Jim Baggott e il racconto delle origini tra cultura scientifica e umanistica

Dal Big Bang al finale aperto: quello che solo noi possiamo raccontare

di Fabrizio Pasanisi

dal numero di Settembre 2017

Jim Baggott - OriginiQuando, nel 1959, lo scienziato e scrittore Charles Percy Snow scrisse il famoso saggio Le due culture, sulla contrapposizione tra mondo scientifico e umanistico, aprì un dibattito che non si è mai spento. Snow diceva di essere scienziato per formazione e scrittore per vocazione, era perciò la persona giusta per analizzare questa frattura, a suo avviso un ostacolo decisivo per la soluzione dei problemi dell’umanità. Un nuovo contributo a questa riflessione viene oggi da un libro di grande importanza, denso come i saggi più penetranti, scorrevole come un appassionante racconto, pure tra le sue inevitabili asperità. È stato scritto da Jim Baggott, s’intitola Origini. La storia scientifica della creazione, ed è ora pubblicato da Adelphi (ed. orig. 2015, trad. dall’inglese di Isabella C. Blum, pp. 440, € 39). Baggott, già apparso presso lo stesso editore con il volume Il bosone di Higgs, si pone un obiettivo ambizioso, per il quale ogni lettore, sia chi prediliga le pubblicazioni scientifiche, sia chi scelga quelle umanistiche, dovrebbe essergli grato: quello di rimettere in ordine un discorso che riguarda noi tutti, affascinando l’uomo nel corso dei secoli.

Ci sono parole fondamentali che, pur nella loro semplicità, prefigurano significati complessi, contengono intere storie alle quali leghiamo la nostra esperienza, e la nostra cultura. “Origine” indica la prima apparizione, il principio di qualcosa, e questo termine racchiude in sé un’evoluzione che può concludersi con la fine di quella cosa stessa. Normalmente è seguito da un complemento di specificazione, “origine dell’universo”, “origine delle specie”, perché la parola da sola non rimanga troppo vaga, troppo inafferrabile: anche un aggettivo a volte non basta, perché se diciamo “la nostra origine” dobbiamo subito dopo specificare di più, molto di più. Nell’idea in fieri che questo termine racchiude, ci ritroviamo facilmente come in un’immagine di Escher, quei percorsi labirintici in cui si ritorna sempre al punto di partenza. Benvenuto, pertanto, il libro di Baggott, che si rivolge a noi lettori quasi con affetto, con tenerezza, come l’autore aveva fatto nel precedente A Beginner’s Guide to Reality (Pegasus, 2009), prendendoci per mano e accompagnandoci nel processo della creazione, dal punto di partenza fino ai nostri giorni, senza saltare nessuno dei passaggi fondamentali. Baggott riporta le scoperte e le tesi sin qui conseguite e, fino a ulteriori aggiustamenti, o sempre possibili rivoluzioni, ci spiega con il piglio del divulgatore, non dello scienziato, cioè di chi voglia prima di tutto farsi capire, l’universo in cui siamo calati, e di cui noi soli esseri umani – e fino a prova contraria – abbiamo coscienza. Egli ripercorre lo sforzo fatto da “migliaia di scienziati che cercano di mettere insieme i pezzi del puzzle” facendo di tutto per garantire “che i singoli pezzi siano coerenti e coesi”. Un’impresa epica, degna delle peregrinazioni di Ulisse ma senza appigli fantasiosi, solo il ricorso alle teorie e ai riscontri forniti dalla scienza moderna.

