Quattro modi per rovinare Dante e un modo per salvarlo

Non specialistico, attualizzante, cattolico o monumentale cercasi

di Justin Steinberg

Povero Dante. La pandemia ha rovinato il settecentesimo anniversario della sua morte. Quest’anno avrebbe dovuto essere pieno di celebrazioni, di conferenze, di mostre e pubblicazioni in suo onore. E invece alcune sono state cancellate, altre rimandate e altre ancora trasposte nell’etere. Anche se di fatto l’anniversario si sta ancora celebrando, è improbabile che questi eventi, a parte qualche eccezione di rilievo, destino granché entusiasmo in versione riadattata. Mi dispiace per i miei colleghi che hanno speso una gran quantità di tempo per organizzare questi eventi. È una delusione per loro e per i tanti che sono stati invitati a partecipare. Ma devo ammettere che io provo sollievo. Temevo un anno di celebrazioni ufficiali, tutto stipato di insipide conferenze accademiche. Anche se magari non lo ammettono, immagino che molti dei miei colleghi si sentano allo stesso modo.

Dante Alighieri resta il più influente autore medievale del mondo intero. Il campo degli studi danteschi invece non sta prosperando. Sono caporedattore della più antica rivista degli studi su Dante e vi garantisco che è sempre più difficile trovare saggi di qualità e so che altri redattori hanno lo stesso problema. Come possibile soluzione, vi propongo quattro modi per rovinare Dante e un modo per salvarlo.

1. Dante è solo per dantisti. Questo è il presupposto più diffuso e opprimente che minaccia la disciplina: se non hai studiato Dante per almeno un decennio non puoi capirlo. Oppure: visto che sappiamo ancora così poco su Dante dobbiamo essere massimamente cauti prima di pronunciarci. Ma questo monito castrante è semplicemente falso, perché in realtà sui testi di Dante sappiamo parecchio. La Divina Commedia più o meno riusciamo a capirla: non è il Finnegans Wake. Abbiamo a disposizione introduzioni eccellenti all’opera dantesca e tutta una serie di commenti esaustivi e accessibili. D’accordo: alcuni passi del Convivio, della Monarchia e del Paradiso sono particolarmente complessi e richiedono uno studio intenso per poter essere afferrati. Ma questo è vero per molte opere premoderne, sia artistiche che letterarie, e Dante, ben più di altri autori, scriveva per persuadere. I suoi testi non sono così impenetrabili che solo gli iniziati hanno il diritto di commentarli.

Il presupposto che Dante sia solo per dantisti danneggia la disciplina non solo perché limita chi può parlare, ma anche perché limita di che cosa si può parlare. Escludendo i non dantisti dal coro, i dantisti sempre più spesso si trovano a dialogare solo tra di loro e su un repertorio di argomenti prefissati. È questo, più di ogni altro, il motivo che rende la ricerca accademica e le conferenze su Dante così noiose. I dantisti affrontano una serie precisa di questioni già stabilite e commentano i commenti. Chi interviene con successo in questi dibattiti si afferma come sfidante legittimo al gioco di Dante; anche le carriere accademiche dipendono da questo gioco. Ma è così sterile.

2. Dante è uno di noi. Questo presupposto sembrerebbe meno elitario e dunque più condivisibile di quello precedente. E invece è più insidioso. Dire che il testo di Dante parli a noi qui presenti, nel momento storico che viviamo, senza dubbio ci è di conforto, ma c’è un prezzo da pagare. Quando ammiriamo i testi di Dante per la loro modernità non facciamo altro che appiattirli, privandoli (e privando noi stessi) della loro alterità ispida. Questo processo di familiarizzazione rende la poesia di Dante più accessibile, sì; ma anche meno stimolante. Addomesticare uccide la passione.

Non fraintendetemi però: non sono contrario a raggiungere un numero più ampio di lettori, anche se significa semplificare il testo di Dante. Mai fidarsi di uno studioso che non riesce a comunicare le proprie idee in modo lucido e diretto. Il problema non è tanto la divulgazione in sé, ma il modo in cui si aspira a toccare un pubblico più vasto: il problema è quando si insiste che Dante merita la nostra attenzione perché è un precursore del nostro qui e ora. C’è un narcisismo perverso nel bisogno della mia generazione di vedersi riflessa nei testi che studiamo. Ma perché mai l’arte, per piacerci, dovrebbe rispecchiare la nostra politica? E perché mai diamo per scontato che i nostri valori vadano celebrati ogni volta che li intravediamo? Leggere Dante catapulta i lettori in un dialogo serrato tra il familiare e l’alieno. È un dialogo spesso entusiasmante: e chiunque si accosti al poema ha il diritto di farne esperienza.

3. Dante è un poeta cattolico. La crisi delle discipline umanistiche in Europa e in Nord America non è certo una novità. Meno noto è come le istituzioni religiose siano riuscite a farsi spazio mentre le università laiche deponevano il loro impegno verso la letteratura e le arti. Per quanto riguarda gli studi danteschi, la University of Notre Dame (Indiana, USA) finanzia una parte significativa delle attività consacrate a Dante, attraverso programmi di dottorato, conferenze, progetti di ricerca e pubblicazioni varie. L’influenza di Notre Dame è internazionale: l’istituzione collabora in modo intenso con le università britanniche di Leeds e Warwick e con diversi dipartimenti italiani attraverso il Rome Global Gateway.

Gli appassionati di Dante di ogni credo dovrebbero essere grati agli studiosi che dirigono questi programmi. Per anni hanno promosso collaborazioni e sostenuto pubblicazioni. Sono dantisti di fama internazionale che stanno formando i migliori studiosi della prossima generazione. Io stesso sono stato agevolato dal loro sostegno e nutro un debito personale e professionale nei loro confronti. Ma la cosa più importante è questa: non ho mai subito nessuna pressione sui temi della mia ricerca; e meno che mai censura.

