Elisabetta Pastore – Non respirare

La mia droga si chiama Marco

recensione di Carlotta Romano

dal numero di marzo 2016

Elisabetta Pastore
NON RESPIRARE
pp. 244, € 18
Frassinelli, Milano 2016

Elisabetta Pastore - Non respirareLa vita come disegno senza logica, o forse la nostra anima come disegno senza logica, lontano dal buon senso e in lotta ostinata per cause paradossali: questo è il quadro che si compone nel leggere Non respirare di Elisabetta Pastore (testo segnalato dal comitato di lettura della XXVII edizione del Premio Calvino). Eppure seguendo la vita della protagonista – Veronica: trentenne, avvocato di giorno e voce di una hot line di notte – ogni sua linea è chiara e necessaria. Arrotondare lo stipendio pur con affanno, fretta e schifo serve a tenere in piedi un modo di vivere che la stravolge e mandare avanti la propria esistenza, devastata dall’amore per Marco, un giovane eroinomane. Unica isola di pace, unica azione che sembra a un tempo toglierla dal mondo e a esso ricongiungerla, è quella di fare ritratti. Veronica ritrae le persone anche prima di vederle, sentendone solo la voce, ritrae volti che ha visto solo per poco, ritrae tutti: i disegni la portano in un luogo di quiete e solitudine, in cui la sua mente riposa.

Per il resto, quale molla la spinge a sopportare lo squallore e le lacrime che continuamente versa, provando nausea per se stessa in un groviglio di dover fare, salvare, umiliarsi? Quale profonda necessità personale le fa scegliere di spendere ogni suo minuto in modo convulso, insensato? Forse quel grido di aiuto che crede di aver sentito in Marco, quando la prima notte è rimasto avvinto a lei come un animale smarrito che ritrova la madre? Oppure il sesso è un modo in più per stordirsi, l’umiliazione un’esigenza masochistica, l’unico modo in cui pensa di poter essere amata? O ancora, forse solo nascondendosi nello squallido tugurio della hot line riesce a tenere la vita lontana da sé, in una sorta di autodissoluzione?

Così, con l’inferno in corpo, Veronica vive per mesi: accanto a Marco, dice, ha tutto ciò che vuole, il suo uomo debole è la sua droga, la sua missione, il suo riscatto. Lei non sa vivere in modo saggio, si innamora dell’impossibile frutto della sua immaginazione. Il libro a guardar bene è, in questa ottica, il racconto di uno stato esistenziale. Come Veronica, neanche il lettore respira: con lei nel lercio stanzino della linea erotica, a casa sua nel piccolo alloggio distrutto dal malessere di un drogato, o nello studio legale dove le responsabilità del lavoro minacciano di continuo il suo disarmonico equilibrio. È proprio in questo incombere di urgenze che ogni parola diventa necessaria: uno stile asciutto, quello di Elisabetta Pastore, che racconta la realtà della sua protagonista senza compiacersi, senza giudicare, aderente a vicissitudini che tolgono il fiato, tanto da far nascere l’idea che a essere presa in esame sia proprio l’avventura di un’anima, nel labirinto delle sue contraddizioni. E Veronica saprà, stremata, districarsi dalle contraddizioni e trovare la via per la risalita: seguendo le linee di un disegno privo di segni riconoscibili, nel cui tracciato rinviene la forma unica del suo destino.

carlotta.romano@tiscali.it

C Romano è giornalista