Donne d’America: un’antologia che sovverte il canone

Voci di donne per una “riscoperta” dell’America

di Gianfranca Balestra

Le donne in America fin dall’inizio scrivevano: diari, autobiografie, relazioni di viaggio, poesia. Negli Stati Uniti dell’Ottocento scrivevano e pubblicavano con successo una narrativa rivolta a un pubblico prevalentemente femminile, etichettata come popolare, domestica, sentimentale, regionale. Ma è soprattutto a cavallo fra Otto e Novecento, che la scrittura delle donne si manifesta in tutta la sua forza letteraria e innovativa. Ci sono scrittrici professioniste, che vivono della loro attività e scrittrici che faticano a fare sentire la loro voce, scrittrici famose al loro tempo e poi completamente dimenticate, per essere riscoperte a partire dagli anni settanta del Novecento, grazie soprattutto alla critica femminista, che ha riportato alla luce testi significativi, rendendoli di nuovo disponibili, e ha prodotto studi fondamentali che hanno modificato il canone letterario americano. Molto di questo lavoro è filtrato anche in Italia, a livello accademico ed editoriale, con la proposta di nuove traduzioni di autrici note e meno note. Mancava però una antologia come Donne d’America, che propone diciotto racconti di scrittrici americane nate e vissute nel periodo che va dal 1850 al 1950. Il racconto – genere privilegiato della narrativa statunitense – nella sua concentrazione consente di rappresentare la varietà delle culture che compongono una società complessa, attraverso voci di donne che offrono punti di vista diversi, non solo di genere, ma anche di classe, razza e origine geografica. Storie differenti per tema, ambientazione e stile che compongono tasselli significativi del grande mosaico della letteratura americana. Nell’Introduzione le curatrici Giulia Caminito e Paola Moretti, scrittrici a loro volta, presentano in modo sintetico le autrici scelte, rimandando agli apparati biografici e storico-letterari finali per una documentazione più ampia. Alcune sono famose, altre sono fra quelle riportate alla luce dopo anni di oblio dalla critica femminista, alcune sono tuttora pressoché sconosciute ma meritano di essere lette. Alcuni dei racconti scelti sono tra i più celebri della letteratura americana, già tradotti in italiano, altri sono qui proposti in traduzione per la prima volta. È una introduzione caratterizzata da una fertile prospettiva transnazionale, che cerca di capire un mondo solo apparentemente noto e sempre sfuggente. I racconti si possono leggere di seguito, ma anche in ordine sparso perché non sono disposti in linea cronologica, bensì in ordine alfabetico per autrice.

Un buon punto di partenza per la lettura potrebbe essere il racconto di Rebecca Harding Davis Vita nelle ferriere, pubblicato anonimo nel 1861 su una rivista importante come “The Atlantic Monthly”. Il racconto descrive in modo realistico le terribili condizioni degli operai nelle fabbriche dove si lavora il ferro. Il mito americano delle possibilità di sviluppo individuale per tutti viene decostruito attraverso la tragedia del protagonista, le cui potenzialità umane e artistiche non si possono manifestare. Il racconto ebbe immediati riconoscimenti critici per essere poi dimenticato fino alla sua “riscoperta” e pubblicazione nel 1972 dalla Feminist Press, con la Prefazione della scrittrice Tillie Olsen, e più volte tradotto in italiano.

Un altro caso di scrittrice riscoperta in quegli anni e ora famosa è quello di Kate Chopin, autrice di Il risveglio, un romanzo ambientato in Louisiana, che fece scandalo al tempo della sua pubblicazione nel 1899 per la messa in discussione dei paradigmi tradizionali della donna moglie e madre, e per il risveglio erotico sapientemente descritto col linguaggio del corpo e della natura. Nel racconto qui proposto, La storia di un’ora, pur nell’esito drammatico, prevale l’ironia prodotta dal contrasto fra le emozioni della protagonista e la loro interpretazione, fra il desiderio di libertà che la porta a gioire alla notizia della morte del marito e la delusione di fronte al suo ritorno. Un ribaltamento che provoca un attacco di cuore mortale alla donna, che i medici attribuiscono erroneamente alla troppa gioia.

Un altro racconto che mostra i difficili rapporti fra donne e uomini in una società patriarcale è Una giuria di sue pari di Susan Glaspell. È un racconto poliziesco: un uomo viene trovato morto nel suo letto con una corda al collo e la moglie è sospettata dell’omicidio. La variante femminile è centrale in questo caso, per le modalità di indagine che portano le donne a risolvere il mistero grazie alla loro capacità di osservazione di piccoli dettagli apparentemente insignificanti. Soprattutto, fra le donne si stabilisce una sorta di imprevista solidarietà femminile e si mette in discussione la concezione della giustizia, facendo di questo racconto un testo emblematico non solo della critica femminista, ma anche luogo privilegiato di discussione giuridica e filosofica.

La carta da parati gialla di Charlotte Perkins Gilman è un piccolo gioiello che può essere letto come splendida e terribile metafora della condizione della donna in una società patriarcale. In parte autobiografico, racconta il crollo nervoso di una donna profondamente depressa, curata dal marito medico con l’isolamento e la rinuncia alla scrittura. La protagonista crede di vedere una donna prigioniera dietro la carta da parati gialla della sua stanza e decide di liberarla strappando la carta, in un gesto di follia liberatoria. La donna naturalmente è proiezione di sé stessa e diventa emblema di tutte le donne.

La rivolta di Madre di Mary Wilkins Freeman racconta in chiave realistica la ribellione di una donna capace di opporsi alla volontà del marito e affermare i suoi bisogni, dopo anni di sottomissione. Ambientato nel mondo rurale del New England, dove gli animali sembrano avere priorità rispetto agli umani e gli uomini esercitano il loro potere dominante, il racconto mostra la forza di una donna che rivendica il suo diritto a uno spazio vivibile per sé e la sua famiglia. Spesso accostata a Wilkins Freeman come scrittrice regionalista è Sarah Orne Jewett, che ambienta le sue storie nel Maine rurale di cui le due sorelle protagoniste del racconto Le Signore di Dulham sono esemplari di un provincialismo un po’ grottesco tratteggiato con ironia.

Tra le scrittrici più affermate, che sono ormai entrate nel canone letterario americano per la qualità della loro produzione narrativa, ci sono certamente Willa Cather ed Edith Wharton, entrambe vincitrici del premio Pulitzer e ampiamente tradotte in Italia. Autrici di capolavori romanzeschi ma anche di decine di racconti eccellenti, non potevano mancare in questa antologia. Sono rappresentate da due racconti meno noti, ma interessanti per tematiche e struttura narrativa. Entrambi i racconti sono focalizzati sul protagonista maschile e la sua percezione delle figure femminili. Il profilo di Cather è la storia di un artista americano a Parigi, che si trova a dipingere il ritratto di una giovane donna sfigurata da una orribile cicatrice sul viso, con sviluppi imprevedibili in cui si intrecciano arte, bellezza, amore e violenza. La missione di Jane di Edith Wharton affronta un tema insolito per la scrittrice: l’adozione di una bambina da parte di una coppia senza figli, raccontato dal punto di vista di un marito indifferente che non capisce il desiderio di maternità della moglie.

