Laurent Demoulin – L’amore e la merda

Una sfiancante fenomenologia di amore paterno

di Luca Bevilacqua

Laurent Demoulin
L’amore e la merda

ed. orig. 2016, trad. dal francese di Thea Rimini,
pp. 228, € 18,
Mincione, Bruxelles 2022

L’amore e la merda è il titolo che inizialmente Laurent Demoulin aveva pensato per questo libro, pubblicato nel 2016 da Gallimard con il titolo Robinson e vincitore di un premio prestigioso, il Victor Rossel, che è un po’ il Goncourt della letteratura belga. Demoulin è un professore di letteratura dell’università di Liegi che, oltre alla produzione saggistica (è un esperto di Simenon e di Francis Ponge), ha scritto diverse raccolte di poesia. Dovremmo perciò dire che si tratta del suo primo romanzo, se non fosse che tale definizione calza assai male. Il libro è composto da una serie di brani, alcuni più lunghi, altri decisamente brevi (quattro o sei righe), che rasentano il genere del poemetto in prosa. Tutti svolgono, raccontano, chiosano un unico tema: il terzo dei tre figli di Demoulin, che nel libro è chiamato appunto Robinson, ed è affetto da una forma severa di autismo. In uno dei primi paragrafi compie dieci anni, dunque è un bambino che fisicamente comincia a diventare grande. Il che rende complicata la sua gestione in tutti quei casi, frequentissimi, nei quali Robinson si rifiuta di collaborare e bisogna prenderlo in braccio per andare da una stanza all’altra, o per andare in bagno, o per impedirgli quei comportamenti che trasgrediscono una convenzione sociale accettabile: “Sdraiarsi in una pozzanghera di fango. Urlare in un luogo pubblico. Afferrare i giocattoli di altri bambini. Sedersi sulle ginocchia di ragazze sconosciute, soprattutto se poco vestite, nel parco in estate. Rubare una patatina dal piatto di un uomo grasso in un bar all’aperto. Mangiare con le mani. Masturbarsi davanti a tutta la sacra famiglia. Far cadere una fila intera di vestiti in un negozio. Svuotare per terra il contenuto del carrello”.

Una semplice spesa al supermercato sarebbe una missione rischiosa, se non ci fosse la possibilità (ma per quanto tempo ancora?) di far sedere Robinson sul seggiolino del carrello. Posizione occupata solitamente da bimbi ben più piccoli. Ecco allora profilarsi un tema apparentemente secondario, ma in realtà centrale: lo sguardo degli altri. Tutti sembrano perdere per qualche momento, di fronte a quella scena imprevista, l’indifferenza ordinaria. Sguardi stupiti, o giudicanti, o al contrario comprensivi fino alla pietà. Perché sta lì? Cosa avrà mai quel bambino? Non solo gli estranei, ma anche gli amici: chiunque si sente in diritto di pronunciare una qualche parola, o peggio di elargire consigli non richiesti. Perché non lo porti a passeggiare in campagna? Non starebbe meglio in un istituto? Fra milioni di storie d’amore che la letteratura ha raccontato, storie tanto più interessanti – per noi lettori – quanto più dolorose, mancava ancora questa. La storia di un padre che ama suo figlio, nel modo più diretto e senza compromessi. Quell’amore, simile a tanti altri, risulta infatti pressoché eroico in quanto Robinson, come suggerisce il suo nome, vive in un’isola talmente distante e chiusa in sé stessa che nessun messaggio sembra poterlo raggiungere. Né per spiegargli cosa è giusto, né per chiedergli perché all’improvviso piange (ed è l’incipit folgorante del libro), né tantomeno per rassicurarlo. Nessuna risposta in ogni caso giungerà mai. Tutti potranno poi leggere le vicende di Robinson: il suo divertimento sfrenato a tirar giù le cose da mensole e armadi, il gioco innocente e crudele di approfittare d’un secondo di distrazione paterna per fare la cacca nella stanza e spargerla in ogni dove. Tutti potranno leggere, ridere o commuoversi. Tranne lui.

La capacità di osservare e scomporre in modo analitico, non senza ironia, questa sfiancante fenomenologia dell’amore paterno è quella propria dello studioso e del fine critico letterario. Proprio lui, Demoulin. Il quale deve curarsi di preservare pure la sua vita personale, un residuo equilibrio fra la professione e gli altri affetti familiari, senza perdere di vista il mondo. Anche per continuare, un domani, a essere un buon papà. Esemplari, e a tratti esilaranti le pagine in cui si raccontano i preparativi e lo studio (fatto ascoltando delle registrazioni) in vista d’una conferenza su Roland Barthes, oppure le passeggiate in città, o una giornata in piscina: tutto in compagnia di Robinson. Il quale innesca involontariamente in suo padre, grazie alla sua semplice presenza, una condizione mentale di assoluta lucidità: “In compagnia del mio piccolo Robinson divento puro sguardo”. In questa epopea su scala ridotta e privata, dove si affacciano alcune figure di imprevista umanità e simpatia (penso a una cassiera del supermercato), c’è ovviamente modo per il padre di ripensare a quando era lui figlio. Poiché la diversità comincia con ogni storia individuale, e non certo con una diagnosi: “Nessuno è normale, mi diceva mio fratello César quando eravamo adolescenti. Pensavo che si sbagliasse, cercavo degli esempi per contraddirlo: aveva ragione”.

Eppure ogni genitore soffre, anche quando lo nasconde a sé stesso, per le medesime speranze che vivono i suoi simili: “Tutti i genitori degni di questo nome vogliono che i loro figli siano felici. Tutti i genitori, tranne gli idioti felici, sanno però che la felicità è irraggiungibile, ma possono fingere di credere che per i loro figli si farà un’eccezione”.

luca.bevi@yahoo.it
L. Bevilacqua insegna letteratura francese all’Università Tor Vergata di Roma