Eppure, è impossibile non notare un inconveniente nell’ascesa del dantismo cattolico. Gli studiosi che lavorano con questo orientamento tendono a minimizzare il conflitto nei testi di Dante. O meglio, se di conflitto parlano allora è del conflitto con la modernità, con la nostra incapacità di non credenti a comprendere fino in fondo Dante. Che lo facciano in modo consapevole o meno, celebrano un Dante ecumenico: un Dante genericamente medievale in opposizione a un mondo genericamente moderno. Le tensioni ideologiche che innervano nel profondo la poesia di Dante sono rimpiazzate da un contrasto tra l’allora e l’adesso che rischia di offuscarle. Se pensate che sia troppo severo, provate a fare questo esperimento. Scorrete la lista di conferenze, pubblicazioni e gruppi di ricerca sostenuti dal dantismo cattolico, e provate a trovare le parole “politica” o “economia”.

4. Dante è un monumento. Quest’ultimo presupposto è il principale responsabile delle celebrazioni in corso quest’anno. Dante fa oggi parte della cultura ufficiale. Nessuno è contro Dante, nessuno ne mette in discussione la grandezza. Tutti, al contrario, vogliono una fettina della torta Dante, per approfittare dell’associazione col suo nome: con la speranza che qualche traccia della sua autorità si trasmetta fino a loro. Come critici, non offriamo più nuove, magari controverse interpretazioni dei suoi testi, ma degli scoop: e questi scoop spesso si dimostrano più opportunistici che credibili.

Negli ultimi anni, la mentalità Dante è un monumento ci ha inondato di biografie in concorrenza tra loro, nonostante gli snodi essenziali della vita di Dante siano già ben noti. Tralasciando il loro valore intrinseco (per quanto mi riguarda, preferisco il volumetto di Giorgio Inglese), il fenomeno in sé è significativo. La biografia è spesso un genere reazionario. Non c’è bisogno di amare la letteratura per amare la biografia; anzi, la biografia si può anche usare come farmaco contro l’ambiguità della poesia. Questo è anche il motivo per cui gli editori adorano la biografia: perché vende. Diciamoci la verità: è più probabile che medici e avvocati conservino sui loro scaffali una copia della vita di Dante che della Vita Nova. Ma quando trattiamo Dante come un altro dei Grandi, come Lincoln o Garibaldi, attutiamo quel che è difficile e spigoloso nei suoi testi. Che cosa possono dirci tutte queste biografie della violenza sessuale che chiude la canzone dantesca Così nel mio parlar voglio esser aspro?

I turisti fanno foto del monumento a Vittorio Emanuele II a Roma perché è grande, bianco, si trova in centro, e soprattutto perché gli altri lo fanno. Temo che molti degli eventi previsti quest’anno per l’anniversario di Dante saranno celebrati per motivi analoghi. Dante sta lì, inamovibile, e i finanziamenti ci sono: così le varie organizzazioni si scervellano per trovare una prospettiva locale, o qualsiasi esile connessione per giustificare una giornata dantesca. Alcune di queste iniziative avranno più successo di altre. Ma in ogni caso abbiamo a che fare con fondi in cerca di idee invece che con idee in cerca di fondi. In questa situazione, spero allora che sia più chiaro perché esito con scetticismo di fronte a un anno pullulante di eventi danteschi.

Come salvare Dante. Quando sfoglio vecchi numeri della rivista “Dante Studies” del secolo scorso e li confronto con i numeri recenti, mi imbatto in un contrasto flagrante. È sempre più raro trovare oggi interpretazioni dei testi danteschi da parte di non specialisti. Non sto parlando dei saggi amatoriali che pretendono di risolvere qualche enigma del testo o degli approcci psicotici all’esoterismo dantesco: ne abbiamo fin troppi di entrambi. Ho invece in mente studiosi di altre discipline che si confrontano in modo serrato proprio con la poesia di Dante. È vero: pubblichiamo saggi su Dante e Proust firmati da esperti di Proust o saggi di storici dell’arte sulle illustrazioni della Divina Commedia. Ma vorrei leggere saggi sui testi di Dante scritti da persone colte che non siano specialisti di Dante. La critica dantesca è oggi divisa tra specialismo e divulgazione. Facciamo queste due cose: spieghiamo Dante agli esperti di Dante o lo rendiamo più appetibile per il grande pubblico. Accade di rado che intellettuali non specialisti pubblichino su riviste dantesche accademiche o partecipino alle nostre conferenze. E quelli che osano attraversare la frontiera sono spesso troppo reverenziali. Eppure il lavoro migliore è spesso proprio quello svolto dagli outsider. Ma non do la colpa ai miei colleghi se non vogliono giocare con noi. Se oggi dovessi sottoporre a double-blind peer review i saggi di Erich Auerbach, Leo Spitzer o Ernst Kantorowicz, sarebbero rifiutati: manchevoli di non citare abbastanza i loro colleghi.

Così questo è il mio appello a comparatisti, storici, storici dell’arte, filosofi, poeti e scrittori che sono stati ispirati dalle opere di Dante. Inviateci i vostri saggi, partecipate alle nostre conferenze, mettete in discussione i nostri presupposti, abbattete i nostri monumenti: salvateci da noi stessi.

hjstein@uchicago.edu.

J. Steinberg è direttore di “Dante Studies”, il giornale della Dante Society of America e insegna letteratura italiana all’Università di Chicago