Primavera di bellezza, Fenoglio, Gadda e l’8 settembre

Un serio vinattiere tra eventi orribili

di Luca Bufano

Primavera di bellezza, terzo e ultimo libro pubblicato in vita da Beppe Fenoglio, è il romanzo dell’8 settembre 1943, la data che rappresentò uno spartiacque esistenziale per molti italiani della sua generazione. È anche il libro che introdusse una nuova figura maestra nella narrativa italiana, Johnny, il futuro protagonista dell’epica partigiana che agisce nel suo antecedente storico, nel momento tragico eppure solenne del disfarsi di un ordine posticcio e della scelta: il momento del pathos. Il giorno dell’armistizio lo coglie in uniforme nell’Agro romano, di guardia a una polveriera. “Bada, capoposto: questi sono miserabili disertori” grida un suo compagno al sopraggiungere dei primi soldati sbandati e in cerca di scampo, della via di casa. “Tutti siamo disertori ormai”, rispondono quelli. “Noi no, noi non siamo disertori!” controbattono i compagni di Johnny. “Non fate i fessi, ragazzi. Avvertiti vi abbiamo avvertiti. Buttate tutto e a casa. Pensate a mamma vostra”. Incapaci di reagire, “di trattenere, richiamare quelle ombre stranamente alonate di bianco che ripigliavano verso sud”, gli ultimi inconsapevoli “fedeli al re” rientrano nella caserma ormai vuota. Johnny rimane solo in preda a un “insolubile furore” a una “molle pietà per se stesso”, poi anche lui si procura un abito borghese e si avvia verso il suo destino.

Nato come prima parte di un progetto narrativo più ampio, quindi smembrato e divenuto libro a sé stante con il ricorso a un brusco finale, frutto delle pressioni esercitate dall’editore Garzanti, Primavera di bellezza ha avuto nel tempo minor fortuna del suo valore, probabilmente oscurato dai due maggiori libri postumi di Fenoglio, Una questione privata (Garzanti, 1963) e Il partigiano Johnny (Einaudi, 1968). Tuttavia, alla sua uscita nell’aprile del 1959, il libro riscosse apprezzamenti pressoché unanimi, e ottenne alcuni importanti riconoscimenti. Proposto da Anna Banti e Roberto Longhi per il Premio Strega, nel salotto romano di Maria e Goffredo Bellonci non superò il primo scrutinio (come previsto dallo stesso Fenoglio in una lettera a Pietro Citati, il quale, non molto elegantemente, gli aveva chiesto di ritirare la sua candidatura per non sfavorire l’altro libro Garzanti in concorso, Una vita violenta di Pasolini). Ma l’anno successivo, una giuria composta fra gli altri da Italo Calvino, Pietro Jahier e Roberto Battaglia, gli conferì il Premio Prato per il romanzo, riscontrando in esso una “coincidenza perfetta fra la vicenda collettiva e quella individuale”. E nell’autunno del 1959 – episodio del tutto dimenticato – il libro fu finalista per il Premio Colombi Guidotti, a Parma, dove causò un acceso dibattito in seno alla giuria, conclusosi in modo sfavorevole a Fenoglio, ma che vide in Carlo Emilio Gadda un suo convinto sostenitore.

La vita di Mario Colombi Guidotti, nato a Parma nel 1922, era stata per molti aspetti parallela a quella di Fenoglio: dopo un’intensa attività di traduttore, esordì anch’egli nel 1952, con la novelette, o romanzo breve Impazienza, cui seguì, nel 1954, Vogliamo svagarci. Ma nell’immediato dopoguerra aveva già scritto, e poi messo da parte, un altro più corposo romanzo, Tormentosa stagione, pubblicato postumo nel 1980; mentre nei due ultimi anni di vita lavorò al suo maggiore progetto, Il grammofono, anch’esso pubblicato postumo, nella forma incompiuta di un testo non approvato dall’autore. Critico raffinato, oltre che poeta e narratore, dopo aver diretto il mensile letterario “Il Contemporaneo”, Colombi Guidotti fondò e diresse “Il Raccoglitore”, inserto letterario e artistico della “Gazzetta di Parma” (su cui recensì anche I ventitre giorni della città di Alba, giudicandolo “una delle più valide scoperte di Vittorini”) fino alla tragica morte avvenuta a trentadue anni, in seguito a un incidente stradale, nel 1955.

Quello stesso anno, per onorarne la memoria, amici e parenti istituirono un premio letterario in suo nome. Il concorso avrebbe avuto cadenza biennale, premiando alternativamente un’opera di narrativa e una di critica letteraria che esprimesse lo spirito di apertura e il cosmopolitismo della nuova cultura italiana. Ma la sequenza dei premi si sarebbe inopinatamente interrotta nel 1959, con la terza e più controversa edizione. La prima andò a Ragazzi di vita di Pasolini, dopo che il romanzo era stato escluso dal Premio Strega e dal Premio Viareggio a causa del contenuto giudicato “pornografico” (la definizione è del primo ministro Antonio Segni nella sua segnalazione alla Procura di Milano, ma contro il libro di Pasolini si era già espressa duramente anche gran parte della critica letteraria marxista), mentre la seconda era andata ai saggi critici di Leone Piccioni, raccolti sotto il titolo Tradizione letteraria e idee correnti. Per l’edizione del 1959, oltre a Primavera di bellezza, vennero selezionati Signorina Rosina di Antonio Pizzuto, Amore amaro di Carlo Bernari, Uccidi o muori di Libero Bigiaretti, Landolfo VI di Tommaso Landolfi, Fumo, fuoco e dispetto di Francesco Leonetti, Chi parte all’alba di Carlo Montella, La strada della perfezione di Dante Troisi, i Racconti di Romano Bilenchi. E furono i libri di Bilenchi e Fenoglio – scrittori separati da una guerra e da una generazione – i due finalisti.

Pur importante, il primo non poteva dirsi una novità: pubblicato da Vallecchi nel 1958, il volume riproponeva con alcune varianti e un nuovo ordinamento i racconti scritti da Bilenchi tra il 1930 e il 1940: quelli della raccolta Il capofabbrica (1935), gli otto di Anna e Bruno (1938), i quattro raccolti sotto il titolo La siccità (1941), racconto che rappresenta il capolavoro indiscusso dello scrittore toscano (insieme al romanzo Conservatorio di Santa Teresa) e uno dei vertici della letteratura italiana di quel decennio autarchico.

Per Bilenchi si trattava di un ritorno alla letteratura dopo quindici anni d’intensa attività politica e giornalistica interrottasi bruscamente nell’agosto del 1956 con la chiusura del “Nuovo Corriere”, il prestigioso giornale fiorentino nato nei giorni della Resistenza, da lui diretto con passione e sensibilità di scrittore rifiutando il manicheismo ideologico del tempo. Nella sua parte artistica e letteraria, il giornale aveva mirato a gettare un ponte fra critica militante e cultura universitaria, e tale compito era stato svolto principalmente da Lanfranco Caretti e da Giuseppe De Robertis, il quale, nell’autunno del 1959, venne invitato a presiedere la giuria del Premio Colombi Guidotti.

De Robertis era stato tra i primi a valorizzare criticamente sia l’opera di Bilenchi, negli anni trenta, sia quella di Fenoglio, negli anni cinquanta, con puntuali recensioni di tutti e tre i libri dello scrittore albese. Ma al primo era anche legato da profonda amicizia e, nonostante la sincera ammirazione per il giovane scrittore di Alba, la consapevolezza che questi rappresentasse il meglio della nuova letteratura – Fenoglio scrittore nuovo era il titolo della sua recensione ai Ventitre giorni della città di Alba, mentre per il nuovo stile espresso in Primavera di bellezza aveva parlato di “certi effetti che ricordano il grande Gadda” – non poteva non schierarsi a favore di Romano Bilenchi. Insieme a lui era stato chiamato in giuria un nutrito gruppo di “toscani”: di nascita, come Mario Luzi, Piero Bigongiari e Aldo Borlenghi; di elezione, come Oreste Macrì e Carlo Cassola, o di trascorsa frequentazione, come Carlo Bo e Carlo Emilio Gadda, anch’essi legati a Bilenchi da rapporti di affetto e di stima reciproca; oltre al milanese Vittorio Sereni, e ai maestri parmigiani di Colombi Guidotti, Francesco Squarcia e Attilio Bertolucci. A questi undici si aggiunse all’ultimo momento – unica donna – la fiorentina Anna Banti, e quindi, per ristabilire il numero dispari, il critico e poeta parmigiano Gian Carlo Artoni, fino a quel momento segretario del premio, coetaneo e inseparabile amico di Colombi Guidotti, tanto che i due venivano considerati come i due dioscuri. E fu proprio Anna Banti, come già aveva fatto allo Strega, a premere per la candidatura dello scrittore di Alba.