La cronologia della creazione

Quando riassume, in una tabella, la cronologia della creazione, ci appare davanti agli occhi, in modo chiaro e sintetico, un percorso di 13,8 miliardi di anni. In quel punto 0, che per farci meglio comprendere le cose fa coincidere con la mezzanotte di un giorno qualunque, un giorno che al suo compimento ci porta fino a oggi, avvenne il Big Bang, l’immensa esplosione con cui tutto ebbe inizio, e condusse, 4,6 miliardi di anni addietro, alla creazione del sistema solare e del nostro pianeta, quando cioè, rifacendosi sempre a 24 ore della nostra vita, sarebbero scoccate le ore 16. La vita, nelle sue prime e più semplici forme, nacque circa 3,5 miliardi di anni fa, quindi 10,4 miliardi dopo il Big Bang, e poco prima delle 18. Le cellule complesse arrivarono 2 miliardi di anni fa, i primi animali 540 milioni, cioè alle ore 23:00 della nostra giornata, e l’Homo sapiens solo 200 mila anni fa, un secondo prima della nuova mezzanotte. La coscienza umana si sviluppò 50 mila anni fa, più o meno 300 millesecondi prima della mezzanotte, che è il momento in cui stiamo vivendo.

jim Baggott - Origini. La storia scientifica della creazione

In dodici capitoli, dedicati ognuno a un evento decisivo, si compone questa lunghissima storia dal finale aperto e ancora da scrivere, e al quale, lo possiamo prevedere con buona dose di sicurezza, l’uomo non potrà assistere. Noi, piccole presenze nell’immensità, siamo una tarda appendice di tutto questo. I soli in grado di raccontarla. Miliardi, milioni di anni, cifre che abbiamo difficoltà a capire ma che gli scienziati ci indicano con discreta precisione. Se pensiamo che, tra le varie interpretazioni della Bibbia e seguendo le interpretazioni ebraiche o quelle cristiane, con riferimenti che erano ancora in auge ai tempi di Darwin, la creazione di Dio sarebbe avvenuta tra i 4 e i 5000 anni a.C., ecco aprirsi il baratro tra una visione umanistica e una scientifica, tra una credenza alla quale gli individui si legano per guardare avanti, per superare le proprie paure, e lo sforzo di chi voglia fornire certezze documentate confrontandosi a viso aperto con la natura, senza remore. Chi cerca Dio può leggere altre pagine, l’idea della creazione può avere altri tipi di approcci. Per parlare della luna ci si può affidare a Leopardi, ma, parafrasando Freud, se vogliamo saperne di più, chiediamo agli scienziati. Eppure, il termine “origine” sembra il più solido punto di contatto tra la cultura scientifica e quella umanistica. Le incursioni dall’una branca di studi e di riflessioni nell’altra sono tante, dovute spesso a menti eccelse, ma normalmente le strade seguite da chi opera in uno dei due ambiti, partendo da quel concetto cardine, procedono in modo trasversale allontanandosi sempre di più, senza sperare di incontrarsi nemmeno sulle curvature dell’universo. D’altra parte, se il termine è unico, non lo è il suo significato più profondo, perché una visione metafisica, o letteraria, può prevedere un prima, un qualcosa che anticipi e anche guidi l’origine, cosa che il punto di vista della fisica, a parte qualche fugace ipotesi senza sufficienti appoggi, non contempla. Viene in mente la celebre frase di Wittgenstein che conclude il Tractatus: “Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere”. Ecco, su cosa ci sia prima del Big Bang, per gli scienziati, è meglio tacere.

