Cristian Mungiu – Un padre, una figlia

Il fragile equilibrio fra legge e interesse personale

recensione di Francesco Pettinari

Cristian Mungiu
UN PADRE UNA FIGLIA 
con Adrian Titieni, Maria-Victoria Dragus, Ioachim Ciobanu, Vlad Ivanov
Romania, Francia, Belgio 2015

Per una felice coincidenza, all’ultima edizione del Festival di Cannes, si sono trovati insieme nella competizione del concorso i due nuovi film dei registi che nel decennio passato hanno dato il via a una vera e propria ondata di un nuovo cinema rumeno: si tratta di Un padre, una figlia di Cristian Mungiu e di Sieranevada di Cristi Puiu.
Il primo si è imposto all’attenzione internazionale con 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni, Palma d’oro a Cannes nel 2007, un film spietato, rigoroso, e bellissimo; sulla negazione di un diritto quale l’aborto durante il regime di Ceausescu. L’altro, due anni prima, vinse il Certain Regard di Cannes con La morte del signor Lazarescu, l’assurdo e grottesco calvario di un pover’uomo malato tra cinismo, indifferenza e intoppi burocratici.  A loro si sono aggiunti una schiera di nuovi registi, tra i quali Calin Peter Netzer – Orso d’oro a Berlino 2013 con Il caso Kerenes -, Corneliu Porumboiu, Florin Serban, Radu Jude, e nomi emergenti come Bogdan Mirica e Adrian Sitaru. A Cannes i due film rumeni sono stati tra quelli maggiormente apprezzati dalla critica internazionale, anche se nel palmarès è entrato solo Mungiu, che ha conquistato il premio per la miglior regia, seppure condiviso con Olivier Assayas e il suo Personal Shopper. Sieranevada di Puiu, opera della durata di quasi tre ore, interamente girata – a parte le scene iniziali – in un appartamento dove, intorno a una veglia funebre, si confrontano generazioni diverse sulle vicende storiche della Romania negli ultimi decenni, è il candidato della Romania per la corsa all’Oscar come miglior film straniero e verrà distribuito in Italia da Parthénos.

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Una scena del film Oltre le colline

Il film di Mungiu è arrivato nei cinema grazie a Bim alla ripresa della nuova stagione, in un momento in cui le sale cinematografiche non sono ancora gremite di spettatori, ciò nonostante è un’opera che merita molta attenzione, perchè conferma appieno il talento del regista, il quale, dopo la Palma d’oro, nel 2012 ha firmato un’altra opera eccellente, Oltre le colline, un amore tra due ragazze distrutto dal fondamentalismo ortodosso, premiato anche quello a Cannes per la sceneggiatura e per entrambe le interpretazioni delle protagoniste. Un padre, una figlia, che si porta dietro altri titoli, Bacalaureat, Graduation, Family Photos, tutti inerenti la sostanza del film, è, di nuovo, un’opera a espansione progressiva, a dire che pur mettendo in scena una vicenda specifica, la trama si allarga a un’ampiezza di sguardo che si estende non solo sulla fotografia di un intero Paese, la Romania post Ceausescu, ma anche su una produzione di senso che non si ha motivo di non definire di portata universale.

La trama

Siamo a Cluj-Nopoca, una cittadina nel cuore della Transilvania, situata a circa cinquecento chilometri a nord ovest di Bucarest. L’immagine di un quartiere popolare; un interno; e poi una pietra che rompe un vetro; un segnale di minaccia, di precarietà, di equilibrio spezzato; quel vetro rotto che in seguito occuperà un’intera inquadratura prima che le mani del protagonista vi appongano una riparazione provvisoria; un’immagine simbolica di tutta la vicenda. Il protagonista, Romeo (Adrian Titieni), è un medico cinquantenne, un professionista rispettato soprattutto per la sua onestà, perché non domanda soldi extra ai suoi pazienti per le sue prestazioni; d’altro canto, è un uomo che vive e convive con un equilibrio precario: lo si vede che dorme nel salotto, e non in camera da letto con la moglie. Più avanti infatti lo si ritrova a casa dell’amante, anche se il loro è un rapporto clandestino, almeno così lo vivono, e la donna, dopo un anno, rivendica da parte di lui scelte più responsabili. Il motore, il centro di questo equilibrio, è Eliza (Maria Dragus), la figlia di Romeo, una ragazza che sta per sostenere l’esame di maturità e per la quale si prepara un radioso avvenire: essendo una studentessa modello, con una media di voti che sfiora il dieci, si è già guadagnata una borsa di studio per Cambridge dove andrà a studiare psicologia. Il sogno di un futuro migliore per la figlia rappresenta l’ideale regolativo che mantiene costante la rettitudine e l’integrità di Romeo, e della moglie Magda, il riscatto della loro delusione per essere tornati – nel 1991 – nella Romania post comunista senza però trovare quello che si aspettavano.

