Michele Mari – Roderick Duddle

Il mondo schiavo del desiderio

recensione di Davide Dalmas

dal numero di settembre 2014

Michele Mari
RODERICK DUDDLE
pp. 496, € 22
Einaudi, Torino 2014

Si può scrivere oggi, in italiano, un autentico romanzo inglese dell’Ottocento? O addirittura del Settecento? Se sei Michele Mari (o Michael Murry) sì, puoi.

Michele Mari - Roderick Duddle - CopertinaPuoi scrivere un romanzo romanzesco, che fin dalla copertina invita a correre senza rallentare dietro i calzoncini corti e il berretto con la visiera di un ragazzino in controluce. E per il titolo, bastano nome e cognome del protagonista: sarà un orfano di Dickens? Un trovatello come Tom Jones? Un provinciale che vive avventure di mare come il quasi omonimo Roderick Random di Tobias Smollett? Il lettore troverà tutto quanto è promesso da questa apertura, e anche molto di più, in un’Inghilterra preindustriale, non cittadina, di ricche signore, tavernieri, marinai, pendagli da forca, suore, prostitute, avvocati, e di vorticosi spostamenti, ma quasi sempre a piedi. Nessuno si stupisce che l’autore di Io venìa pien d’angoscia a rimirarti o di Tutto il ferro della torre Eiffel sia un amante del passato, un maniacale riscrittore, che ricama con un fascio di ossessioni. Lo amiamo per questo. Non per la straordinaria capacità di scrittura, non per il virtuosismo citazionistico, non solo, insomma: ma per il sangue presente che ribolle anche nelle membra che paiono più atemporali o disseccate. Nessuno si stupisce che Roderick Duddle sia un romanzo di Dickens o di Fielding, ma forse colpisce che sia proprio un romanzo; e che sia felice.

È un romanzo dell’avventura, dell’intrigo, della trama, dell’intreccio labirintico e incalzante; tenuto in mano con maestria dal lavoratissimo gioco del narratore: ironico, complice, sempre in dialogo con il lettore, che è via via accompagnato, accarezzato, preso in giro e richiamato all’attenzione con una mirabolante sequela di aggettivi: mio impaziente lettore, mio sapido lettore, privilegiato, frettoloso, bennato, onirico, solerte, morboso, malizioso, prudente lettore; improvvido, sfrontato, fiscale, perplesso, connivente, perspicace, micragnoso lettore; avveduto, gnomico, viziato, partecipe, reazionario, e così via. Soprattutto paziente e tollerante, direi, nonché fedele e affezionato. E ho iniziato a prender nota solo da un certo punto in poi, evitando di inserire nel computo un “mio dilettante onomasta”.

E felicità anche per il semplice fatto che a un certo punto diventa (anche) un romanzo di mare; ammutinamento, e barile di mele, e Nantucket compresi. E Mari (o, nomen omen!), che già aveva fatto il suo con La stiva e l’abisso (oltre che con il venerabile Otto scrittori), può servire senza limiti la sua golosità lessicale di tutte le biscagline, golette, sagole, griselle, rande e bigotte che si possono desiderare, condite con esclamazioni che vanno dagli Affedidio e Sacramento dell’ouverture fino a un Crastúmberli!La felicità discende innanzitutto da questo grandioso divertimento della struttura narrativa complessa, fatta di innumerevoli incastri, soluzioni, incroci, abbandoni e riprese; tirata su con una lingua magistralmente srotolata, che gioca ariosamente con la tradizione delle traduzioni del romanzesco, spingendosi fino a qualche nota su fantasmatici giochi di parole “intraducibili”. E che conduce quindi il lettore a divertirsi, senza sgomento, anche di fronte alle peggiori nefandezze, crudeltà e perversioni (i capi d’accusa potrebbero andare dal reiterato omicidio a sangue freddo allo sfruttamento della prostituzione, dalla riduzione in schiavitù alla vendita di orfani, tralasciando ovviamente la presenza di una badessa radicalmente anticristiana o un caso di ermafroditismo che accende raccapricci e concupiscenze), librate come sono nella sveltezza leggera della narrazione.

Allora, visto inoltre che innumerevoli sono le forme del riferimento e del rifacimento (il capitano William Bones dell’Isola del tesoro è scelto come pseudonimo da un personaggio, poi è rivelato e discusso, la serie amplissima dei capitoli assai brevi, funzionali al continuo salto da un punto all’altro dell’intrigo, offrono anche un vastissimo terreno di azione per sfrenare il gusto per i titoli, che spesso rifunzionalizzano quelli famosi, come la stessa Isola del tesoro o Of mice and men), siamo di fronte a un divertissement?

Sì, certo, ma il romanzo più romanzesco che si possa immaginare, e proiettato lontano nello spaziotempo, è anche un romanzo urgente e autobiografico. Come nell’Orlando furioso, fin dal proemio sappiamo che la follia d’amore del protagonista è la stessa che lima l’ingegno dell’autore: il protagonista ragazzino è anche l’autore, e nel racconto si sdoppia fino a ipotesi di triplicazione.

La vera vita di Michele Mari, Roderick-Michael e Roderick-Malcolm, è questo insieme di parole, è tutte queste avventure. E la morale (le morali) della storia c’è, eccome: “Il mondo è schiavo del desiderio” (è l’abiezione non è “un mondo a parte”); il “maniacale e agonistico rapporto con le scartoffie” non tende ad altro che a “intuire, sfiorandola, la vita” e il “farsi carne” della cultura “è poi il modo più alto, essendo il più basso, di essere colti”.

davide.dalmas@unito.it

D. Dalmas insegna letteratura italiana all’Università di Torino