Hamja Ahsan – Introfada

Un sufismo erudito e flemmatico

di Pietro Deandrea

Hamja Ahsan
INTROFADA
Lotta antisistema del militante introverso
ed. orig. 2017, trad. dall’inglese di Piernicola D’Ortona,
pp. 192, € 13,
add, Torino 2019

Questo piccolo libro è difficilissimo da incasellare. Forse la definizione migliore è quella proposta nella Nota iniziale dal traduttore (il solo che legga veramente un testo, scriveva Primo Levi): Introfada è un “manifesto fantapolitico”. La “Repubblica del Popolo Timido di Aspergistan” non esiste, ma Ahsan ne elabora una Costituzione provvisoria con cui apre il volume. Secondo i suoi articoli, l’Aspergistan vuole essere un rifugio “pantimidista” per tutti gli introversi oppressi dal “sistema globale della Supremazia Estroversa” e dal suo circo mediatico di proclami molesti, immagini invadenti, “consumismo compulsivo” e patriottismo sbruffone. Per gli introversi di tutto il mondo, vuole creare corridoi umanitari verso i propri spazi di contemplazione silenziosa. Ahsan è un artista-attivista premiato alla Biennale di Grafica di Lubiana. Questo libro è anche un bell’oggetto nero e bianco, che gioca sulla propria somiglianza con un libretto estremista radical-islamico. L’editore italiano non solo fa un gran lavoro nel mantenere questa specificità, ma la esalta ingrandendo il carattere di scrittura e quindi la leggibilità rispetto all’originale inglese. L’Introfada, però, ci tiene a chiarire di non essere un’organizzazione terroristica, anzi: come si specifica nel volume, è proprio la Supremazia Estroversa mondiale, alla pari del terrorismo, a cercare il centro dell’attenzione attraverso il rumore; al radicalismo islamico ed al suo narcisismo esibizionista si contrappone “un sufismo erudito e flemmatico da gentleman inglese”. Sembra qui di rileggere la prima parte del romanzo Exit West di Mohsin Hamid (Einaudi, 2017), dove i due protagonisti-amanti coltivano i loro spazi di quieta riflessione in una città deflagrata dalla guerra.

Dopo aver stilato le leggi fondamentali dell’Aspergistan, Ahsan illustra i princìpi del radicalismo introverso con una varietà di generi testuali che spaziano dal comunicato ufficiale al saggio teorico del movimento studentesco, dall’intervista a una militante dell’Introfada prigioniera politica alla recensione cinematografica (come l’interpretazione de La battaglia di Algeri dalla prospettiva degli studi introversi), dal progetto di Storia Orale al vademecum di servizi utili di pronto intervento. Questo susseguirsi di invenzioni parodiche è anche legato a una creatività linguistica fondata su una serie di neologismi, sfida non facile per il bravo traduttore: si veda ad esempio “shyria”, che declina la “Shari’a” islamica con il “shy” inglese (“timido”), resa poi in italiano con l’onomatopeico “ssssh’ria”.

Tra le righe, Ahsan crea degli echi che vanno ben oltre il bizzarro gioco intellettuale, e durante la lettura ci si domanda spesso: ma questo aspetto della cultura introversa non esiste già, in fondo? O perlomeno, non dovrebbe comunque esistere perché ne ha tutto il diritto? Insomma, Introfada finisce per porre questioni cruciali, in maniera beffarda e forse per questo ancora più incisiva. Ci sono poi delle parti in cui si sfiora la provocazione reazionaria che può inquietare, come il messaggio della delegazione hikikomori (“silenzio e riserbo fanno sì che il nostro messaggio non venga né strumentalizzato né piegato a fini sbagliati. Siamo inarrestabili”), oppure la solidarietà del movimento introverso a chi non può indossare il niqab, in nome del “diritto all’anonimato nello spazio pubblico”.

Questo piccolo libro è una lettura ideale per immaginare un centro d’equilibrio tra i decibel delle tante orge presenzialiste del nostro tempo. Ma aldilà del suo tema più esplicito, vale a dire la difesa della cultura introversa, delle sue potenzialità e dei suoi valori, il messaggio di Introfada mi sembra l’attenzione costante verso i margini, una palestra di consapevolezza riguardo al fatto che solidarizzare con una categoria oppressa può implicare l’oppressione di altre categorie subalterne, come le femministe che hanno fatto proprio il messaggio di Sylvia Plath marginalizzandone il valore per il mondo interiore dell’universo maschile (uno dei tanti riferimenti letterari di Ahsan, anche qui provocatorio). Non è un caso che Introfada immagini il primo corso di Studi Introversi a Berkeley nel dipartimento di studi postcoloniali. Gayatri Spivak, uno dei grandi nomi di questa scuola, identifica proprio la natura dei margini nella loro totale alterità: il margine si preserva restando tale, invece di occupare il centro, e così facendo agisce da guardiano per il nostro spirito critico. Ahsan ci racconta questo princìpio decostruzionista in maniera più brillante e meno monocorde di un saggio, e così facendo permette al suo piccolo libro di acquisire una grande risonanza. Ma sarà sempre una risonanza sottotraccia perché, come recita l’articolo 8 della Costituzione, “L’Aspergistan proibisce severamente il mainstream. Tutte le sue politiche saranno underground.”

pietro.deandrea@unito.it

P. Deandrea insegna letteratura inglese all’Università di Torino