Laure Murat – Proust, romanzo familiare

Dare un nome all’infelicità

di Mariolina Bertini

Laure Murat
Proust, romanzo familiare
ed. orig. 2023, trad. dal francese di Marina Di Leo e Giulio Sanseverino,
pp. 296, € 15,
Sellerio, Palermo 2025

Molti appassionati di Proust accarezzano un sogno: quello di entrare nel mondo della Ricerca. Inseguono il fantasma di Marcel a Illiers-Combray, tra i biancospini in fiore e le immancabili madeleines; vorrebbero veder cancellato, almeno per un istante, il confine tra realtà e finzione. Si può sorridere del loro feticismo, ma colpisce vederlo condiviso dal meno ingenuo dei lettori, Roland Barthes, che teneva a portata di mano una collezione di “foto di persone che Proust aveva frequentato”. Che cosa cercava in quelle immagini? Cercava – l’espressione è sua – una sorta di “intossicazione”: l’illusione di riconoscere in quei gentiluomini baffuti e in quelle signore dai grandi cappelli i personaggi della Ricerca del tempo perduto. Laure Murat, invece, ci racconta che sin da bambina non ha avuto bisogno di nessun artificio per avere l’impressione di vivere dentro la Ricerca: nelle pagine di Proust compaiono, citati con i loro veri nomi, parecchi suoi parenti, le cui genealogie si intrecciano con quella immaginaria dei Guermantes.

La coppia formata dai genitori di Laure, che si sposano nel 1960, sancisce l’unione tra due aristocrazie: la figlia maggiore del duca di Luynes, una delle più illustri famiglie dell’ancien régime, sposa Napoléon Murat, rappresentante di una nobiltà il cui prestigio rimanda alla leggenda napoleonica. Laure nasce nel 1967. I titoli nobiliari non hanno più valore legale da tempo, ma sul suo atto di nascita si legge: “Laure, Marie, Caroline, Principessa Murat”. E per certi aspetti, la sua infanzia e la sua adolescenza sono davvero quelle di una principessa delle fiabe. Nell’appartamento parigino di famiglia, i visitatori contemplano reverenti il fazzoletto macchiato del sangue di Napoleone o il piatto in cui ha mangiato dopo la battaglia di Austerlitz: testimonianze di un passato mitico la cui vitalità inesauribile sfida lo scorrere dei secoli. Ancora più fiabesca è la dimora dei nonni materni: il castello di Luynes, che domina la valle della Loira con i tetti a punta delle sue torri rotonde. Quelle mura massicce offrono protezione alla piccola principessa; però sono anche il simbolo di un’esistenza prigioniera di codici immutabili. La madre di Laure sembra trovare il senso della propria vita nella fanatica sottomissione a quei codici, ai quali sacrifica ogni slancio d’affetto; il padre invece evade con la mente grazie all’amore per la letteratura, passione che trasmetterà alla figlia. Per salvaguardare la propria indipendenza, Laure a vent’anni se ne andrà di casa; cercherà la sua strada nello studio della storia e in una serena accettazione della propria omosessualità, sfida consapevole al gelido moralismo materno.

È a questo punto che Alla ricerca del tempo perduto svolge un ruolo chiave nel suo processo di emancipazione: Proust cessa di essere per lei una figurina nell’album di famiglia – l’invitato a cena che la bisnonna collocava sprezzantemente in fondo alla tavola – per diventare il detentore di una visione rivoluzionaria della realtà. Se per l’ambiente di provenienza di Laure le gerarchie sociali erano un’immutabile seconda natura, Proust ne descrive invece la capricciosa fluidità. Se genitori e antenati etichettavano ogni essere umano in base alla sua caratteristica più evidente, per Proust l’individuo è un’entità plurale infinitamente complessa. Nell’egoismo dei Guermantes, celato dietro le buone maniere, Laure riconosce un tratto ben noto: “svelando gli arcani dell’ambiente in cui ero nata – scrive a questo proposito – Proust dava infine corpo e rilievo a tutto ciò che mi circondava e di cui fino ad allora avevo avuto solo una percezione incerta”.

Narratrice accattivante della propria vita, Laure Murat è anche una lettrice acuta del testo proustiano. L’angolazione soggettiva che adotta risolutamente diventa un sensibilissimo strumento di lettura. Forse soltanto chi, come lei, ha sperimentato il contatto gelido con una madre anaffettiva poteva cogliere con sicurezza nel bacio negato a Marcel bambino il nucleo originario dell’intera Ricerca; il punto cruciale da cui comincia un itinerario di creazione e di redenzione, “la trasformazione di un’infelicità senza nome in un romanzo esplorativo, dove ogni moto dell’animo sarà nominato, pensato, sentito, descritto, esorcizzato. La conversione di una catastrofe in opera d’arte”.

mariolina.bertini@libero.it
M. Bertini ha insegnato letteratura francese all’Università di Parma