Giuseppe Imbrogno – Il perturbante

Il lato oscuro dei Big Data

recensione di Daniele Pipitone

dal numero di maggio 2018

Giuseppe Imbrogno
IL PERTURBANTE
pp. 149, € 14
Autori Riuniti, Torino 2017
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Giuseppe Imbrogno - Il perturbanteLa critica del proprio tempo è una costante della narrativa fin dalle sue origini; e così la problematizzazione del quotidiano, l’eliminazione della patina di scontatezza che ricopre l’esperienza comune del mondo. Sono però operazioni non facili, sempre a rischio di cadere nella banalità o nella laudatio temporis acti. Le porta a termine felicemente Giuseppe Imbrogno, con Il perturbante, secco e avvincente romanzo ambientato nella Milano del marketing e degli aperitivi, nel mondo dei social e del consumo customizzato. Lorenzo – il cognome sarà svelato solo alla fine, gustosa piccola sorpresa – è un data analyst, raccoglie e seleziona informazioni per un’azienda che profila la popolazione per conto di clienti di ogni tipo: grande distribuzione, industria dello spettacolo, servizi segreti, mass media. Come un moderno Sherlock Holmes, è allenato a leggere gli indizi che ogni individuo lascia di sé e a inferirne modelli di comportamento e profili di personalità. Ovviamente, con mezzi infinitamente più potenti: suo strumento principale sono i social, vero scrigno di informazioni personali messe liberamente a disposizione dagli oggetti dell’indagine. A differenza del detective di Baker Street, tuttavia, non è al servizio della giustizia ma del mercato; non cerca una spiegazione logica, bensì un pattern di comportamento; non ambisce a ristabilire un ordine, ma si limita rigorosamente a osservare senza interferire, regola base, anzi unica, che gli è stata impartita durante i corsi di formazione. Un incontro casuale con Sergio, quarantenne di successo e di grande carisma, lo porta però a trasgredire a tale regola, a sviluppare un interesse particolare, che presto diviene ossessivo, per il suo oggetto di analisi, e a incamminarsi su un piano inclinato che inevitabilmente lo conduce a superare i limiti della sua professione.

Una critica disincantata della società contemporanea

La vicenda è tutta qui, e l’abilità dell’autore sta proprio nell’arricchirla di significati psicologici e sociologici, senza cadere nello scontato o nel didascalico; e nel farlo muovendosi su una molteplicità di livelli sovrapposti (che già il titolo annuncia: perturbante non rimanda solo a Freud e allo spaesamento del quotidiano, ma anche a Heisenberg, alla modifica che l’azione dell’osservatore – Lorenzo – impone all’oggetto osservato). In primo piano, balza all’occhio una disincantata critica della società contemporanea e del mondo dei social (mai indicati per nome, peraltro). I big data, innanzitutto: il potere delle agenzie che – legalmente o illegalmente, poco importa – raccolgono ed elaborano l’immensa mole di informazioni immesse nella rete da ogni singola azione umana; il loro enorme potenziale di livellamento e di standardizzazione (“non esiste più la gente comune né, allo stesso modo, l’individuo eccezionale. Siamo tutti più o meno interessanti. Dipende dal cliente”, p. 145; la numerazione delle pagine viaggia a ritroso: come un download?).
La distorsione delle relazioni umane, in secondo luogo: nel mondo della connessione continua, esibizionismo e voyeurismo si alimentano a vicenda, in una spirale che annette progressivamente ogni sfera dell’emotività e sfocia in un’omologazione sottile ma non per questo meno pervasiva: “non sono più le nostre opinioni sugli oggetti a determinarci, il nostro livello di analisi, comprensione, rielaborazione dei fenomeni, no, siamo determinati unicamente dagli eventi di cui risultiamo fruitori, siamo la somma delle nostre esperienze, costantemente ne cerchiamo di raffinate, sublimi, uniche, ci illudiamo così di essere anche noi unici, sublimi, raffinati”. In terzo luogo, l’ironia sulle periodiche mode che, dal food al fitness, attraversano la società affluente. Infine, l’evaporazione del lavoro, che da un lato diviene sempre più precario e incerto, dall’altro perde importanza rispetto alle nuove forme di rendita garantite dal possesso di beni immateriali: “Oggi credere che sia ancora necessario lavorare per vivere è ingenuo, è patetico. Qualcuno lo deve fare, non un maschio bianco occidentale e di capacità intellettive superiori alla media”.

Non si tratta però di un romanzo verista, di analisi sociale. Non solo, almeno. Perché il narratore non è onnisciente, e la sua verità non è oggettiva ma prospettica, e viene via via messa in dubbio. Perché si scopre a poco a poco una dimensione metaforica, o allegorica. Lorenzo è alla ricerca della singolarità, della ricostituzione dell’individualità che lui stesso ha perso: di colui, Sergio, che sembra dominare il mondo dei social senza esserne dominato. Perché, infine, non vi è alcuna ambizione di tratteggiare uno spaccato della società; al contrario, al di là della complessità e della varietà del mondo un singolo aspetto della contemporaneità domina incontrastato, tracima in ogni ambito della vita fino a ricomprenderla tutta. Una nuova organicità totalizzante fa da sfondo alla vicenda, e ci rivela che non Balzac, bensì Orwell è il modello di riferimento. La distopia è la cifra propria di questa storia, che pure è ambientata nel presente e nella quotidianità. Della distopia, essa fa propri alcuni essenziali moduli narrativi: il tentativo del protagonista di uscire dal sistema, di ricostituire la propria individualità, inevitabilmente fallisce; il fallimento non porta alla ribellione, ma all’accettazione; e si scopre alla fine che il sistema (impersonato da Normann, misterioso Ceo dell’agenzia, il quale è il solo a non lasciare nessuna traccia nella rete) ha sempre saputo tutto, e tutto ha controllato. E come ogni distopia, l’intero romanzo è essenzialmente una domanda sulla libertà umana.

danielepipitone@hotmail.com

D Pipitone è scrittore

Giuseppe Imbrogno è stato segnalato nella XXIX edizione del Premio Italo Calvino: un estratto da Il perturbante.