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Il giorno prima degli esami ci pensa il caso a far esplodere un equilibrio assai fragile: Eliza viene aggredita nei pressi del liceo; ha un polso lussato e ha rischiato di essere stuprata. Il film però non diventa l’esplorazione delle conseguenze del trauma dell’aggressione: al contrario, questo evento mette in moto un meccanismo di ostacoli e di pressioni che mettono in crisi e fanno saltare la presunta integrità di Romeo. L’esame di Eliza è compromesso, sia per lo shock psicologico sia per l’handicap fisico; Romeo comincia un’odissea urbana per cercare una mediazione, un intervento che permetta alla figlia di superare l’esame con il massimo dei voti. Si rivolge prima al capo della polizia, un suo amico ed ex compagno di scuola, e probabilmente di aspettative disattese, il quale lo mette in contatto con un funzionario politico molto influente che infatti parla con il preside del liceo; tutto però ha un prezzo: Romeo da parte sua dovrà ricambiare il favore interessandosi dei problemi di salute del politico, il quale è in attesa di un trapianto di fegato.

La svolta

La decisione di Romeo si rifletterà negativamente sui rapporti famigliari: la moglie non accetterà la sua scelta, e finirà per cacciarlo di casa, quando anche l’unico filo che la teneva unita a lui – quello del progetto sulla figlia – si macchia di corruzione. Dal canto suo Eliza rifiuta di contaminarsi con la vischiosità che il padre le propone in nome del suo futuro, lei che dovrebbe rendere riconoscibile e quindi identificabile la sua prova scritta. Anche il fidanzato dello figlia si pone come ostacolo:  dalla registrazione di una telecamera sembra che il ragazzo passasse sul luogo dell’aggressione ma che per paura non sia intervenuto e non abbia avvertito la polizia; ma è solo una supposizione di Romeo che lo porta a uno scontro anche fisico con il giovane.
Tutto il film è costruito secondo una gradualità progressiva, come un crescendo di pressione e di tensione che si abbattono sul medico, come se il suo essersi piegato alla logica del compromesso lo renda colpevole rispetto agli altri e quindi punibile.

Infatti, dal momento che il politico è indagato, vengono intercettate le sue telefonate, e Romeo si ritrova coinvolto nelle indagini. Nel finale assolutorio, il pessimismo diffuso per tutta la durata del film – centoventisette minuti – si apre alla speranza: in fondo Romeo si è compromesso ma ha fatto quello che probabilmente farebbe qualunque padre in nome di un torto subito dalla propria figlia. Eliza ha superato l’esame perché al di là del rigore della legge, gli esaminatori sono stati comprensivi, l’hanno vista piangere, e le hanno concesso un supplemento di tempo; in questo modo non ha avuto bisogno di identificare il suo testo, è lei quindi che ha preservato, suo malgrado, l’integrità morale; è lei che si riserva il beneficio del dubbio: non è più sicura di voler partire per l’Inghilterra, forse resterà in Romania a combattere per quell’ideale di futuro che ai genitori è stato negato.

Resta però una sensazione di qualcosa che trascende la vicenda specifica; sono continuati i segnali di minaccia: i tergicristalli alzati, il parabrezza distrutto da un’altra pietra. La sequenza che più lascia il segno è quella del prefinale: Romeo è insieme al figlio dell’amante in un parco giochi: è un bambino che ha conosciuto da poco, e che gli si è mostrato – così come allo spettatore – col viso coperto di una maschera piuttosto inquietante: ebbene, il piccolo colpisce con una pietra un altro bambino e, a fronte del rimprovero di Romeo, si giustifica dicendo che l’ha fatto perché l’altro non voleva rispettare le regole.

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Come in 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni, anche in questo nuovo film l’esigenza di raccontare la realtà con un approccio etico e non semplicemente documentaristico si traduce in una messa in scena all’insegna del rigore, del controllo assoluto, di una regia da premio che trova il suo ritmo nell’utilizzo insistito del piano sequenza, di quello strumento della grammatica cinematografica che fa coincidere il tempo filmico con il tempo reale; non solo, Mungiu sceglie la fissità, la macchina da presa resta per la maggior parte del tempo ferma, ma le inquadrature non sono mai statiche, grazie allo sfruttamento magistrale della profondità di campo che arricchisce sempre quello che accade in primo piano; così come la sceneggiatura, firmata dallo stesso regista, non ha una sbavatura, non c’è una sequenza che non sia funzionale alla produzione di senso e non semplicemente allo svolgimento della trama. Un cinema denso, dal respiro romanzesco, dalla tenuta perfetta, rigoroso sì, ma mai punitivo nei confronti dello spettatore. Un film che nel riproporre il dilemma tra l’astrattezza della legge e la necessità di cercare una forma di giustizia da parte del singolo, riguarda e abbraccia tutti.

fravaz_tin_it@hotmail.com

F Pettinari è critico cinematografico