Alla fine del 1100 d.C. Averroè, il pensatore berbero che Dante collocò nel limbo quale grande interprete di Aristotele, scrisse un’opera dal titolo L’incoerenza dell’incoerenza dei filosofi, nella quale volle dimostrare che la verità può essere perseguita sia attraverso le scritture religiose, sia per mezzo del pensiero speculativo, della filosofia, non essendovi alcun tipo di contrasto, di contraddizione, tra i due ambiti. Averroè ricercava la verità e per farlo studiò l’astronomia, identificò le macchie solari, capì che la luna non brillava di luce propria, concepì un modello concentrico dell’universo. Ancora a quel tempo, come sarebbe successo fino alle soglie del Novecento, la coerenza del pensiero bastava a giustificare qualsiasi posizione, qualsiasi ragionamento, spaziando da un campo all’altro dello scibile.
Baggott, come si è detto, adotta sempre il punto di vista della scienza, e tratta una materia complessa come la creazione mettendosi al servizio del lettore. Se c’è un limite nel ragionamento lo dichiara: “Vi sono passaggi in cui dovrò chiedervi”, dice nella prefazione rivolgendosi a noi lettori, “di sospendere temporaneamente la vostra richiesta di prove”. Quel termine, temporaneamente, è reso in modo più netto in alcuni altri passaggi. “Quando si tratta dei primissimi stadi dell’evoluzione ci sono davvero molte cose che proprio non capiamo”. Per rincuorarci, subito dopo: “La nostra ignoranza sull’effettiva storia del nostro universo potrebbe essere limitata al primo trilionesimo di secondo della sua esistenza”.

Anche la sua buona volontà, in alcuni casi, si ferma davanti ai limiti forniti dalle conoscenze di cui disponiamo: “Descrivere il vero ‘inizio’ dell’universo è problematico perché nessuna delle nostre teorie scientifiche è all’altezza del compito”. Ci spiega che le principali teorie al riguardo, quella della relatività generale di Einstein e quella quantistica, non vanno d’accordo. Sembra un’annotazione in margine, ma, nonostante le altre centinaia di ricchissime pagine del libro, è comunque un fatto sostanziale, perché ci mette davanti i limiti della scienza, i limiti che dell’uomo, e rischia di riportarci ai nostri atavici conflitti, facendoci porre la solita domanda: e prima? Quando uscì il suo fortunato libro Sette brevi lezioni di fisica (Adelphi, 2014), Carlo Rovelli sostenne che lo scienziato deve prendere le distanze dalla fede: “Come dice il Vangelo di Matteo nessuno può servire due padroni: o la Verità è rivelata, oppure la cerchiamo attraverso la nostra ignoranza, con la limitatezza della nostra ragione”. Lo sforzo di Baggott è di dimostrare che non si tratta d’ignoranza, ma piuttosto dell’opposto, di cultura, d’intuizione, perché per riempire le falle della conoscenza serve uno sforzo sistematico e tutto deve tornare, il ragionamento e, se possibile, come è accaduto per il bosone di Higgs, il riscontro, la sperimentazione. Ma, per raccontare tutto questo, per raggiungere l’organicità che c’è nel libro, forse la cultura scientifica deve appoggiarsi su quella umanistica, come l’autore fa tante volte, anche negli esempi. Nel parlare di quark e di isotopi del carbonio, nel riempirci di dati e di formule, Baggott sa usare spesso un tocco di humor, cita Shakespeare e, per alleggerire il discorso, arriva a citare un libro di successo, il romanzo di fantascienza Guida galattica per autostoppisti di Douglas Adams. In questo modo il racconto procede, si sviluppa e ci conquista, e nel proporci l’ultima certezza della scienza, o la catena di tante verità legate tra loro, molto più che agli studi teorici che servono per dar corpo a quest’opera sapienziale ci rimanda a Lucrezio, al De rerum natura, là dove la scienza si mischia alla filosofia, e alla poesia.

fpasanisi@alice.it

F. Pasanisi è giornalista e scrittore

I libri

J. Baggott, Origini. La storia scientifica della creazione, Adelphi, 2017
Carlo Rovelli, L’ordine del tempo, Adelphi, 2017
Carlo Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica, Adelphi, 2014
J. Baggott, Il bosone di Higgs, Adelphi, 2013
Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philo-sophicus e Quaderni 1914-1916, Einaudi, 2009
Averroè, L’incoerenza dell’incoerenza dei filosofi, Utet, 2006
Charles P. Snow, Le due culture, Marsilio, 2005
Tito Lucrezio Caro, La natura delle cose, Bur Rizzoli, 1990