Daniel Lord Smail – Storia profonda

Trascinati via dalle correnti di un destino aleatorio e bizzarro

recensione di Fabio Negrino

dal numero di novembre 2017

Daniel Lord Smail
STORIA PROFONDA
Il cervello umano e l’origine della storia
ed. orig. 2008, trad. dall’inglese di Leonardo Ambasciano
pp. 236, € 24
Bollati Boringhieri, Torino 2017

Daniel Lord Smail - Storia profondaLa storia deve cominciare dal principio, ma non da un principio pregiudiziale, bensì da un principio vero, assoluto, immerso in una narrazione profonda, che si apra sotto ai nostri occhi come la voragine del Gran Canyon. Per fare ciò è necessario prima di tutto vincere i pregiudizi che ci imbrigliano e che sono ormai intimamente radicati in noi, dovuti a una visione storiografica che ha segnato con forza la nostra concezione del tempo e di come il nostro presente è venuto in essere. Superati i pregiudizi, almeno nelle intenzioni, ci sia accorge poi di doversi confrontare con ambiti solo in apparenza lontani dagli studi storici, ovvero la biologia, la neurofisiologia, la psicologia evoluzionistica, la chimica, dando così vita a un’interdisciplinarietà che ci possa davvero aiutare a comprendere meglio e in maniera più ampia possibile i meccanismi soggiacenti alle trasformazioni del processo storico: questo nuovo connubio, questa nuova chimera o alchimia, è quella che il nostro autore, Daniel Lord Smail, storico a Harvard, definisce appunto “neurostoria”, in un libro importante che vede finalmente la luce in Italia, nella bella traduzione di Leonardo Ambasciano, sebbene con un ritardo di quasi dieci anni.

Il volume si articola in cinque capitoli, preceduti da una prefazione e da un’introduzione, le quali, rispettivamente, ne raccontano la genesi e ne preannunciano i temi fondamentali; si chiude, poi, con un epilogo riassuntivo, utile a rimarcare, in sintesi, la validità di questo nuovo approccio. I primi tre capitoli vogliono liberare il campo da quelli che Smail ci addita quali ostacoli storiografici, epistemologici e teorici, che hanno oscurato la leggibilità della storia profonda.
Prima di tutto la “morsa sacra” della storia biblica o mosaica, che, attraverso una riproposizione dell’origine edenica e della rinascita post-diluviale della civiltà ha creato un modello perseguito dagli storici fino a tempi inaspettatamente recenti. Il paleolitico esiste ma non è “storia”, è qualcosa che la precede, che sta oltre il “diluvio” che segnerebbe la vera origine del nostro tempo; la mancanza di “documenti” e la nostra incapacità a decifrare gli avvenimenti lo renderebbero apparentemente immobile, statico, insondabile. Tutto ciò, però, sappiamo ormai non essere vero, e contro questo pregiudizio solo recentemente le scienze hanno reso disponibili strumenti davvero adeguati, grazie all’archeologia preistorica, alla paleoantropologia e alla paleogenetica, ma forti continuano a essere le resistenze.

E queste resistenze fanno leva proprio su ciò che viene considerato dai più come l’unico “documento” possibile, ovvero il testo scritto, ma anche sull’idea stessa che molti hanno di che cosa sia storia. Non c’è storia senza documenti, dicono, non c’è storia senza coscienza storica da parte dei protagonisti e degli attori del suo divenire. Ma la storia non è solo questo. La storia è anche questo. E se la storia fosse piuttosto intesa come ciò che accade e non come ciò che viene coscientemente avvertito, allora, anche ogni “traccia”, consapevole o inconsapevole che sia, diventa “documento” consultabile: un manufatto in pietra, un vaso, un resto umano, un carbone, un isotopo sono tutte tracce a cui possiamo fare domande e da cui possiamo avere risposte sul nostro più o meno recente passato. E anche ciò che è scritto può diventare una traccia involontaria, laddove la registrazione è automatica, ed essere quindi trattato alla maniera di un reperto archeologico, di un campione naturalistico, giacché la storia non è fatta solo di significati voluti.

Rimane però un nodo a cui tutti noi, volenti o nolenti, siamo fermamente legati, ovvero quello che ci porta a guardare al processo storico come a un meccanismo teleologicamente orientato, finalizzato a un obiettivo, nel raggiungimento del quale identifichiamo quale motore primo, se non un dio o la provvidenza, almeno un leader, un uomo geniale o comunque una consapevole e premonitrice volontà. Il darwinismo, ormai accettato come insieme di regole che dirigono l’evoluzione biologica, viene qui eluso da un recupero, irrazionale, di ipotesi lamarckiane. In una contrapposizione cartesiana tra mente e corpo si tende a considerare l’evoluzione culturale come un qualcosa di controllato, di deliberatamente preorientato. Smail ci mette prontamente in allerta: non dobbiamo presumere l’esistenza di un progetto quando vediamo le sembianze di un progetto. Le piccole spinte adattative, controllabili sulla breve distanza, solo in apparenza sembrano spingersi dove vogliamo noi; ogni nuovo “meme”, ovvero ogni nuova idea o invenzione tenderà ad avere sviluppi inaspettati come conseguenza della sua interazione con l’ambiente socioculturale in cui si trova ad agire. Pensiamo, ad esempio, all’invenzione della televisione, poi del computer, poi dello smartphone e a tutte le inimmaginabili conseguenze che queste rivoluzioni tecnologiche hanno causato alle nostre vite. Ed ecco che allora ciò che è accaduto nel paleolitico, gli sviluppi ciechi di una storia continuamente modellata dall’ambiente naturale, si replica identico anche in epoca postlitica. Importanti traguardi culturali dei nostri tempi risultano ugualmente modellati da una variazione cieca e da una conservazione selettiva, che sfugge a un controllo conscio, a una qualsivoglia logica storica come tradizionalmente intesa; tutto ciò risulta ancora in balia di meccanismi biologici, che ritroviamo ben radicati nella stessa neurofisiologia umana e che si definiscono quali agenti essenziali del nostro stesso agire e del nostro stesso divenire.

