#LibriInTasca: Maylis de Kerangal – Lampedusa

Raccontare l’emergenza da lontano

consigliato da Francesco Morgando

#LibriInTasca è lo Speciale che accompagnerà la vostra estate sul sito dell’Indice. Sarà un compagno di viaggio loquace e mai banale, e si comporrà di tanti consigli di lettura suggeriti da voci diverse e penne più o meno note: libri pensati per viaggiatori in cerca di avventure e tomi poderosi per chi poltrisce sotto l’ombrellone. 

Maylis de Kerangal
LAMPEDUSA
ed.orig 2014, trad. dal francese di Marta Baiocchi
pp. 80, 9 euro
Feltrinelli, Milano 2016

Maylis de Kerangal - LampedusaÈ il 3 ottobre 2013, a pochi chilometri dalle coste di Lampedusa è affondato un barcone su cui viaggiavano dei migranti, soprattutto eritrei. Nei giorni successivi la conta dei morti arriverà a 366, a cui si aggiungono una ventina di dispersi.  A Lampedusa arriveranno i capi di Stato, il Papa e la solidarietà di un’opinione pubblica scossa dalle foto delle centinaia di bare disposte in fila nell’hangar dell’aeroporto dell’isola. Le pagine intense e liriche di Maylis de Kerangal sono la cronaca intima di quella notte. La notizia che esplode nei media di tutto il mondo e, parallelamente, la ricerca personale di un significato da dare alla parola Lampedusa prima e dopo il naufragio. In una prova raffinatissima di Gonzo Journalism, questo libro è la storia di una ricezione, su come si racconta e come si elabora linguisticamente e moralmente una tragedia lontana, senza essere sul posto e ascoltando la radio in cucina. Lo strumento principale per riappropriarsi di quella parola, Lampedusa, è il ricordo e l’associazione di idee lontane. Lampedusa, per la de Kerangal è il nome di uno scrittore, quel Giuseppe Tomasi che ha descritto un ballo della società nobiliare in decadenza come se fosse un naufragio. È poi l’occasione per ragionare sulla propria biografia, sulla prima volta che è arrivata a Stromboli “con in braccio un bambino, ad aspettare un uomo che mi aveva fatto una promessa”,  per parlare delle songlines di Chatwin e di quel mistero quotidiano che sono i toponimi.

Gli ultimi due romanzi di Maylis de Kerangal avevano al centro un oggetto che muove e condiziona la storia. In un caso un ponte in costruzione, nell’ultimo, Riparare i viventi, un cuore. Un cuore che viene trapiantato da un corpo a un altro, protagonista senza essere personaggio. Lampedusa è un libro molto diverso, più breve, non narrativo. Ma con i due scritti precedenti condivide l’impianto di fondo. Se il ponte e il cuore erano il collante per mettere ordine in una storia affollata di voci, anche in questo caso Lampedusa è l’unico polo magnetico del testo, ma di segno invertito. Invece che tenere insieme disgrega, Lampedusa è un «nome che si deposita» per poi subito «rimbombare tra le pareti» e che rotolando come un «sasso, comunque ne propaga la poesia».

Maylis de Kerangal fa una scelta apparentemente contraddittoria: raccontare l’emergenza con una cadenza lenta, quasi rarefatta. In questo reportage dell’introiezione si crea un’aritmia tra il flusso, sottilmente divagante, in cui si accavallano i pensieri e il tempo lontano e affannoso delle ricerche in mare. Ci sono le notizie ascoltate in radio, che provano a ricucire il “qui” e l’ “altrove” di questo libro. Mimano il ritmo della tragedia, ma non possono, in alcun modo, accorciare la distanza. Ed è nella sfasatura tra questi due tempi che si può individuare lo scheletro morale del libro. Utilizzando un punto d’osservazione volutamente marginale, la de Kerangal trova uno strumento inadatto ma onesto per cercare un significato personale da contrapporre al significato mediatico di Lampedusa. E nello scontro tra i due si intravede, forse, un significato collettivo.

F Morgando è critico letterario

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