Vargas Llosa: storie appassionanti, complessità formale e tensione stilistica

Lo streap-tease al contrario

di Martino Gozzi

dal numero di aprile 2018

Mario Vargas Llosa - Meridiani vol. 2Vent’anni fa, Mario Vargas Llosa diede alle stampe un breve manuale di scrittura, intitolato Lettere a un aspirante romanziere (Einaudi, 1998). Grazie al pretesto fornito da un ciclo di lettere indirizzate, appunto, a un giovane autore in erba, Vargas Llosa si divertiva a ragionare sul senso del proprio mestiere, sulle proprie ascendenze letterarie e sulla storia segreta dei suoi libri preferiti. Fra i temi del volume – lo stile, il narratore, il tempo – c’era il principio dello strip-tease alla rovescia, una delle sue metafore più celebri. Così scriveva Vargas Llosa, all’epoca sessantenne: “Scrivere romanzi sarebbe dunque equivalente a quanto fa la professionista che, di fronte a un pubblico, si spoglia degli abiti e mostra il proprio corpo nudo. Il romanziere compirebbe l’operazione in senso opposto. Nell’elaborare il romanzo andrebbe vestendo, nascondendo sotto indumenti spessi e multicolori forgiati dalla sua immaginazione, quella nudità iniziale, punto di partenza dello spettacolo. Questo processo è così complesso e minuzioso che, molte volte, neppure lo stesso autore è in grado di identificare nel prodotto finito quella esuberante dimostrazione della sua capacità d’inventare persone e mondi immaginari”. Sfogliare oggi quel manuale pieno di intuizioni, animato da un tono insieme colloquiale e appassionato, è come srotolare sul tavolo da lavoro la planimetria di un edificio ancora in costruzione. E che immensa, gloriosa soddisfazione è ritrovare, nel secondo volume dei “Meridiani” Mondadori dedicato al premio Nobel peruviano (Mario Vargas Llosa, Romanzi, vol. 2, traduzioni dallo spagnolo di Angelo Morino, Glauco Felici, Federica Niola, pp. CLX-1552, € 80), infinite corrispondenze tra la teoria e la pratica, tra i libri che Vargas Llosa sognava di scrivere e quelli che ha effettivamente scritto.

Il primo volume (cfr. “L’Indice” 2017, n.6) , curato da Enrico Cicogna, raccoglieva i tre grandi romanzi degli anni sessanta, il trittico politico che aveva proiettato Vargas Llosa sulla scena letteraria mondiale: La città e i cani (1963), La casa verde (1967) e Conversazioni nella “Cattedrale” (1969). Tre capolavori – il primo e il terzo, in particolare – dettati da un’ambizione sfrenata, dilatati da una ricchezza nella rappresentazione del potere quasi enciclopedica, e tenuti insieme da una coerenza non solo tematica, ma anche stilistica (è in questo decennio che Vargas Llosa sperimenta maggiormente con la forma-romanzo e si appropria della lezione dei modernisti, ideando illusioni ottiche stranianti come i “dialoghi telescopici”). Molto più difficile era operare una scelta tra i sedici libri pubblicati dagli anni settanta in poi: come condensare in un unico tomo quasi cinquant’anni di narrativa?

Romanzi accomunati da una stupefacente felicità narrativa

Bruno Arpaia, curatore del secondo volume, ha fatto la scelta giusta, forse l’unica possibile: ha scelto i romanzi migliori. La zia Julia e lo scribacchino (1977), La festa del Caprone (2000), Avventure della ragazza cattiva (2006) e Crocevia (2016). Si tratta di libri molto distanti nel tempo e molto diversi fra loro per respiro e per genere, verrebbe da dire, eppure accomunati da una stupefacente felicità narrativa, un potere affabulatorio mutevole e irresistibile. Ed ecco che leggendo La zia Julia e lo scribacchino torna alla mente il principio dello strip-tease al contrario, o la creatura mitologica del catoblepa, ripresa da Flaubert e da Borges – entrambi maestri di Vargas Llosa –, ovvero l’animale che divora se stesso. “In senso meno materiale, certo, il romanziere va a sua volta frugando nella sua stessa esperienza, in cerca di appigli per inventare storie”. Basti dire che il protagonista del romanzo è un diciottenne di nome Mario che abita a Lima, ama la letteratura e si innamora di una zia acquisita, che finisce per sposare… tutti elementi riscontrabili anche nella biografia di Vargas Llosa, che naturalmente vuole confondere i piani per disorientare il lettore, presentandogli prima una scena familiare e poi smontandola davanti ai suoi occhi come le quinte di una scenografia, in un gioco postmoderno e ironicamente voyeuristico.

