Vincent Lemire (a cura di) – Gerusalemme. Storia di una città mondo


Nazionale, binazionale o universale?

di Piero Stefani

dal numero di luglio-agosto 2018

Vincent Lemire (a cura di)
GERUSALEMME
Storia di una città mondo
ed. orig. 2016, trad. dal francese di Valeria Zini
pp. 326, € 30
Einaudi, Torino 2017
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Vincent Lemire (a cura di) - GerusalemmeScrivere la storia di Gerusalemme dall’inizio fino ai nostri giorni è impresa che supera le competenze di un singolo studioso. Potrebbe del resto essere diversamente se si attribuisce credibilità al sottotitolo del libro: “Storia di una città-mondo”? La situazione vale sia dal lato degli autori, sia da quello del lettore. Vincent Lemire (esperto soprattutto del Vicino Oriente contemporaneo) ha infatti dovuto servirsi di alcuni collaboratori, Katell Berthelot per la storia più antica biblico-romana; Julien Loiseau storico e arabista, per il periodo medievale e Yann Potin per l’età moderna. Con tutto ciò il libro si presenta, ed è pregio non da poco, come un’opera unitaria e organica. Sulle prime sembra più complesso comprendere come stanno le cose dalla parte del lettore; la questione in realtà è semplice: siccome nessuno è in grado di abbracciare l’intera storia della “città mondo”, la persona colta che affronta questo libro scoprirà molte pagine inedite e sorprendenti, mentre ne troverà altre (quelle più prossime alle sue competenze) maggiormente conosciute e, in qualche passaggio, persino meno persuasive (l’edizione italiana contiene qualche refuso di troppo). La lettura nel suo complesso lo indurrà comunque a mutare molte sue precomprensioni.
Il testo inizia con un paio di affermazioni apparentemente ad effetto: «Gerusalemme è una città senza storia»; «Gerusalemme è una città senza geografia». Rispetto a Gerusalemme le memorie sono fragorose e le identità assordanti, ma la storia come disciplina scientifica è in sostanza assente o meglio è sepolta sotto il cumulo delle memorie. Alla fine del testo, dopo quasi trecento fitte pagine, si dichiarerà che scrivere una storia locale, sociale e urbana di questa città resta un compito quasi inaccessibile innanzitutto a causa della natura delle fonti “tutte più o meno velate e rivolte le une contro le altre”. Dal canto suo la geografia intesa come studio del territorio, del clima, del suolo, della popolazione è anch’essa quasi assente, coperta com’è dalla onnipresenza delle analisi geopolitiche. L’impostazione del libro è però in controtendenza, gli autori infatti dichiarano di rinnovare il connubio tra storia e geografia “la cui lunga complicità è una delle felici caratteristiche dell’ambito universitario francese”.

Gerusalemme nel Novecento

Raccontare la storia di Gerusalemme è arduo a causa di una precomprensione incentrata da un lato sul suo valore simbolico-memoriale e dall’altro sugli episodi di guerra e di conquista, vale a dire sulle rotture clamorose effettivamente presenti nella storia millenaria della città. Ciò fa sì che i periodi di stabilità – per esempio il secolare predominio ottomano – vengano, in sostanza, trascurati. In realtà in molte occasioni le continuità proseguono anche al di sotto delle rotture. Un’utile esemplificazione in tal senso la si può cogliere nel corso dell’ultimo secolo. Durante il Novecento i mutamenti politici vissuti da Gerusalemme sono stati rilevanti: prima l’impero ottomano, in seguito il mandato britannico, poi, a seguito della guerra arabo-israeliana del 1948, la città divisa tra Israele e Giordania, infine, come conseguenza della guerra dei sei giorni (1967), l’intera città (ovest, est e vecchia) passa sotto il controllo israeliano. Si aggiunga che nel 1980 una legge votata dalla Knesset la proclamò, con un atto privo di riconoscimento internazionale, capitale unica, indivisibile ed “eterna” dello stato d’Israele (su questo sfondo si comprende la portata del recente trasferimento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme ovest). Nello stesso arco di tempo la popolazione della città è grandemente cresciuta; discorso diverso vale però se si guardano le proporzioni dei suoi abitanti ebrei ed arabi: nel 1914 su 70.000 abitanti il 63 per cento erano ebrei; nel 1918 c’erano 45.000 abitanti di cui il 56 per cento ebrei; stessa proporzione nel 1931 quando gli abitanti erano saliti a 90.000 (allora il 44 per cento di arabi era diviso equamente tra musulmani e cristiani); alla fine della seconda guerra mondiale gli abitanti erano 150.000 mentre la componente ebraica costituiva il 60 per cento della popolazione; nel 1967 la presenza ebraica formava il 74 per cento della popolazione, scesa al 64 per cento nel 2006; dal canto loro le proiezioni indicano che nel 2020 (nonostante l’alto tasso di fecondità delle famiglie ebraiche ortodosse) gli arabi costituiranno il 39 per cento degli abitanti. Dopo il 1967, in una città i cui abitanti sono ormai circa 900.000, la popolazione ebraica si è moltiplicata per 2,5 mentre quella araba è quadruplicata. Anche a prescindere dai dati statistici, a un visitatore basterebbe recarsi nella Gerusalemme vecchia durante una sera di ramadan per vederla invasa unicamente di popolazione araba; ai suoi occhi si evidenzierebbe allora una inevitabile scollatura tra la definizione che la vuole capitale unica e indivisibile d’Israele e il vissuto della città. In sostanza, facendo del 1967 una data di totale rottura si confonde la storia urbana di Gerusalemme con la storia geopolitica del Medio Oriente. Resta comunque il fatto che alla parte est della città (quella araba) che rappresenta il 37 per cento del territorio, è riservato solo il 13 per cento del budget municipale mentre tutto il resto è destinato alla parte ovest.

