L’evoluzione storica del rapporto uomo-animali

Volpi da compagnia

di Marco P. Ferrari

dal numero di marzo 2017

La storia, scritta da una specie egocentrica come Homo sapiens, non poteva che trattare di guerre, accordi, invasioni e scomparse di imperi in cui solo gli uomini stessi sono protagonisti, deuteragonisti e semplici comparse. Eppure uno sguardo un po’ più freddo avrebbe potuto permetterci di capire che per buona parte della nostra vicenda “che conta” siamo stati accompagnati da altre specie, che hanno profondamente modificato il nostro comportamento, il nostro impatto sul pianeta, persino il nostro modo di pensare e di evolvere. Anche qui, però, quando si tratta di parlare degli animali domestici o addomesticati la prospettiva è sempre centrata su di noi. L’uomo, si dice, ha trasformato uno o più selvaggi predatori in buoni amici, l’uomo ha completamente cambiato la natura aggressiva di un enorme erbivoro e lo ha fatto diventare una specie di macchina da carne e latte, l’uomo ha plasmato la forma di un piccolo abitante delle steppe asiatiche in un “nobile animale” protagonista di leggende. La trattazione è comune a molti libri anche di alto livello, come l’ormai classico Storia naturale della domesticazione dei mammiferi, di Juliet Clutton-Brock (Bollati Boringhieri, 2001).

Richard C. Francis - AddomesticatiIl libro Addomesticati  (L’insolita evoluzione degli animali che vivono accanto all’uomo, ed orig 2015, trad. dall’inglese di Francesca Pe’, pp. 496, € 25, Bollati Boringhieri, Torino 2016) invece restituisce la storia a uno scenario più simile alla complessa realtà. Scritto dal divulgatore Richard Francis (che però ha ‒ e si nota ‒ una formazione in neurobiologia) segue passo passo, con scansione quasi enciclopedica, la storia delle interazioni tra molte specie e la nostra. Si va dal cane al gatto al cavallo alle renne, fino ai roditori e alla nostra stessa specie: vedremo come.

Il libro parte però da una piccola ma interessante vicenda, quella delle volpi di Dmitry Belyaev. Anche se si svolge tutta nel secolo scorso, e solo in Siberia, racconta molto di quanto accadde nel passato ad alcune specie che abbiamo accanto. Belyaev, un genetista isolato durante lo stalinismo nella fredda Novosibirsk, colpevole di darwinismo e mendelismo in un’epoca dominata dal lamarckiano (circa…) Lysenko, fu ridotto ad allevare volpi da pelliccia (che sono le comuni volpi, Vulpes vulpes, con un manto folto e a volte grigio perla). Ma, scienziato fino in fondo, continuò a cercare nei suoi animali tutti i principi dell’evoluzionismo più classico. Il suo obiettivo era avere prima di tutto animali poco aggressivi e quindi facili da maneggiare, ma il susseguirsi delle generazioni portava con sé anche tutta una serie di modifiche non volute nel corpo delle volpi e non solo nella loro mente: orecchie flosce, coda abbassata, mantello molto variabile, a macchie bianche e nere. La selezione per la mansuetudine aveva, in breve, trasformato le volpi da pelliccia in animali dal mantello colorato e la coda bassa: in una parola, molto simili ai cani. Tutta la storia di Belyaev e delle sue ricerche è raccontata da un affascinante libro, How to Tame a Fox (and Build a Dog), di Lee Alan Dugatkin, appena uscito – 2017 – da University of Chicago Press.

