Urbino dopo l’età della mortadella: la libreria Montefeltro

Dentro la crisi del mercato librario

di Alessio Torino

dal numero di febbraio 2015

“Vendere i libri a Urbino è come vendere la mortadella”. Questa curiosa sentenza risale a qualche anno fa ed era stata emessa da Catia della libreria Montefeltro, la libreria di fiducia di molti urbinati.

Catia si riferiva a come, in una cittadina universitaria quale Urbino, il suo lavoro finisse fatalmente per assomigliare a quello di un addetto al banco salumi in un supermercato. Un cliente entrava, chiedeva i saggi di “letteratura francese II”, pagava e lasciava il posto a quello dietro di lui nella fila con il vademecum aperto sull’esame di “statistica I”.Per cosa la faccio a fare la vetrina?” mi chiedeva Catia. La risposta non c’era. “Ma tanto la faccio lo stesso” aggiungeva.

Le cose sono andate avanti così fino a pochi anni fa, quando in questa cittadina di circa 15.000 abitanti e di circa altrettanti studenti erano aperte ben sette librerie. Sette è un numero che, in rapporto al numero di residenti, potrebbe far pensare all’età dell’oro del mercato librario. Invece, adesso che delle sette librerie ne sono rimaste soltanto tre, si scopre che l’oro nascondeva subito sotto il ferro. E per quella famosa mortadella si sente, per forza, un gran rimpianto.

È proprio la saggistica universitaria, a quanto dicono i diretti interessati, ad aver innescato la crisi. Agostina che, insieme a Michela, ha purtroppo dovuto sbaraccare la libreria Il Portico, me lo assicura con la certezza dei dati. I programmi sono meno folti di una volta, la bibliografia è ridotta all’osso e con i social c’è uno smercio pauroso di fotocopie e di appunti. Sull’argomento non c’è bisogno di interrogare i professori, loro sono i primi a lamentarsene. Per rispettare la fragile proporzione tra testi d’esame e le ore di studio previste dai crediti formativi, nel decidere un programma devono muoversi con la stessa cautela di un artificiere. Inserisci nel form del vademecum un libro di troppo ed esploderà la protesta. La colpa sarebbe dunque del ministero, del tre-più-due che ha distrutto un sistema universitario dove almeno si riconosceva un qualche valore allo studio matto e disperatissimo. Tutti ci ricordiamo di quando il ministro, interrogato a suo tempo, ci raccontò che stavamo aggiornando il nostro sistema all’uso europeo. In ultima istanza, dunque, dovremmo dare la colpa all’Europa. Trasformarsi in capipopolo è facilissimo.

Poco prima di chiudere la Domus Libraria Luca ha avuto un pessimo segno quando si è visto riportare indietro le edizioni tascabili dei romanzi di Italo Calvino da una futura professoressa. “Aveva appena finito l’esame di italiano – mi ha detto Luca – sperava che glieli ricomprassi. Anni fa, lui e la moglie Daniela avevano tentato anche la strada di una libreria alternativa. La Domus Libraria era ricavata da un’antica cantina, un grottino di mattoni dove c’era un ulteriore antro dedicato ai fumetti e alle case editrici indipendenti.

Ho sentito raccontare di un professore che prima del proprio esame pretendeva che venisse ostentato il suo libro (in programma). Il libro doveva essere vergine e il professore lo firmava nel frontespizio. Se il libro era usato, fotocopiato o prestato, cioè già autografato, allo studente veniva impedito di sostenere l’esame.Non so quanto fosse legale, ma nell’università di un tempo nessuno fiatava. Oggi quel docente rischierebbe una vertenza. Però i librai lo farebbero santo. San Barone.

Un filo di allegria ci resta forse dal mercatino di libri usati che ogni mercoledì si tiene sotto i portici. È un cordone di libri che dalla piazza corre fino alla Rampa, spesso insieme al vento che ci si incanala. C’è qualcosa che rende simili tutti gli ambulanti. Sarà il loro modo di resistere, di ridere, di sentire freddo e di ridere comunque. Lì ho trovato la prima edizione italiana di Verdi colline d’Africa, per cinque euro, e grazie a quelle bancarelle sto ricostruendo il catalogo color cartone delle edizioni Theoria.

Mi era giunta voce che qualche libraio ufficiale avesse mugugnato contro il mercatino. Un po’ come i commercianti della riviera romagnola contro gli ambulanti in spiaggia. Non credo che ci sia mugugno più sbagliato: la lettura porta solo altra lettura. La Moderna di Valerio ha una posizione quasi utopica, trovandosi davanti a Palazzo Ducale. Non a caso gli espositori sulla strada sembrano quelli del ­bookshop di un museo, con il ritratto del duca e della duchessa un po’ dappertutto. Da un paio d’anni, mi dice Valerio, la libreria ha avviato una piccola rivoluzione, smettendo di confidare sull’universitaria e puntando invece su altri settori, come il turismo d’arte, almeno nei mesi in cui il cielo urbinate lo concede.

A qualche metro di distanza incontro Giorgio Balestrieri, l’indiscusso decano dei librai di Urbino. Non è più un ragazzino, ma ha una tempra tenace. Compra il giornale al bar del Mulino, lo legge mentre fa la strada delle mura e alle otto e qualche minuto sta già sistemando i banchetti con i libri in offerta fuori della sua libreria. “Supercoralli” sfortunati al cinquanta per cento, meteore dell’editoria italiana con ancora lo strillo che li destinava a stravolgere i canoni del romanzo e invece eccoli qua gettati nell’oblio. Balestrieri aveva due librerie. Una, grande e luminosa, nell’atrio di Lingue, La Goliardica, che era sempre piena di gente e gli urbinati di buona famiglia ci portavano i figli con la calda illusione animale che fossero tutti dei piccoli geni. A quel tempo la sua seconda libreria faceva in sostanza da magazzino, mentre ora è lo spazio in cui ha trasferito tutto. Gli chiedo come veda il futuro del libro. Parlando tra i denti mi risponde qualcosa che non capisco, poi fa un gesto con entrambe le mani per maledire tutto e tutti. Mi metto a passare in rassegna i “Supercoralli” decaduti, pensando che è pur sempre qualcosa, è pur sempre meglio questo banchetto che i coriandoli del macero.

Se a Urbino va in crisi il mercato librario, c’è da tremare, come infatti succede, su più vasta scala. Dentro questo giro di mura ci sono un liceo artistico che si chiama “Scuola del libro”, ci insegnano illustrazione, legatoria, fumetto, c’è l’Istituto superiore di industrie artistiche (Isia), con la sua eletta schiera, l’Accademia di Belle Arti dove macchine tipografiche che si credevano estinte tornano a stampare libri d’arte e plaquette, l’Accademia Raffaello con la sua missione di preservare la storia urbinate più illustre. E poi l’università, di cui basti ricordare la biblioteca della Fondazione Carlo e Marisa Bo, che è nata dal lascito di una collezione privata fra le più grandi di Europa. Più che una città del libro, insomma, potrebbe essere una fortezza del libro. E se vacilla una fortezza, figuriamoci tutto il resto.

Per fortuna la fortezza non è perfetta. Per fortuna, perché altrimenti, se lo fosse, significherebbe che nulla servirebbe per migliorare la situazione. Per quanto possa sembrare incredibile, alla fortezza manca un muro, e di quelli portanti. A Urbino non c’è una biblioteca di lettura, una normale biblioteca pubblica. Si passa dalle rare edizioni della Fondazione Bo al nulla, da tutto quello che è stato scritto sulla poesia greca al nulla. Si potrebbero continuare, ma il concetto rimarrebbe questo: dalla cima dell’Olimpo al baratro. Tanto c’è l’università, si è sempre pensato, come se nel terreno della cultura le forze civiche non dovessero lasciare comunque un proprio segno. Non so se una biblioteca civica avrebbe salvato una delle quattro librerie dalla chiusura. Forse no, ma come insegna Catia, che ha consigliato titoli e continuato a farsi la vetrina anche in periodi in cui sembrava che non ce ne fosse bisogno, la fiducia è l’unica strada e un segno collettivo di fiducia come una biblioteca pubblica credo sia arduo da trovare.

alessiotorino@gmail.com

A. Torino è scrittore