In riferimento all’epoca islamica succeduta alla riconquista della città a opera del Saladino (1187), nel libro ci si imbatte in una frase non scontata: «Il fatto che gli ebrei si ristabilissero a Gerusalemme è paradossalmente la testimonianza più eloquente del ritorno della città santa nella Casa dell’islam». La notazione si colloca su due versanti. Il primo la collega a un dato al contempo leggendario e storico: la conquista di Gerusalemme da parte di Omar (635-638) e la conseguente scelta di far risalire a quel califfo le regole della dhimma, vale a dire le modalità con cui la “gente del libro” (innanzitutto ebrei e cristiani) devono risiedere nell’ambito delle società musulmane. In realtà, stando ai fatti, Omar non è mai giunto a Gerusalemme; eppure il riferimento a quella presunta disposizione ha storicamente funzionato. Il secondo versante si trova nella constatazione (in effetti riferita a un periodo a noi molto più prossimo) secondo la quale “l’humus principale dell’antisemitismo, anche a Gerusalemme, è costituito dall’antigiudaismo cristiano”. La situazione odierna, va da sé, non è più quella di quando si era sotto un potere musulmano. Un fattore che ha giocato un ruolo rilevante in questo mutamento è la comparsa tra Otto e Novecento di nazionalismi soggetti in quell’area a una laicizzazione parziale e momentanea a cui è seguito un ritorno pubblico della componente religiosa. In un primo momento ciò fu favorito dalla stessa potenza mandataria britannica; in seguito esso è stato alimentato da fenomeni nazional-religiosi emersi sia sul versante ebraico sia su quello arabo-palestinese. L’apparire di queste dinamiche tuttora operanti rende assai complesso individuare la via per risolvere il nodo di una Gerusalemme “lacerata dal suo triplice statuto di capitale universale, nazionale e binazionale”. Già qualche anno fa, il demografo Sergio Della Pergola aveva sostenuto che di fronte a Gerusalemme si dischiudono tre prospettive tra loro difficilmente componibili: a) essere la capitale di uno stato a prevalenza ebraica e la capitale simbolica della popolazione ebraica mondiale; b) evolversi verso uno status in cui si qualifica innanzitutto come una grande metropoli multiculturale e multireligiosa, punto di riferimento delle grandi religioni monoteiste; c) diventare la capitale di uno stato palestinese a prevalenza araba (Israele e la Palestina: la forza dei numeri, il Mulino, 2007).

Rotture e continuità

Gerusalemme fu coinvolta direttamente nella prima guerra mondiale, non così nella seconda, periodo nel quale in città vi fu una calma quasi assoluta. Proprio quando sugli ebrei europei si stava abbattendo la catastrofe più grande, la città dalla storia travagliata restava indenne. Nel corso dei secoli tracce di Gerusalemme sono state disseminate nel mondo intero (in edifici, arredi, mosaici, raffigurazioni, vestigia presenti in moltissimi luoghi), dal 1957 si è assistito, in un certo senso, a un processo inverso: da allora è lo Yad Vashem di Gerusalemme a essere diventato il memoriale per eccellenza della Shoah consumatasi in terra europea. In buona parte a motivo della fede monoteista nella resurrezione dei morti, Gerusalemme è tuttora contraddistinta dalla presenza di un gran numero di tombe ebraiche, cristiane e musulmane; ora la città ha anche un memoriale caratterizzato da milioni di morti privi di sepoltura e divenuto sede di cerimonie istituzionali. Pure rispetto ai morti vi sono sia rotture sia continuità.

stfpri@unife.it

P Stefani è teologo ed esegeta

Gerusalemme rientra all’interno di un Primo piano sulle città pubblicato sul numero di luglio-agosto 2018. Gli altri titoli segnalati sono: