Maryse Vuillermet – Dalla fame al «paradiso»

recensione di Cristina Lanfranco

Maryse Vuillermet
Dalla fame al «paradiso»
trad. dal francese di Silvia Nugara e Claudio Panella,
pp.123, € 16
Fusta editore 2022

In un racconto familiare che incrocia i rivolgimenti della storia europea fra fine ‘800  e secondo dopoguerra Maryse Vuillermet ricostruisce la vita della propria famiglia dispersa dall’emigrazione fra Francia e Australia, ma originaria di Mascognaz, minuscola frazione della Val d’Ayas in Val d’Aosta, terra di forti migrazioni e progressivi spopolamenti di intere vallate. L’autrice aveva già affrontato in forma di saggi i temi dell’emigrazione e della condizione operaia e contadina, e sceglie ora con questo suo libro di porsi al confine di più generi; romanzo, documento, storia familiare. Figura centrale della sua ricerca è quella del nonno, Louis Vuillermet, emigrato nel 1897 verso la vicina Francia, lasciando a casa la moglie e otto bambini. Louis rivive attraverso la testimonianza e i ricordi della zia Santine, figlia di Louis, e a una prima lettura il racconto della Vuillermet pare nascere da motivi strettamente legati a dinamiche familiari. Louis infatti emigrando aveva lasciato dietro di se’ un debito contratto con una sorella, e il desiderio di restituire al nonno l’onore che egli sentiva perduto sembra animare il lavoro della nipote: il pensiero del  debito è la molla che spinge il racconto. In questo senso il libro pare davvero “una questione privata”, chiusa nel perimetro di fatti familiari: in realtà il lettore si trova dietro a un obiettivo fotografico mutevole, che restringe l’inquadratura sui Vuillermet per poi allargarla su una fetta di società italiana che muta e si evolve. L’insufficienza di una economia contadina di montagna e la crisi dei mestieri tradizionali (come quello dello zoccolaio, esercitato da molti uomini Vuillermet) spingono gli abitanti delle terre alte verso la pianura e in seguito verso la città, con un progressivo spopolamento delle zone alpine: la discesa verso valle porta però a un progressivo miglioramento delle condizioni di vita; i bambini possono frequentare la scuola, donne e ragazze andare a servizio e, più avanti, le vedremo entrare in fabbrica e scrollarsi di dosso almeno parte dell’oppressione familiare. Per la battagliera zia Santine l’emancipazione è proprio l’entrata in fabbrica, l’abbandono della realtà rurale: questo nonostante le condizioni operaie fossero in fabbrica durissime, pericolose e insicure. Il tema delle condizioni di lavoro è molto presente: la famiglia deve sopportare lutti e gravi infortuni che coinvolgreanno molti suoi membri. E ancora, questo obiettivo mostra uno squarcio di quel periodo storico, con uno sguardo speciale alla condizioni di vita femminili, specie delle  numerose ragazze madri in famiglie povere, alla condizione dell’infanzia, all’arrivo della guerra e la scelta naturale dell’antifascismo e della Resistenza.

Tutti o quasi i Vuillermet passeranno dalla condizione di contadini  poveri a quella di operai – alcuni operai molto specializzati e richiesti, esperti tagliatori di diamanti- e in seguito arriveranno a diventare piccoli commercianti: la famiglia ha salito qualche scalino di classe nel giro di tre generazioni. Il libro si chiude con una nota personale: Maryse Vuillermet, ascoltando e riscrivendo le memorie  di famiglia, ha completamente canbiato la percezione della ropria famiglia e anche di se stessa. “Eravamo poveri e ci sentivamo sfortunati, immigrati e rancorosi, vittime del destino e della società, finché a un tratto siamo diventati protagonisti della storia, eroi di un’avventura”.