Gustav Meyrink – Pipistrelli

Pipistrelli espressionisti

di Franco Pezzini

Gustav Meyrink
Pipistrelli
a cura di Anna M. Baiocco, pp. 247, € 18,
Tre Editori, Roma 2022

Gustav Meyrink (1868-1932) è in genere oggi noto soprattutto per i suoi romanzi, in particolare Il Golem (ultime edizioni, già il numero pare indicativo: Tre Editori, 2015, magnifica, con ricco corpo di illustrazioni originali dell’amico Hugo Steiner-Prag, cfr. “L’Indice” 2015, n. 12; poi Landscape Books, 2016; Skira, 2018; Bompiani, 1977, 2019; Tipheret, 2019; Intra, 2021), ma non sono mancate qui e là proposte relative alla sua produzione in forma breve. La raccolta in esame permette di esplorare dimensioni creative meno note, con benvenuta attenzione a un’organicità, e senza gli arbitrî di selezioni spesso proposte in Italia. Dopo una ricca Introduzione, troviamo infatti i sette racconti della sua seconda antologia Pipistrelli (Fledermäuse, 1916, lo stesso anno del romanzo Il volto verde), e poi un corpus degli ultimi racconti (1926-1932), qui riuniti in quanto ideale continuazione dei primi sette, fino all’ultima novella da lui scritta pochi mesi prima della morte, La porta sulla Fenice. Nella raccolta del 1916, che incontrerà l’attenzione di Jung, nel primo racconto, lo straniante Meister Leonhard, l’elemento autobiografico del difficile rapporto con la madre viene inserito entro la storia tortuosa e sofferta di un percorso interiore verso una coscienza superiore. Il gioco dei grilli richiama una visione avuta nel 1915 sulle cause occulte che starebbero dietro alla Grande guerra, mentre Come il dottor Hiob Paupersum portò rose rosse alla figlia è un testo di critica a una società cinicamente indifferente alle sofferenze dei poveri; Amadeus Knödelseder, l’incorreggibile avvoltoio degli agnelli è una favola satirica fino allo sberleffo sui compatrioti bavaresi (ma ce n’è anche per gli italiani); La visita di Johann Hermann Obereit nel Paese delle Succhiatempo spiega come i desideri vani degli uomini popolino la realtà di larve vampiresche, e solo chi riesce a estirparli conosca una rinascita spirituale e possa porre l’epitaffio “Vivo” sulla propria tomba (come in effetti Meyrink farà). Il cardinale Napello, attraverso suggestioni orrifiche e strane, conduce alla riflessione che “Non c’è nulla che possiamo fare che non sia magico”; e I quattro fratelli della luna ripropone in chiave onirica il tema della fine del genere umano (il racconto richiama tra l’altro l’amicizia e la stima di Meyrink per Alfred Kubin, qui richiamato anche nel racconto tardo Fantasma alla luce del sole). 

Per Meyrink l’esoterismo non è in prima battuta ricerca di poteri (interiori/psichici o esteriori/politici), come teorizzato da interpreti fascistoidi nostrani che sulle sue opere hanno cercato di mettere surrettiziamente il cappello (Evola coi suoi devoti). Anzirazzista (e anzi affascinato dalla cultura ebraica) e antinazionalista in un momento in cui le sirene di razzismo, xenofobia e nazionalismo connotano non solo l’estrema destra militante ma anche la borghesia industriale e finanziaria che la sostiene e la “pancia” popolare che vi garantisce assenso nella ricerca di capri espiatori delle proprie frustrazioni, Meyrink va collocato nel suo tempo anzitutto per le forme espressioniste che offre alle narrazioni. Poco importa che una volta usi linguaggio e categorie della Cabala, un’altra attinga all’immaginario del lontano Oriente, un’altra ancora all’esoterismo occidentale: quelle sono forme, linguaggi più o meno pittoreschi di una ricerca interiore nel suo caso autentica e molto più degna di rispetto di quanto in genere le si tributerà (notevolissimo lo scarto dal “pornografo” Ewers, suo ideale contraltare: cfr. “L’Indice online” 12 maggio 2022). Poi, certo, Meyrink non è solo un esoterista, ma anche – e vorrei dire soprattutto – un narratore interessante e un uomo coraggioso, pronto a ricorrere alla satira (contro le autorità politiche, il patriottismo becero – “La vera patria è la comunità delle persone perbene!”, scrive nel 1919 – e il militarismo, mai contro minoranze e frange più deboli come nella “satira” di destra) e che per questo affronterà attacchi velenosi, fino a confische, censure e nel maggio 1933, pochi mesi dopo la sua morte, ai roghi dei suoi libri; e insieme dotato di una fantasia febbricitante, onirica. Torniamo al linguaggio espressionista, al suo gioco di ombre burattinesche come dagli occhi bistrati (per esempio lo sfuggente e metamorfico dottor Sacrobosco Haselmayer che emerge qui e là nella raccolta), di rifrazioni distorte, architetture malate quanto la città del Caligari, fantasmi di città (prevalentemente Praga, ma anche Monaco, Berlino…) e torsioni del tempo, misteriosissimi ordini esoterici e vaghi echi inquieti dall’Asia centrale, coleotteri neri quanto il Gregor kafkiano, figure di cera e Bafometti. A rendere questi racconti, anche i più strambi e febbricitanti, un’esperienza di continua sorpresa e fascinazione.