“I giudici si sono trovati di fronte a un’alternativa non semplice da comporre in votazione” scrisse Alberto Bevilacqua nella cronaca del premio apparsa sulla “Fiera Letteraria”: “cioè quella di attribuire il premio a un autore giovane, ancora in via di formazione ma già esperimentato, oppure di propendere verso un terreno più stabile, in un certo senso, riconoscendo i meriti di una personalità narrativa già compiutamente delineata nella sua storia estetica, nelle sue ricerche, nei suoi gusti. Quest’anno i giudici hanno preferito optare verso la seconda direttiva (Bilenchi, infatti, ha preso otto voti; Fenoglio quattro, e c’è stato un astenuto), ma negli anni futuri essi torneranno certo a tener presente, nella loro scelta, il fatto che il premio fa capo idealmente alla memoria di un narratore giovane, che si batté criticamente – soprattutto sulle pagine di ‘Il Raccoglitore’, da lui fondato e diretto – per facilitare ai giovani la possibilità di farsi ascoltare, di affermarsi”.

Non ci sarebbero stati “anni futuri” per il Premio letterario Colombi Guidotti. Quella del 1959 fu l’ultima edizione, e la spaccatura verificatasi all’interno della giuria fu la causa principale. Gli organizzatori parmigiani, Bertolucci e Artoni, non avevano dubbi che il premio, intitolato a uno scrittore immaturamente scomparso, avrebbe dovuto assegnarsi preferibilmente a un nuovo giovane narratore, qual era appunto Fenoglio; mentre il terzo parmigiano in giuria, Francesco Squarcia, probabilmente si astenne in segno di rispetto verso l’amico De Robertis. Insieme a Banti, Bertolucci e Artoni, il quarto sostenitore di Fenoglio – e il dato è significativo visto che proprio al suo nome De Robertis aveva associato il “senso dello stile” espresso in Primavera di bellezza – fu “il grande Gadda”. Rispondendo a una lettera di auguri dell’amico Piero Bigongiari, due mesi dopo la “lacerazione” avvenuta a Parma, e vestendo per un felice momento i panni del critico, così il Gran Lombardo parlò dello scrittore di Alba, di Primavera di bellezza, dell’8 settembre 1943: “Ho votato Fenoglio convinto che in quel suo libro ci sia, abbastanza ben reso, il dramma di una gioventù forte, atrocemente delusa dalla mollezza, dall’abulia, dal disordine, dall’incapacità di vivere nonché di militare, di quelli che avevano montato la scena smargiassa: la scena finita in una tragedia ‘senza precedenti’, nemmeno nelle più porche zone della (assai volte) porca storia d’Italia. Fenoglio, come protagonista del racconto, è una persona seria, fra eventi orribili. Come uomo, è un forte e sano industriale vinicolo di Alba che parla e scrive molto bene l’inglese, oltre che il piemontese-italiano. Questa sua posizione di ‘vinattiere’ me lo ha reso anche più ‘simpatico’”.

Gadda sembra qui riferirsi al ritratto di Fenoglio tratteggiato a suo tempo da Calvino in una lettera a De Robertis, da questi evidentemente informato, ignaro, anch’egli, che il “vinattiere” di Alba era in realtà astemio. Ma il suo pregnante giudizio su Primavera di bellezza ci appare oggi come la motivazione di un premio maggiore assegnato al romanzo dell’8 settembre.

Archiviata la vicenda del Premio Colombi Guidotti, Attilio Bertolucci scrisse a Fenoglio proponendogli di pubblicare presso Garzanti una raccolta di tutti i suoi Racconti (“da quelli di Ventitre giorni della città di Alba ai bellissimi ancora inediti”); Anna Banti coronò il desiderio di veder conferito un riconoscimento pubblico all’amato scrittore di Alba nell’estate del 1962, con il Premio Alpi Apuane; Gian Carlo Artoni stabilì un rapporto d’amicizia epistolare con Fenoglio, forse riconoscendo in lui il valore o un alter ego dell’amico prematuramente scomparso. Fenoglio apprezzò le parole di stima, e nell’ottobre del 1962, nel momento di congedarsi da Italo Calvino e Attilio Bertolucci, gli editor che più avevano creduto in lui, scrisse una lettera anche all’ex segretario del Premio Colombi Guidotti: “Caro Artoni, bisogna sempre essere disponibili…”.

lubufano@hotmail.com
L. Bufano insegna alla Florida State University Florence Program

La lettera di Gadda a Bigongiari, datata 22 dicembre 1959, è stata pubblicata in Carlo Emilio Gadda, Lettere a Piero (con Quattro saggi su Gadda di Piero Bigongiari), a cura di Simona Priami, Edizioni SOLO Polistampa, Firenze, 1999

Ringrazio Teresa De Robertis e il Gabinetto G.P. Vieusseux per la documentazione resami disponibile, Paolo Briganti per la testimonianza su Gian Carlo Artoni.