Dopo questa lunga premessa, da intendersi come una sorta di pars destruens di baconiana memoria, si arriva a proporre nuove chiavi di lettura, che possano aiutarci a giustificare una grande narrazione storica che leghi paleolitico a postlitico. Cardine fondamentale di questo cambio di paradigma è l’importanza di relazioni reciprocamente creative tra biologia e cultura. Cultura umana e retaggio evolutivo sono intimamente connessi; non si può comprendere la nostra storia senza capire come funzioni il nostro cervello e quali siano i nostri comportamenti condizionati, che sempre hanno agito durante la voragine temporale che ci ha preceduti. Assunto fondamentale è la plasticità delle nostre sinapsi, che possono essere modificate dalla nostra stessa cultura; le pratiche culturali hanno quindi profonde conseguenze biologiche, che agiscono sugli stessi meccanismi storici. Noi agiamo all’interno di un ecosistema neurofisiologico dominato da meccanismi complessi; se è vero che la nostra biologia è ormai cablata nella nostra cultura, è anche vero che noi siamo anche in grado di esprimere moduli cognitivi e comportamenti in totale controtendenza rispetto ai nostri geni, violando quindi le nostre stesse predisposizioni e modulandole a seconda dei contesti. Azioni e idee, o “memi”, imboccano strade non necessariamente adattative e possono rispondere a meccanismi altri, noti come “exattamenti”, non utili a un qualsivoglia obiettivo evolutivo, ma funzionali a precise logiche di gruppi o società. Non esiste quindi alcun fine ultimo in uno specifico comportamento, ma questo è definito e regolato da norme via via diverse.

Ma come funziona il rapporto tra cultura e neurofisiologia, come queste si influenzano tra loro? Smail individua l’agente di tutto ciò in un meccanismo che definisce “psicotropo”, ovvero capace di agire sulle nostre funzioni psichiche, come fosse uno stupefacente. Ogni azione politica, ad esempio, può avere effetti psicotropi, come pure ogni strategia commerciale; pensiamo alle logiche di mercato create dal sistema capitalistico e come queste hanno cambiato il nostro modo di guardare a ciò che possediamo e al nostro stesso benessere. Accanto a queste influenze, determinate da un agente esterno e che definisce “teletropiche”, annovera anche comportamenti “autotropici”, che noi stessi ci infliggiamo, in seguito a stimoli culturali indotti da dinamiche interne al nostro stesso circuito esistenziale. L’individuare e il definire questo processo di influenza culturale sulla nostra stessa struttura neuronale va a scardinare definitivamente quel che si intende tradizionalmente come processo storico; non esiste quindi una consapevolezza storica, non esiste alcuna regia, nessuna preveggenza, ma l’espressione dei nostri stessi comportamenti è, per riprendere una metafora usata dallo stesso Smail, una sinfonia che nasce dall’agire dei diversi contesti culturali sulle innumerevoli gamme di suoni di cui è composta la nostra stessa biologia, attraverso processi chimici e neuronali universali e antichi, ma, soprattutto, non guidati. L’idea pericolosa di Darwin (si veda l’omonimo libro di Daniel Dennett, edito da Bollati Boringhieri nel 2015) si riaffaccia quindi con prepotenza, e Smail osserva: “Siamo trascinati via dalle correnti delle cose che sono nate mentre le nostre fisiologie interagivano in modi imprevedibili con la nuova ecologia forgiata dai nostri antenati”. Ed è questo il nuovo paradigma, la nuova storia, la neurostoria che diventa storia culturale profonda, che ci fornisce una chiave di lettura universale per meglio comprendere la nostra evoluzione. La neurofisiologia entra nella storia, e la storia nella neurofisiologia; nessuno storico potrà ora fare a meno di chi studia il cervello e la nuova scienza del cervello non avrà più senso senza storia.

Dopo la lettura di questo stimolante saggio, del quale siamo ben lungi dall’aver esaurito gli innumerevoli spunti e suggerimenti, saremo dunque costretti a chiederci quanto della nostra storia sia davvero frutto di una deliberata e cosciente preveggenza, e quanto, invece – e credo davvero molto, se non quasi tutto! –, sia invece frutto del caso. Non sembra infatti esistere alcuna direzione. Ogni direzione appare illusoria. Se per molti ciò potrà essere un sollievo, mi rendo conto che per altri, e non pochi, questa nuova visione possa invece essere alquanto allarmante e minacciosa, consegnando la nostra vagheggiata idea di progresso nelle mani di un destino aleatorio e bizzarro, in preda agli umori più arcaici e ancestrali, e mai sopiti, delle stesse origini evolutive della nostra specie.

fabio.negrino@unige.it

F Negrino insegna archeologia preistorica all’Università di Genova

In Primo piano nel numero di novembre 2017, L’Indice pubblica un articolo tradotto dell’autore di Storia profonda  Daniel Lord Smailapparso originariamente in forma estesa come Retour sur “On Deep History and the Brain”, in “Tracés. Revue de Sciences humaines”, hors-série n° 14, Ens, 2014.