenuta nonostante la forma scelta, nonostante le evocazioni che si richiamano e l’ironia che, se possibile, frantuma ancora di più il monologare della protagonista. Il nucleo è la domanda di fondo che ossessiona Lizzie: come fare a mantenere il proprio privato a fronte del disastro climatico, ambientale, psichiatrico che ci circonda. Ora che siamo passati dall’era degli uccelli, a quella dei rettili fino a quella delle piante da fiore, cosa vuol dire vivere nell’olocene? Come le creature ostinate di Aimee Bender, la Lizzie di Offill vagheggia di riparare i cocci e si lascia incantare dall’ultimo canto degli uccelli.