Si chiude un anno e se ne apre uno nuovo. E vogliamo coralmente ringraziare Franco Matticchio che con l’illustrazione di dicembre ha forse superato sé stesso. Il gatto lungo e sonnacchioso disteso sul termosifone è la proiezione dei nostri desideri: come scriveva Thomas Eliot, i gatti sono, in fondo, gli unici esseri viventi che fanno quello che vogliono. Una scrittrice che scriveva ciò che voleva era Ursula K. Le Guin, ripubblicata per intero da Mondadori e ritratta nell’intervento di Domenico Gallo. Anarchica, femminista, dalla fantasia sbrigliata, Le Guin ha dipinto un mondo alternativo, liberato dal genere, sgravato dalla violenza. Il suo augurio, che facciamo nostro, era “vivete come nativi”. In un suo romanzo c’è una donna che nello specchio vede altri volti. Volti che rimandano a tradizioni e memoria collettiva. Come ci racconta Piergiuseppe Bernardi, nella sua articolata recensione al saggio di Michele Bacci I volti di Cristo per Carocci, la rappresentazione del volto di Gesù fu un processo che dalla devozione si trasferì alla materialità dell’opera. Scartato il profilo del corpo, scartata l’impronta del piede, si preferì il volto. “Il bel viso, le belle mani, i capelli ricci e le lunghe dita” come canonizza nel VI secolo un anonimo di Piacenza dopo aver visto con i suoi occhi una raffigurazione del Cristo. Volto e volti, quello parlante di Cyril Collard di cui scrive Silvia Nugara rileggendo le sue Notti selvagge in uscita da Articoli liberi, quello della creatura cucita dalle mani del Frankenstein di Guillermo del Toro, film forse poco riuscito nel commento di Mariapaola Pierini, ma ingombro di una rara tenerezza per un’estetica in bilico tra visionarietà e opacità della materia. Questa materia selvaggia a cui lavorò l’indimenticabile Jane Goodall, la studiosa degli scimpanzé del Gombe cui dedicò l’intera esistenza, scomparsa in ottobre a cui riserviamo una pagina curata da Marco Gamba.