La festa del Caprone è indubbiamente il romanzo più grandioso di questa selezione, e dell’ultima stagione produttiva di Vargas Llosa. L’impianto narrativo ruota attorno alla figura sanguinaria del dittatore Rafael Leónidas Trujillo, detto il Generalissimo o il Benefattore, padre e padrone dell’isola di Santo Domingo per trent’anni, fino alla sua uccisione nel maggio del 1961. Tre livelli temporali si intrecciano nelle oltre cinquecento pagine di questo monumentale affresco storico, sociale e politico: l’ultimo giorno del Capo scorre lentamente, tra appuntamenti sgradevoli e vuoti cerimoniali; i congiurati che lo attendono di fronte al Malecón tentano, nell’agonia dell’attesa, di venire a patti con il proprio passato; e infine una donna, una professionista di successo con tanto di carriera negli Stati Uniti, Urania Cabral, figlia di un fedelissimo di Trujillo caduto in disgrazia, torna a Santo Domingo diversi anni dopo per chiudere i conti con il proprio paese. “Si può dire,” scriveva Vargas Llosa nelle sue Lettere, “soprattutto a proposito dei romanzi moderni, che la storia circola in essi, per quanto riguarda il tempo, come in uno spazio; infatti il tempo romanzesco è qualcosa che si allunga, rallenta, si immobilizza o comincia a correre in modo vertiginoso. La storia si muove nel tempo della finzione come attraverso un territorio, va e viene in esso, avanza a grandi falcate o a passettini, lasciando in bianco (abolendoli) grandi periodi cronologici e indietreggiando poi a recuperare quel tempo perduto, saltando dal passato al futuro e da questo al passato con una libertà che è negata a noi, esseri in carne e ossa”. Certo, per far questo occorrono grande maestria e una sensibilità quasi istintiva, animale, per il ritmo delle storie, e Vargas Llosa dimostra in queste pagine, per l’ennesima volta, di possedere entrambe.

È anche per questa ragione che le Avventure della ragazza cattiva sorprendono, almeno a prima vista: ancora una volta Vargas Llosa cambia rotta, mette da parte i modelli sperimentati in passato e sceglie di raccontare una storia d’amore che stupisce per linearità e semplicità, rinunciando ai punti di vista multipli e ai piani temporali sfalsati. Ma, com’è giusto aspettarsi da un romanziere del suo calibro, decide di collocare altrove – dove meno ce lo aspettiamo, per certi versi – l’innovazione: sì, perché in questa storia d’amore lunga una vita intera l’antagonista non è un terzo incomodo, un pretendente aggressivo o irrefrenabilmente fascinoso. È l’amata stessa, la niña mala del titolo, una ragazza (e poi una donna) determinata e indipendente, che strega il povero Ricardo senza mai concedersi a lui completamente, spuntando dal nulla, a più riprese, ai quattro angoli del mondo, mentre la vita sbalza lui dall’America Latina all’Europa, e noi vediamo scorrere sullo sfondo i decenni, le capitali, gli ideali, le mode, le battaglie e i compromessi. Con il consueto dono di sintesi, Javier Cercas ha scritto: “Vargas Llosa non ignora che il romanzo è forma, e che pertanto la bontà della storia che racconta dipende dalla forma in cui è raccontata. Detto più chiaramente: un risultato fondamentale di Vargas Llosa consiste nel ricordarci che il romanzo deve raccontare una storia appassionante, che ci emozioni vivere immaginativamente, ma che può raccontarla soltanto dotandosi della massima complessità formale e della massima tensione stilistica”.

Storie appassionanti, complessità formale, tensione stilistica. Volendo riassumere le principali doti di Mario Vargas Llosa, potremmo appuntarci questi tre elementi: elementi che lui stesso menziona nelle Lettere, attribuendoli tuttavia, con eleganza, ad altri scrittori. La riprova definitiva, per chi ancora dubitasse, arriva con Crocevia, il romanzo che chiude questo secondo volume dei “Meridiani”. Alla grande composizione sinfonica, Vargas Llosa preferisce qui la musica da camera per fare luce in una vicenda torbida, nella quale i vizi privati rischiano di inquinare le pubbliche virtù, trascinando due coppie di amici in un vortice di ricatti, sospetti e tradimenti. Inoltre, Crocevia riporta in primo piano un tema che percorre tutta l’opera di Vargas Llosa, dai primi anni sessanta a oggi, e cioè l’erotismo, l’esplorazione ostinata e sincera della sessualità, una raffigurazione della vita in tutta la sua pienezza sensoriale, fisica, materica, corporea. I suoi personaggi sono donne e uomini in carne e ossa, tutti.

martino.gozzi@scuolaholden.it

M Gozzi è scrittore