di Cristina Lanfranco
Francesco Piccolo
La bella confusione
L’anno di Fellini e Visconti
pp. 282, € 20,
Einaudi, Torino 2023
Emiliano Morreale
L’ultima innocenza
pp. 213, € 16,
Sellerio, Palermo 2023
Due libri sul cinema, l’uno strettamente legato a due registi e due film, l’altro caleidoscopio di storie e personaggi singolari, accomunati però da una identica origine – una forte componente autobiografica – e da un senso diffuso di meraviglia verso l’arte cinematografica. La bella confusione racconta la storica rivalità fra Federico Fellini e Ludovico Visconti, colti nella contemporanea realizzazione di due loro capolavori, 8½ e Il Gattopardo. L’ultima innocenza raccoglie una serie di storie e personaggi che l’autore ha incontrato come semplice appassionato di cinema prima, e come archivista e docente di cinematografia poi.
Nel 1963 escono in sala, quasi in contemporanea, 8½ e Il Gattopardo, ottenendo entrambi un incredibile successo di pubblico e suscitando una serie di dibattiti che coinvolgono molti intellettuali italiani. Il comunista Visconti aveva scelto di trasporre su pellicola un libro che aveva ricevuto dure critiche di conservatorismo proprio dagli intellettuali del Pci: Fellini dal canto suo abbandonava la propria tradizione registica per realizzare un film privo di trama, influenzato dalla psicanalisi e senza una vera sceneggiatura. L’argomento certo non è nuovo, e Piccolo può contare su un enorme materiale documentario, che utilizza come uno scrigno di aneddoti, interviste, ricordi per seguire parallelamente la genesi dei due film: le discussioni fra registi e sceneggiatori, i dubbi, gli intoppi e i colpi di fortuna. Il lettore incontrerà una giovane Claudia Cardinale – protagonista di entrambi i film – divisa fra un set e l’altro, ogni volta costretta a cambiare il colore dei capelli; Burt Lancaster che legge e rilegge il libro di Tomasi di Lampedusa per entrare nella parte del Principe di Salina, e insieme convincere un riottoso Visconti ad accettarlo come protagonista; Fellini che trascina amici e collaboratori in interminabili giri in auto per Roma interrogandosi sul senso del proprio film. Numerosissimi sono i tipi umani disegnati da una inappuntabile scrittura, svelta eppure dettagliata.
La nota autobiografica è sempre molto presente: un incontro casuale con Claudia Cardinale innesca il desiderio di scrivere; l’autore ha nutrito una personale ossessione per 8½ rivisto da ragazzo decine di volte, e la lettura del Gattopardo ha rappresentato per lui il primo incontro con l’amore per la letteratura. Francesco Piccolo ha fatto del raccontare di sé una propria cifra stilistica, ma in questo libro l’autore sembra fare un passo indietro e cercare per se stesso un ruolo più sommesso e benevolo, come meno smaliziato, più pronto a cogliere la meraviglia della creatività e del farsi di un’opera. Piccolo riflette sull’inconsapevolezza dei due registi che, mentre girano il proprio film, non sanno di stare per firmare un capolavoro: e questa inconsapevolezza avvolge di sé anche gli spettatori che entrano in sala. E proprio riflettendo su ciò Piccolo sembra suggerire (forte anche delle discutibili critiche da parte degli intellettuali comunisti prima sul libro di Lampedusa, e in seguito sul film viscontiano e su 8½, critiche seppellite dalla storia) una maggiore lungimiranza alla comunità dei critici di professione, pur ammettendo la difficoltà di correttamente interpretare un’opera d’arte e, quando è il caso, riconoscere il capolavoro.
Un altro rilievo ricorrente è quello delle affinità fra i due film. In entrambi è fortissima l’identificazione fra regista e protagonista. In 8½ Guido, il regista in crisi, è lo specchio di Federico Fellini, così come il principe di Salina condivide con Visconti la consapevolezza della fine di una classe e più largamente della fine di un’era. Ancora l’elemento autobiografico influenza e avvolge i due registi proprio come, sessant’anni dopo, spinge Piccolo a scrivere. E dunque, con una simmetria che non sarebbe spiaciuta a Georges Perec, Visconti, militante comunista ma di antica famiglia nobile, fa un film su un principe consapevole della fine del proprio mondo e della propria classe: Fellini, indeciso sulla validità del proprio progetto e anche sul finale del film, gira un film su un regista che non è sicuro di che film girare e di quale finale dargli, e fa provini ad attrici che dovranno interpretare delle attrici al provino del film di Guido: e Piccolo, dal canto suo, scrive un libro su uno scrittore che deve scrivere un libro su Fellini e Visconti. Una bella confusione, ben raccontata.
Proprio dall’autobiografismo si può partire nella lettura di L’ultima innocenza di Emiliano Morreale, docente e critico cinematografico alla sua prima prova narrativa. Il libro si compone di una serie di storie su film, autori, vicissitudini che Morreale ha avuto occasione di conoscere dapprima nelle sale di Palermo come semplice appassionato, quindi negli anni di lavoro in un archivio cinematografico e quindi come docente di cinematografia. Il primo dei racconti porta al cinema Lubitsch, la matta impresa di Daniele Ciprì e Franco Maresco, l’insegna azzurra che si accende nell’estrema periferia di Palermo nonostante il continuo rischio di bancarotta. Le pagine dedicate alla rassegna del cinema horror, con la sala affollata dei personaggi dei cortometraggi di Ciprì e Maresco (“obesi dalla voce flautata, sessuomani devastati dai tic, giovani dal volto sfigurato con un occhio di vetro”) che incontrano gli attori dei film in rassegna, sono un buon assaggio dello humour che pervade molte pagine di Morreale. Sempre nei capitoli iniziali compare il figlio del boss mafioso Michele Greco, Giuseppe, pessimo regista, considerato un mezzo fallito dalla famiglia, e i capitoli successivi saranno un turbinio di storie e persone: Michał Waszyński, già regista del Dibbuk, mitomane e grande truffatore, poi sposo di una ricca vedova italiana, flâneur di professione; i due registi tedeschi Veit Harlan e Douglas Sirk, l’uno asservito al regime nazista, l’altro in fuga da Hitler, e i rispettivi figli, quello di Harlan che spenderà la propria esistenza a rinnegare il padre nazista, quello di Sirk trattenuto in Germania dalla madre, attore bambino di molti film di propagande nazista, poi arruolato e disperso sul fronte russo.
Un altro interessante segmento del libro è dedicato ad Alberto Grifi, del quale una assistente di Morreale trova appunti e spezzoni inediti relativi al suo film Anna, documentario sperimentale che seguiva una giovane tossicomane nella sua vita di strada. E ancora, Morreale conoscerà il bizzarro personaggio di F., fascista convinto, ossessionato dalle storie di spionaggio, massimo esperto del cinema porno italiano. Morreale ben descrive questo fuoco d’artificio di personaggi improbabili, alcuni dei quali potrebbero abitare nelle pagine di Enrique Vila-Matas (Waszyński e il dottor Pesavento sono così vicini fra loro, entrambi identità fuggevoli, entrambi imprendibili al mondo): lo assiste una prosa pulita, capace di cogliere l’assurdo, il ridicolo, ma anche la tragedia. E come La bella confusione, anche L’ultima innocenza volge a questo mondo di artisti e uomini d’affari, ballerine e truffatori, uno sguardo che resta sempre incantato.
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C. Lanfranco è italianista