Sono uscite dal radar?
di Arnaldo Bagnasco
Pier Giorgio Ardeni
Le classi sociali in Italia oggi
pp. 288, € 20,
Laterza, Roma-Bari 2024
Questo di Pier Giorgio Ardeni è anzitutto un doveroso ricordo della pubblicazione, cinquant’anni fa, del Saggio sulle classi sociali di Paolo Sylos Labini, “il primo tentativo di collegare e corroborare una teoria della struttura di classe con i dati statistici disponibili”; di ciò che ha significato spingere una discussione allora prevalentemente teorica in direzione della ricerca empirica, orientata da assunti teorici ma capace di sollecitarne critiche e modifiche. Era stato un punto di partenza per domande e problemi su un tema cruciale, che negli anni successivi si sono poi complicati, per questo anche offuscati, e che vanno riproposti con la stessa decisione e intelligenza di allora.
Dove sono finite le classi sociali, che Sylos Labini nelle sue tabelle ci aveva per così dire fatto toccare con mano? I cambiamenti di economia e società sono stati tali che si è arrivati anche a dubitare di poter usarne il concetto. Ardeni non crede che siamo a questo punto: riparte da Sylos Labini per un libro che “non è [una]storia delle classi sociali, ma una riflessione sulla struttura sociale italiana oggi e su come si è evoluta dal dopoguerra, sulla discussione intorno a essa e anche su come i termini di quel dibattito sono cambiati nel corso del tempo”. Questa riflessione a vari livelli, aderente ai dati delle ricerche, è il motivo d’interesse del libro.
Si parte da Marx e Weber, che hanno parlato di classi in modi diversi ma pensando entrambi alla struttura delle società del capitalismo, dove le classi esprimono un conflitto di fondo, per interessi collettivi contrapposti. L’attenzione si sposta poi alla discussione in Italia negli anni sessanta e settanta; emergono quattro caratteristiche per la definizione delle classi, che rimarranno, variamente intrecciate, nelle ricerche successive: “il reddito, secondo le sue fonti; la professione e il tipo di lavoro; le condizioni di vita e i riferimenti socio-culturali, ovvero lo “stile di vita”, i rapporti di potere”.
Negli anni ottanta la società industriale è alle spalle. Il capitalismo cambia, la struttura sociale diventa più complicata: in epoca neoliberista “le classi sociali escono dal radar”. Si pensa che sia necessario guardare a più strati ascrivibili a disuguaglianze di diversi tipi (di genere, generazionali, culturali, di luogo di vita) ma i ricercatori, considerando temi come la mobilità sociale e appunto le disuguaglianze, ne trovano la connessione persistente con le relazioni economiche e di lavoro, e parlano così di classi, in tensione fra loro.
Con la terziarizzazione dell’economia le figure professionali si moltiplicano, crescono i lavoratori dei servizi, “la classe operaia si stratifica, scomponendosi in posizioni che finiscono per risultare anche molto lontane tra loro”. Globalizzazione, finanziarizzazione, innovazioni tecnologiche muteranno ancora la stratificazione.
Per capire bene l’evoluzione, è utile dedicare attenzione alla classe media, a com’è cambiata nel tempo e immaginata in politica (Sylos Labini l’aveva “scoperta” in Italia). In epoca neoliberista la crescita delle posizioni al centro della scala aveva alimentato l’ideologia del “siamo tutti classe media”, arrivando così a negare di fatto le classi e insieme le ragioni di un conflitto di classe: i ricchi si arricchiscano, i vantaggi goccioleranno in basso.
Le crisi di anni più recenti hanno però portato in evidenza tendenze di polarizzazione sociale, bassi salari, precarietà, insicurezza, paura di cadere, che hanno toccato a gradi diversi tutte le classi, polarizzandole anche al loro interno in frazioni garantite e non, favorite e non, chiuse in sé stesse, in un’economia che non funziona bene perché non si modernizza quanto necessario. Appare allora l’immagine della “fine della classe media” come chiave di lettura ideologica, non corrispondente ai dati, che ne mostrano piuttosto difficoltà e varietà interne ma insieme la persistenza, anche se di difficile definizione concettuale (accontentiamoci qui dell’uso di classi medie al plurale).
La polarizzazione non cancella le classi, ma rivela una struttura sociale frammentata e ingessata. Un richiamo realistico alle condizioni economiche e del lavoro nel nostro capitalismo permetterebbe di tornare in senso forte alle classi, e anche a pensarne un insieme dominante e uno dipendente in conflitto. In particolare: la classe operaia, dell’industria e del terziario, non è certo scomparsa; considerandola insieme a classi sfavorite del mezzo della scala e a chi è spinto al marg,ine dell’esclusione e della povertà, si può considerare unitariamente un consistente insieme sociale.
La politica però dimentica le classi, appare oggi incapace di pensare alla struttura sociale del nostro capitalismo, e di agire di conseguenza. Le attuali condizioni favoriscono una destra populista, nazionalista, securitaria, a fronte della quale la sinistra “non sa opporre una politica al di fuori del solco neoliberista”. Forse non è del tutto vero, ma sono comunque diventate chiare due cose: una reazione assertiva, e non solo difensiva in nome delle classi dipendenti, non può limitarsi ai temi della redistribuzione e dei diritti da garantire; si apre, infatti, il problema di elaborare una politica di sviluppo e modernizzazione dell’economia capace di funzionare, in mancanza della quale non s’intaccano le cause della società ingessata, delle disuguaglianze, senza più ascensore sociale. Qui sta la difficoltà maggiore di fronte alla quale ci porta il realismo di Ardeni. Che lo sa bene, perché è un economista dello sviluppo, con grande esperienza, e ne ha già scritto. Questo studio è per orlui l’occasione di ritornare sul tema, mettendo qui a frutto la sua ampia riflessione sulla struttura sociale del nostro capitalismo: il suo libro ha indagato le basi sociali della regolazione politica dell’economia.
arnaldo.bagnasco@unito.it
A. Bagnasco ha insegnato sociologia all’Università di Torino