Libro del mese: Arkadij e Boris Strugackij – Destino zoppo

Uno scrittore assediato

di Giulia Baselica

Arkadij e Boris Strugackij
D
estino zoppo
ed. orig 1989, trad. dal russo di Daniela Liberti,
pp. 359, € 19,50,
Carbonio, Milano 2023

Terminato nel 1982, il romanzo Chromaja sud’ba fu pubblicato in versione parziale quattro anni dopo sulla rivista “Neva” e, in versione integrale e in volume, per i tipi della casa editrice Sovetskij pisatel’, nel 1989. Era il tempo della perestrojka e “quel che prima era vietato, ora era permesso” ricorda Boris Strugackij nella Postfazione al romanzo.

Nella vastissima produzione letteraria dei fratelli Strugackij Destino zoppo è l’unica opera di carattere autobiografico e realistico: numerosi sono infatti i riferimenti alla vita e al destino letterario degli autori, in particolare di Arkadij, inseriti nel contesto di una Mosca sovietica precisamente delineata sia nella sua fisionomia topografica sia nel clima psicologico che condiziona l’ispirazione artistica e le relazioni fra intellettuali e potere. Qui il Presidente è il padre del popolo, il Legionario della libertà è il fedele figlio del Presidente, mentre l’esercito è la temibile forza dell’autorità governante e la letteratura solo in parte può corrispondere alla realtà, perché all’eroe, necessariamente positivo, non può essere attribuito un mondo interiore. In tale microcosmo è quindi determinante il responso fornito dalla macchina che misura il talento: provvista di dispositivi elettronici programmati per individuare non soltanto gli errori grammaticali e stilistici, ma anche gli elementi intertestuali passibili di intervento censorio, essa è capace di determinare, in pochi secondi, il numero più probabile di lettori dell’opera esaminata, così decretando la sorte del suo autore. A questa macchina, attiva in un istituto nel quale si studia l’entropia del linguaggio, lo scrittore Feliks Sorokin deve sottoporre un manoscritto a sua scelta. Quella che a tutta prima sembrerebbe una semplice incombenza si trasforma invece in un’impresa complicata, ostacolata da continui contrattempi, inattese deviazioni, falsi percorsi. Sorokin si è sempre sentito in dovere di scrivere romanzi e racconti di ambientazione militare per essere sopravvissuto – ha servito nell’esercito sovietico con il grado di tenente e nel ruolo di interprete – alla cruentissima battaglia di Kursk del 1943. Ma un cassetto chiuso a chiave della sua scrivania contiene una cartellina azzurra, nella quale è custodito il manoscritto di un romanzo che non racconta una storia di guerra. Parla di uno scrittore che si chiama Viktor Banev. È separato dalla moglie Lola, ha una figlia adolescente di nome Irma e una nuova compagna, Diana.

Ai personaggi di Feliks Sorokin e Viktor Banev si riconducono le due linee narrative che, nella geometria strugackiana, procedono parallele, tuttavia incontrandosi in alcuni dettagli biografici, negli interrogativi esistenziali e, soprattutto, nella complessa e dolorosa questione relativa al ruolo dello scrittore nella società e al suo rapporto con l’arte e con il potere. Banev è protagonista di una serie di avvenimenti che si susseguono a un ritmo vorticoso e che si dipartono da un episodio inaspettatamente traumatizzante e rivelatore: il confronto con un gruppo di ginnasiali desiderosi di conoscere un intellettuale famoso e, in quanto tale, riflesso della società contemporanea. Il dibattito che ne deriva assesta un poderoso colpo alle svigorite convinzioni ideologiche e morali dello scrittore, il quale trova, però, un’inedita energia: Viktor Banev da quel momento compirà azioni audaci, ma soprattutto imparerà a considerare la realtà da una nuova prospettiva interiore, anche se sarà l’alcol a fornirgli l’antidoto alla disperazione. Scopre nei mokrecy, esseri perseguitati dal borgomastro della città, una risorsa essenziale e, in un impeto improvviso, si impossessa di un camion sequestrato dalla polizia, carico di libri, per condurlo al lebbrosario. Qui sono rinchiuse quelle strane creature che, accusate di corrompere i bambini e gli adolescenti della città, si nutrono di letture e muoiono se private dei libri.

Gli incontri, quasi sempre inattesi; i colloqui, spesso criptici; gli spostamenti, difficoltosi e tuttavia rapidi si alternano a spaventosi scenari onirici, ma, infine, quando la città si sarà liberata della materia purulenta (la magistratura, i tribunali e la polizia, l’industria e il commercio) e del sangue (il popolo), Viktor Banev, dopo tanta pioggia e tenebra, contemplerà un cielo tersissimo, che nessun altro potrà vedere e si ritroverà in un paesaggio quieto, così simile all’ultimo scenario, silenzioso e lunare, del bulgakoviano Maestro e Margherita.

I richiami espliciti e le allusioni ai personaggi di Michail Bulgakov si aggiungono ai numerosi riferimenti intertestuali che idealmente estendono i confini del romanzo a una dimensione infinita, dove si custodisce la produzione letteraria di ogni tempo e di ogni paese. In un analogo gioco di rifrazioni si corrispondono le manifestazioni dell’alter ego dello scrittore. Se Feliks Sorokin è un’esplicita emanazione dei suoi autori, Viktor Banev è un dinamico riflesso di Sorokin e, nel contempo, matrice generativa di tre ulteriori personaggi, tutti onomasticamente contrassegnati dall’iniziale B e protagonisti di una nuova narrazione, che rimarrà inconclusa.

Nel destino zoppo cui si sente condannato Feliks Sorokin si palesa, infine, Crono, che divora i suoi figli – in un’antitetica lettura del mito: il futuro, implacabile e crudele, fagocita il presente – ma al quale si contrappone il proposito saggio e coraggioso della giovane generazione che Banev ha incontrato: edificare un nuovo mondo senza prima aver distrutto quello vecchio.

giulia.baselica@unito.it
G. Baselica insegna lingua e letteratura russa all’Università di Torino


Lo scrittore Strugackij e gli umanoidi di altre galassie

di Claudia Scandura

Scrivere in coppia, vivendo e lavorando in città diverse, non è certo facile, eppure i fratelli Arkadij e Boris Strugackij sono riusciti a dar vita in dozzine di romanzi e racconti a un futuro popolato dai loro personaggi preferiti, che ha entusiasmato allo stesso modo lettori comuni, scienziati e persino cosmonauti. Della loro enorme popolarità parlano le tirature delle opere, le raccolte, le riedizioni, le traduzioni, la recente pubblicazione delle varianti e delle prime stesure, l’enciclopedia, il vocabolario, le monografie e gli articoli scientifici a loro dedicati. Un successo enorme che si basa sul fatto che i due scrittori sono riusciti a creare un mondo del futuro che abbraccia tutto l’universo e in cui il lettore si immerge come nella Parigi della “commedia umana” di Balzac. Grandi registi hanno tratto ispirazione dalle loro opere, realizzando film significativi che hanno fatto la storia del cinema mondiale. Basti pensare a Stalker (1979) di Andrej Tarkovskij, basato sul quarto capitolo di Picnic sul ciglio della strada (1972), e alla cui tormentata sceneggiatura i fratelli presero parte, al visionario I giorni dell’eclisse (1988) di Aleksandr Sokurov, con cui collaborò il solo Boris, tratto dal romanzo Un miliardo di anni prima della fine del mondo (1976), al drammatico È difficile essere un Dio (2013) di Aleksej German senior, basato sul romanzo omonimo del 1964.

Arkadij e Boris Strugackij, così come i loro eroi, sono figli della rivoluzione scientifica che, nonostante divieti e ostacoli, è arrivata in Russia alla metà degli anni cinquanta del secolo scorso. Fra le loro opere ce ne sono in particolare due, Il lunedì comincia di sabato (1965) e La favola della Trojka (1968), interamente dedicate alla condizione della scienza in quel periodo, ai successi, alla dedizione degli studiosi e allo scandaloso comportamento dei burocrati che li ostacolavano in ogni modo. Con lo stile brillante, scanzonato, tipico delle orecchiabili canzoni degli anni sessanta, la satira dei fratelli Strugackij è riuscita a combinare le immagini tradizionali della mitologia popolare russa, la strega Baba-Jaga, folletti e fattucchiere, con il demone di Maxwell. I loro romanzi rappresentano il mondo che essi vorrebbero si realizzasse nel futuro: un universo senza conflitti, senza guerre, senza divisioni, che si colloca al di fuori del tempo. La critica sovietica lo ha interpretato come una riflessione sugli aspetti reali del futuro, mentre il lettore ne ricava piuttosto l’impressione che gli autori stiano lottando con tutte le loro forze contro il proprio pessimismo.