Con estrema cura e precisione, tanto che il libro può a volte risultare enciclopedico, Francis cerca di illustrare come lo stesso percorso di addomesticamento di Belyaev possa essere rintracciato anche nel passaggio da un animale selvatico a uno domestico. Come è accaduto nel passaggio (durato ovviamente decine di migliaia di anni, non qualche decennio) da lupo a cane. Raccontato dall’autore, il processo non è più un freccia che va dal lupo al cane grazie alle capacità/necessità dell’uomo, ma un’inestricabile interazione tra selezione naturale e artificiale, tra lupi che si avvicinano volontariamente agli accampamenti e uomini che scelgono i più docili tra gli animali che si aggirano nei villaggi. Quando questo sia avvenuto è, anche al momento della stesura del libro, piuttosto misterioso. Pare che sia stato un processo a due stadi, in cui a una prima domesticazione in Europa o Vicino Oriente circa 30.000 anni fa se ne è aggiunta una seconda, circa 15.000 anni fa, nel Sud della Cina. L’animale derivato da questi avvenimenti era non troppo dissimile all’antenato lupo; il vivere accanto all’uomo ha però allentato per così dire la selezione naturale e l’animale che ne è derivato ha un mantello variabile, è più piccolo di un lupo, e rispetto a quest’ultimo decisamente multiforme. È interessante notare come il grande rimescolamento e la selezione spinta verso il numero di razze oggi esistenti sia avvenuto però solo negli ultimi due secoli. A questo riguardo Francis non può fare a meno di stigmatizzare la volontà di alcuni allevatori che spingono razze molto desiderate, spesso da compagnia, verso canoni estetici che potremmo chiamare deviati, che selezionano strutture corporee grottesche e che portano a una morte precoce e spesso dolorosa. Un esempio sono i cani dal muso schiacciato come il carlino o il bulldog, che hanno notevoli difficoltà respiratorie.

Richard C. Francis - Addomesticati

Un fondamentale fattore nella domesticazione del lupo è stata la sua spiccata socialità, che potrebbe averne facilitato l’interazione con una specie differente ma altrettanto sociale, come la nostra. Per questa ragione non è vero, per esempio, che il cane consideri il “padrone” come un lupo alfa del proprio branco e lo rispetti e obbedisca per quello. Anzi, proprio questa è la particolarità della domesticazione del cane; la convivenza con l’uomo ha profondamente cambiato la psicologia di una specie, facendo sì che la comprensione delle esigenze e stati d’animo dell’altra specie siano una sua caratteristica peculiare. Il cane, in definitiva, è l’unica specie che ci capisca veramente.

Non si può dire lo stesso per l’altro importante animale domestico, il gatto. L’origine come cacciatore solitario permette ai gatti un’autonomia psicologia ignota ai cani, e una relativa noncuranza dello stato d’animo del padrone. Anche in questo caso, la sua presenza nelle nostre case non è dovuta solo a un’esigenza umana (la cattura dei roditori che si nutrono delle derrate immagazzinate) ma alla presenza casuale e opportunistica del gatti selvatici, molto probabilmente della sottospecie africana, attorno alle nostre case. Le modifiche della specie selvatica, come accadde per il lupo, sono state importanti, ma neppure lontanamente paragonabili a quelle cui abbiamo sottoposto il cane. Lo stesso copione di coesistenza, cooptazione e collaborazione è molto probabilmente avvenuto anche per altre specie addomesticate, dalla gallina al maiale alla pecora.

Quello che emerge dall’analisi di Francis è che nei processi di domesticazione è sempre stata importante l’interazione tra vari aspetti. La dimensione temporale, per esempio, perché più tempo un animale passa accanto all’uomo più viene modificato. Ma anche la struttura sociale, l’attitudine alla collaborazione anche con altre specie, la flessibilità genetica (una variabile piuttosto sfuggente, in realtà), l’utilità per l’uomo e, perché no, anche il fattore Bambi, l’aspetto più o meno infantile della specie originaria.

In questo, Addomesticati potrebbe essere affiancato a una parte importante, quella che riguarda appunto la domesticazione, di un altro classico della divulgazione, Armi, acciaio e malattie (Einaudi, 1997). Nel volume l’autore, Jared Diamond, descrive quelli che secondo lui sono i fattori etologici per cui alcune specie (il cavallo, per esempio, che può vedere l’uomo come “padrone”) sono state addomesticate e altre (come la zebre, i cui maschi sono aggressivi e mordaci nel periodo degli amori), sono riusciti a sfuggire al giogo dell’uomo.

Anche se dal punto di vista della divulgazione è un vero capolavoro, Addomesticati è un’opera in cui la genetica la fa da padrone e potrebbe essere, in alcuni passi, non facilissima da capire. Per esempio la parte finale, in cui Francis applica i principi della storia della domesticazione alla nostra specie. Che, secondo lui (e non solo) si è autoaddomesticata, assumendo per esempio i caratteri giovanili propri di alcuni degli animali che ci accompagnano. La mole, la scansione e la profondità degli argomenti fanno di Addomesticati un libro che rimarrà nel novero delle opere da leggere e tenere come punto di riferimento anche per anni a venire.

marcop.ferrari@gmail.com

M P Ferrari è giornalista e biologo