In diretta dal Festival di Cannes 71: l’immagine e la memoria

Jean-Luc Godard, Ramin Bahrani , Jia Zhang-ke e Pawel Pawlikowski

di Grazia Paganelli

Cannes 71: Jean-Luc Godard - Livre d'imagePiù dei tappeti rossi e delle star, più della scelta di prestare maggiore attenzione ai film di registe donne e/o sulle donne, in questa prima metà di festival ha catalizzato l’attenzione, fatto discutere e pensare il nuovo film di Jean-Luc Godard, l’ottantasettenne regista nouvelle vague, scontroso e geniale, che da sessant’anni persegue un’idea di cinema tanto coerente quanto illuminante, fresca, giovane, profonda e talmente lucida sul nostro mondo contemporaneo da lasciare senza parole (l’intero festival sembra compiersi in suo onore sotto l’immagine simbolo di questa edizione, che riproduce il bacio tra Anna Karina e Jean-Paul Belmondo in Pierrot le fou). La sua presenza\assenza (non si è spinto fino alla Croisette, ma ha preso parte alla conferenza stampa in videoconferenza) ha contribuito a far parlare ancora di più del suo film Le livre d’image, riflessione in forma situazionista sul cinema, l’immagine, la memoria che in esse è contenuta, la poesia e il linguaggio, l’umanità e il senso politico di ogni gesto che compiamo. Un libro in forma di film, dalle infinite pagine, catalogo ipnotico di ritagli, parole, scene memorabili, dipinti, musica, storie, Storia. Cocteau, Eddie Constantine, Johnny Guitar, Pasolini nella Repubblica di Salò, L’Atalante, Rosa Luxembourg, Gauguin. Jean-Marie Straub e Danièle Huillet, Sicilia! e Apocalypse Now, l’olocausto e Menschen am Sonntag. La struttura è quella delle Histoire(s) du cinéma, montaggio vertiginoso di testi e frasi spezzate, immagini stesse deformate perché più forte sia il loro impatto. Film da vedere e rivedere, perché la sua intensità non si esaurisce in una sola visione e la profondità è tale da far girare la testa. Anche il sonoro è un territorio composto di molti livelli, per questo Godard ha messo a punto un sofisticatissimo sistema stereo per far scorrere contemporaneamente più canali e creare l’idea della pluralità di voci in contemporanea. Lo spaesamento dello spettatore è inevitabile ma necessario per un film che invita alla rivoluzione ed è perentorio nel proporre una diversa relazione con il mondo arabo, che contempli la poesia, la bellezza, la ricchezza culturale. Pensare con le mani, perché, dice “si dovrà fare la rivoluzione, e dovrà essere una buona rivoluzione”.

Cannes 71: una riflessione su passato, presente e futuro

E il pensiero, per analogie e differenze, va a Fahreneheit 451 (fuori concorso), che il regista Ramin Bahrani (di origine iraniana ma statunitense di adozione) pensa a partire dal romanzo omonimo di Ray Bradbury e dal film di François Truffaut del 1966. E se in Truffaut il ricordo del nazismo era ancora vivo, in questo targato HBO prevale la messa in scena del nostro presente\futuro, dominato dalle immagini e dal conformismo iper-tecnologico di una realtà sintetica, in cui il male sono le idee e la folla segue in diretta le azioni punitive dei dominatori dell’opinione pubblica. Come un Grande fratello di dimensioni sproporzionate, rispetto alle masse addomesticate dall’eccesso di connessione (come in Ready Player One di Spielberg) e da gocce sospette che tutti si iniettano negli occhi.

Cannes 71: Ramin Bahrani - Fahrenheit 451

Fahrenheit 451, di Ramin Bahrani

Il presente, però, è più spesso analizzato a partire dalla riflessione sul passato. Almeno questa sembra essere la tendenza dei film della settantunesima edizione di un festival che avrà bisogno in futuro di essere ripensato. Così il cinese Jia Zhang-ke, che in Ash is Purest White ripercorre ancora una volta la storia della Cina degli ultimi diciotto anni, attraverso la vicenda sentimentale e “professionale” di un piccolo e ambizioso mafioso locale e della sua donna. Si inizia da una casa da gioco scalcinata per proseguire in sale da ballo affollate di giovani e contanti, mentre l’economia cinese cresce a dismisura, i paesaggi cambiano radicalmente e i due non possono che ripiegarsi su se stessi e tornare a percorrere i propri passi, avendo perso affetti e ideali nel gigantesco meccanismo ormai fuori dal loro controllo.

Cannes 71: Pawel Pawlikowski - Guerra fredda

Guerra fredda, di Pawel Pawlikowski

Un’impossibile relazione amorosa tra un musicista e studioso di musica tradizionale e una cantante campagnola è al centro del film di Pawel Pawlikowski Zimna Wojina (Guerra fredda), controllatissimo racconto in bianco e nero di un’ossessione amorosa che torna indietro agli anni Cinquanta della Polonia stalinista, alla propaganda, alle rigidità di un regime invadente e autocelebrativo, andirivieni dei due amanti tra Parigi e Warsavia, tra perdita e ricerca di identità, le radici che fanno a botte con le ambizioni, i tradimenti inevitabili perché nulle cambia nonostante i sentimenti, che non si affievoliscono, ma si sfrangiano fino alla morte. Chi ha visto Ida ritroverà la stessa compostezza formale, mossa da un bruciante fremito sottopelle, che indaga i sentimenti senza nominarli o risolverli.

paganelli@museocinema.it

G Paganelli è critico cinematografico

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