Ma chi erano questi due scrittori che scrivevano separati e si incontravano periodicamente a metà strada per discutere progetti e capitoli dei loro romanzi? Arkadij Strugackij (1925-1991), traduttore dall’inglese e dal giapponese, era impiegato come redattore in una casa editrice, e dei due fratelli era il letterato a tempo pieno, mentre Boris Strugackij (1933-2012), ingegnere matematico, astronomo appassionato di computer, lavorava a Leningrado in un istituto di ricerca scientifica. Entrambi coltivavano interessi letterari e insieme esordirono come scrittori nel 1959 con il romanzo Il paese delle nuvole purpuree, cui ne seguiranno molti altri, fino al 1990. Il giorno successivo alla morte di Arkadij, il 13 ottobre del 1991, Boris appuntò sul suo diario “Lo scrittore A. e B. Strugackij non esiste più”.

Nelle loro opere, i due fratelli, scrivendo sul cosmo, riflettono le ricerche della scienza contemporanea, gli studi sull’intelligenza extraterrestre, sui robot, mostrando di conoscere bene anche le teorie sullo spazio e il tempo enunciate dal cosmismo russo, una scuola di pensiero nata dal dialogo fra scienza e filosofia nel corso del XIX-XX secolo e poi alimentata dalla corsa sovietica allo spazio. L’idea di paragonare le varie civiltà del cosmo era stata espressa dal drammaturgo Aleksandr Suchovo-Kobylin alla fine del XIX secolo nell’opera filosofica L’insegnamento Universale, in cui aveva evidenziato tre tipi fondamentali di possibili civiltà, quella della terra, del sistema solare e della galassia, che rappresentano tre momenti della storia del mondo. L’umanità della terra è rinchiusa nei confini del globo terrestre, quella del sole è rappresentata da tutti gli abitanti del sistema solare, mentre quella universale comprende la totalità di coloro che popolano l’Universo. Un’idea che viene ripresa da Konstantin Ciolkovskij (1857-1935), il padre della cosmonautica sovietica, autore fra il 1893 e il 1920 di romanzi che trattano i problemi della conquista del cosmo. Ciolkovskij, allievo del filosofo Nikolaj Fëdorov (1829-1903), teorico della dilatazione dello spazio fino ai confini ultimi dell’universo, lavorò a una sua teoria dei viaggi interstellari e creò un’utopia sulla trasformazione della natura e sull’amicizia interplanetaria che ebbe una grande influenza su tutta la fantascienza sovietica.

Arkadij e Boris Strugackij riprendono dal cosmismo il concetto di “evoluzione attiva” della specie umana, delle sue possibilità di sviluppo, e nei loro romanzi scrivono del rapporto fra tempo ed energia (Mezzogiorno, XXII secolo), ma anche di linguistica matematica (Destino zoppo), di cibernetica (L’isola abitata, Tentativo di fuga, Lo scarabeo nel formicaio, eccetera), di epistemologia genetica (Bambino), di metallurgia delle polveri (È difficile essere un Dio), di psicosi di massa (Le onde spengono il vento), solo per fare qualche esempio sull’ampiezza dei loro interessi.

Spesso nelle opere ricorrono gli stessi eroi, si ripetono particolari, si ricordano avvenimenti già descritti, creando così un’illusione di omogeneità, di coerenza interna, di logica e di verisimiglianza ipotetica. Nascono i cicli in cui i romanzi possono essere raggruppati, fra cui quello dedicato al XXII secolo, quando, secondo l’opinione dei due scrittori, verranno integrati nel nostro sistema solare, pianeti di altre galassie popolati da civiltà umanoidi.

Osteggiati apertamente a partire dagli anni settanta, in particolare dalla pubblicazione di Picnic sul ciglio della strada e dalla collaborazione con Andrej Tarkovskij, che diede loro ampia notorietà ma non pochi problemi con la censura, i fratelli Strugackij videro le loro opere, Brutti cigni, uscito all’estero in “tamizdat”, La città condannata, scritto “per il cassetto” e inedito in Russia fino al 1989, boicottate apertamente. Solo con l’avvento della perestrojka di Gorbačëv riuscirono a pubblicarle in versione integrale, un cambiamento radicale che i due scrittori accolsero con favore, illudendosi però sul ruolo che gli intellettuali avrebbero avuto nella costruzione della nuova Russia. Delusi dal successivo sviluppo degli eventi, Arkadij e Boris Strugackij si abbandonarono al pessimismo e nelle loro ultime opere, i romanzi Le onde spengono il vento (1986), Schiacciati dal male, ovvero quaranta anni dopo (1988), e la commedia I giudei della città di Piter (1990), dipinsero in toni apocalittici il crollo di un’intera società.

Oggi, a distanza di più di trenta anni dalla scomparsa dello “scrittore Strugackij”, le loro opere non hanno però perso smalto e continuano a testimoniare la consapevolezza della letteratura russa nei confronti della sua tragica storia.

claudia.scandura@fondazione.uniroma1.it
C. Scandura ha insegnato letteratura russa all’Università La Sapienza di Roma