Guillaume Apollinaire – Les Onze Mille Verges

Un porno-catalogo colto, raffinato e disegnato a biro

di Andrea Pagliardi

dal numero di gennaio 2019

Guillaume Apollinaire
LES ONZE MILLE VERGES
illustrazioni di Guido Giordano, prefazioni di Dino Aloi, Claude Debon e Piero Gondolo della Riva
pp. 324, € 150
Il Pennino, Torino 2018

Apollinaire guido giordano

Ipersessualità, pederastia, sodomia, lesbismo, onanismo, violenza, voyeurismo, feticismo, ninfomania, esibizionismo, sadismo, masochismo, pedofilia, gerontofilia, zoofilia, coprofilia, frotteurismo, necrofilia, orge, stupri e omicidi: il porno-catalogo sfoggiato in Les Onze Mille Verges di Apollinaire è pressoché completo. Pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1907 sul mercato clandestino e cautelativamente firmato “G. A.” il romanzetto giovanile di Apollinaire supera per depravazione e oscenità le perversioni del Divin Marchese.
In una sorta di Grand Tour europeo all’insegna del porno L’hospodar rumeno Mony Vibescu ricerca i più sfrenati piaceri della carne a Parigi, Bucarest e San Pietroburgo, tra assassinii sull’Orient Express, messe nere pedopornografiche e baccanali scatologici. Scoppia la guerra russo-giapponese e il principe, durante l’assedio di Port Arthur, viene catturato e condannato morte mediante fustigazione: dovrà ricevere una vergata da ciascuno degli undicimila soldati dell’armata nipponica, un grottesco contrappasso dove sesso, sangue e morte si fondono in un’orgia granguignolesca.

Il romanzo è in realtà una caricatura della società del tempo, ricca di citazioni letterarie e di riferimenti a personaggi realmente esistiti, con ironiche allusioni alla politica militare e diplomatica delle potenze europee all’inizio del Novecento. È però anche uno sberleffo al simbolismo e al moralismo cattolico à la Claudel: le verghe sono undicimila come le vergini della leggenda di Sant’Orsola, che scelsero il martirio invece di assecondare le smanie di sesso dell’esercito di Attila. Les Onze Mille Verges, (che sarà presentato il 10 gennaio al Circolo dei lettori di Torino e le cui tavole saranno esposte dal 1 al 16 marzo 2019 alla Little Nemo Art Gallery, di Torino) negli anni, è stato tradotto in quasi tutte le lingue del mondo (tranne l’arabo), ma è facile comprendere per quale motivo le versioni illustrate siano pochissime. Raffigurare in modo letterale le aberranti situazioni descritte da Apollinaire, peraltro con considerevole abbondanza di dettagli, rischia di risultare pornograficamente ridondante e al tempo stesso decisamente riduttivo nel restituire la complessità del testo e la pluralità dei livelli di lettura. Tre esempi. L’editore francese André Sauret nel 1984 affianca al romanzo 48 incisioni di Picasso raffiguranti scene di sesso che, però, non hanno un rapporto diretto col testo. Vincenzo Jannuzzi nel 1979 per l’editore Carlo Peirano realizza un adattamento a fumetti del libro di Apollinaire; Jannuzzi privilegia il racconto per immagini, e pur rimanendo fedele al testo, ne sacrifica una grande parte, racchiudendolo nei balloon e nelle didascalie. Il risultato è un fumetto pornografico che, seppure ha il pregio di conservare l’oscena crudezza dell’opera di Apollinaire, perde il surreale umorismo dell’originale. Anche il Tanino Liberatore, l’autore di Ranxerox, si è cimentato nell’impresa nel 2011, scegliendo di illustrare il testo in modo classico, con strepitose tavole a tutta pagina che ritraggono corpi nudi di uomini e donne in pose assai più caste di quelle descritte nel testo. L’acre bellezza del lavoro di Liberatore è proprio nell’infedeltà dei disegni che, fatalmente, creano un lo scollamento tra testo e immagini.

Veniamo ora al libro in oggetto, un’edizione di gran pregio del romanzo di Apollinaire illustrata da Guido Giordano, artista piemontese con trascorsi nell’illustrazione, nella scultura, nella grafica e nel design. Giordano tenta una strada completamente diversa e pubblica per l’editore il Pennino una versione illustrata di Les Onze Mille Verges che nulla ha a che fare con quelle che l’hanno preceduta. Nel sontuoso volume di gran formato il testo di Apollinaire, nell’originale francese, si trova al centro della doppia pagina e occupa circa un terzo dello spazio: è interamente circondato dalle immagini e la sua suddivisione, a volte solo due o tre righe per pagina, è scandita dalle illustrazioni, tutte rigorosamente realizzate con la penna biro. Giordano dirige l’orchestra e, come Apollinaire, gioca in modo ironico e grottesco con il romanzo (Mony Vibescu è ritratto con le fattezze di Apollinaire), dettando il ritmo in una continua danza di forme e corpi: sessi curvilinei si dischiudono sulla carta con una fisicità che, pur senza nulla nascondere, non cerca mai un consenso facile e morboso, mentre lascia esplodere un citazionismo iconografico sbalorditivo, che spazia dal cinema all’arte moderna e contemporanea, dal fumetto all’architettura, dalla pubblicità alla musica pop. Un caleidoscopio futurista colto e raffinato che nella rappresentazione più o meno metaforica degli amplessi accosta nella stessa pagina Dick Tracy a Picasso, Jovanotti a Daumier, Barbarella a Pistoletto passando per Mirò, Bosch e Manzoni. Le famose scatolette di quest’ultimo sono genialmente usate per accompagnare le scene scatologiche insieme a un aforisma dello stesso Apollinaire che recita con sarcasmo “C’est par la quantité de l’oeuvre d’art que l’on mesure la valeur d’un artiste”. Quante sono 11.000 vergate? Un’idea quasi dolorosa possono darcela le quattro tavole in cui Giordano le riporta una per una, scrivendo in fitte matrici a tutta pagina tutti i numeri da 1 a 11.000. Le tavole sono anche un omaggio a Roman Opalka, l’artista franco-polacco che dedicò la sua vita a scrivere su tela i numeri da 1 a infinito.

Analogie e rimandi trionfano sulla letteralità creando un capolavoro di giocoleria grafica a tutto tondo capace di sfidare da pari a pari la feroce bulimia intellettuale ed erotica dell’autore. Il postmoderno di trent’anni fa, raggelato in architetture pompose di timpani e colonne che spesso non sono altro se non una tragicomica celebrazione di se stesso, acquisisce qui, post mortem, il suo significato migliore e più ampio: sfidare il moderno con ironia, creare un universo visivo intessuto di specchi deformanti in grado di rendere omaggio al passato mescolando alto e basso, sangue e sperma in unico calderone ribollente che, come già Apollinaire, rende vana e borghese la distinzione tra buono e cattivo gusto.