L’aspetto forse più interessante e aggiornato di questa antologia risiede nell’ampiamento del canone della letteratura delle donne in senso multiculturale, sul modello di quanto avvenuto negli Stati Uniti. Non solo scrittrici bianche borghesi oppure provinciali, magari marginalizzate o dimenticate, ma scrittrici di altre etnie, in particolare africane americane ma anche una nativa e una cinese. La più importante di queste è Zora Neale Hurston, la cui vicenda umana, intellettuale e letteraria risulta esemplare per comprendere la tradizione africana americana e quella femminista. Non a caso nell’Introduzione alla raccolta le curatrici partono proprio dalla ricerca della sua tomba da parte di Alice Walker, una tomba senza nome per una donna che aveva scritto opere importanti di narrativa e antropologia, aveva partecipato al Rinascimento di Harlem per poi essere dimenticata. L’identificazione della sua tomba e la posa di una lapide che la ricorda diventa una sorta di immagine fondante, attorno alla quale la ricerca continua. Madre Catherine offre un assaggio dello sguardo antropologico di Hurston, della sua capacità di raccontare con linguaggio giornalistico una figura di donna carismatica, fondatrice di una sorta di culto matriarcale. Altre scrittrici afroamericane sono sicuramente meno note o addirittura sconosciute in Italia e contribuiscono ad ampliare ulteriormente il campo in modo significativo: Gwendolyn Bennett, Alice Dunbar Nelson, Jessie Redmon Fauset sono scrittrici attive nel Rinascimento di Harlem, attiviste per i diritti delle donne e degli afroamericani, capaci di raccontare i drammi del razzismo e di far riaffiorare la tragedia della schiavitù attraverso la memoria.

Non poteva poi mancare una rappresentante della cultura nativa americana, Zitkála-Šá, che tra le prime ha raccontato i tentativi di assimilazione e acculturazione da parte dei bianchi, avendoli sperimentati di persona. In I giorni di scuola di una giovane nativa americana, pubblicato nel 1921 nella raccolta American Indian Stories, la narrazione in prima persona adotta lo sguardo di una bambina che abbandona la sua cultura nativa e scopre un mondo sconosciuto, che parla un’altra lingua e propugna valori completamente diversi, diventando fonte di sofferenza, ribellione, nostalgia, crisi identitaria. Condivisibile peraltro la scelta di adottare il termine “nativa” al posto del tradizionale “indiana”, ormai percepito come denigratorio.

La dimensione multiculturale degli Stati Uniti come nazione di immigrati non manca di voci femminili, qui rappresentate da Sui Sin Far, scrittrice cinese per parte materna, nata in Inghilterra da padre inglese ed emigrata in Canada e negli Stati Uniti. I racconti di La Signora Spring Fragrance mostrano le difficoltà di integrazione dei cinesi tra spinte all’americanizzazione e legami con le tradizioni di origine. Aprire ulteriormente il campo alle scrittrici immigrate da altri paesi richiederebbe un’altra antologia. Forse qui basta ricordare il racconto di Djuna Barnes, americana bianca e cosmopolita, che nel racconto di apertura della raccolta costruisce una storia di immigrati a New York e in particolare di una donna di cui non si conosce l’origine, con una scrittura modernista distaccata che intreccia amore e morte e rifiuta facili spiegazioni.

La nota di traduzione di Amanda Rosso mostra consapevolezza dei problemi traduttivi e della necessità di sintonizzare il linguaggio del passato con la sensibilità del presente, in una mediazione non solo linguistica, ma culturale e sociale. I problemi principali riguardano le questioni del genere, della razza e del vernacolo e le soluzioni proposte appaiono equilibrate e ben argomentate. L’attribuzione del genere femminile all’identità non esplicitata del narratore è una scelta politica che riguarda due racconti in particolare. Le scelte più difficili sono quelle relative alla razza a causa della forte caratterizzazione razziale del linguaggio negli Stati Uniti e della sua evoluzione e alla necessità di rappresentare in italiano le varie sfumature senza neutralizzare tutto, con il rischio di eliminare completamente le connotazioni razziste storicamente determinate. Operazione perfettamente riuscita per un libro che invita a esplorare frammenti significativi di “un’altra America”.

gianfranca.balestra@gmail.com

G. Balestra ha insegnato letteratura angloamericana all’Università di Siena