Juan José Arreola – Bestiario

Struzzo sensuale e arrogante

recensione di Anna Boccuti

dal numero di giugno 2016

Juan José Arreola
BESTIARIO
ed. orig 1963, trad. dallo spagnolo di Stefano Tedeschi
pp. 64, € 7
Sur, Roma 2016

Juan José Arreola - BestiarioConcisione, ironia e vocazione immaginifica sono alcune delle qualità che animano Bestiario, raccolta di ventitré bozzetti – microfinzioni, si direbbe senza esitazione in area ispanica, ma alle nostre latitudini il genere fatica ad affermarsi – dedicati al mondo animale da Juan José Arreola, scrittore messicano celeberrimo in patria. Uscito nel 1963 e solo ora tradotto brillantemente da Stefano Tedeschi per Sur, Bestiario si inserisce tra i capolavori dell’“altro” canone ispanoamericano: un canone marginale perché atipico rispetto alla tradizione del romanzo totale, a cui appartengono, per intenderci, alcune tra le opere che hanno fatto conoscere la letteratura latinoamericana nel mondo, Il gioco del mondo di Julio Cortázar e Cent’anni di solitudine di García Márquez. Due canoni paralleli, dunque (tanto più che le opere citate escono a poca distanza l’una dall’altra, negli anni sessanta del boom editoriale latinoamericano) e, indubbiamente, dalla diversa fortuna. Ci pare per questo lodevole la scelta di riscattare piccoli gioielli della letteratura ispanoamericana finora ingiustamente trascurati. Ingiustamente, in questo caso, per la ricercatezza della prosa e l’esuberanza dell’invenzione. Si è rapiti infatti, dal proliferare quasi barocco di aggettivi, immagini, concetti con cui Arreola popola il proprio zoo: lo struzzo, “sgangherato, sensuale e arrogante”, le zebre “anonime e solipedi”, il rinoceronte, “toro blindato, accecato, inferocito” durante l’assalto, ma “bestia malinconica e ossidata” in cattività.

Quella che ci si offre è una galleria di animali antropomorfizzati che sfilano davanti ai nostri occhi, trasformati – attraverso l’analogia o la metafora di gusto surrealista – sempre in qualcosa d’altro: il rospo è “come un cuore buttato per terra” , gli uccelli rapaci “tutti, falconi, aquile, o avvoltoi, ripassano come frati silenziosi il loro noioso libro d’ore”: puro divertimento per il lettore. La corrispondenza tra uomini e animali – già specchio deformante dei vizi e delle virtù umane nei bestiari medievali – viene qui ripresa ma con intenzione ludica. Arreola, infatti, esalta il paradosso per arrivare a soluzioni inattese, neutralizzando ogni istanza esplicitamente allegorica o moralizzatrice: ne viene fuori un mondo alla rovescia che abolisce la distanza tra l’uomo e il regno animale. Natura e cultura, pertanto, non sono più nettamente separabili, l’una prefigura o spiega l’altra, come ci dimostra, ad esempio, il gufo: “capitello armonioso di piume elaborate che sostiene una metafora greca; sinistro orologio d’ombra che segna nello spirito un’ora di stregoneria medievale (…) la migliore illustrazione per i libri di filosofia occidentale”.
Chiude il volume, impreziosendolo ulteriormente, la postfazione in cui un altro autore di racconti perfetti, José Emilio Pacheco, rievoca le circostanze della genesi di Bestiario, l’incontro con Arreola e di come divenne suo “amanuense”. La vivida testimonianza di uno dei momenti di maggior effervescenza della cultura messicana risulta però troppo ermetica per chi sia poco familiare con il panorama letterario messicano: l’assenza di note di commento, infatti, non permette di dare profondità ai numerosi personaggi e ai luoghi che vi sono nominati, supponiamo per lo più poco noti al lettore italiano cui questo bel libro si rivolge.