Una sartoria libera da nazionalismi e sciovinismi
di Katarina Luketić
Superba sarta letteraria e maestra di narrazione. Amica di perdenti, rinnegati e sognatori, esclusi, esuli e migranti. Grande estimatrice di bagni termali. Lei era Baba Jaga, e anche la mia strega preferita. Volpe e imbrogliona. Scrittrice senza bavaglio. Meravigliosa ospite guastafeste di karaoke culturali a buon mercato. Appassionata di vecchi film e acutissima critica di fenomeni contemporanei. Colei che si è guadagnata da sola la sua ramazza. Colei che ha dato voce letteraria alle donne e ha permesso loro di riconoscersi nel racconto letterario. Colei che ha avuto la forza di non appartenere a nessuno per essere vicina a tutti quelli che non usano un metro ristretto e conservatore per misurare il mondo. Tutto questo, in innumerevoli modi, era Dubravka Ugrešić.
La pubblicazione nel 1981 del suo romanzo Štefica Cvek nelle fauci della vita ha segnato una rivoluzione nella nostra letteratura. Una rivoluzione incruenta, non violenta, ma tale da farci ballare sulle sue note. Una rivoluzione che ha dato visibilità e dignità letteraria a diverse esperienze femminili e ha dimostrato che l’ironia, l’umorismo e il ridimensionamento dell’autorità sono i mezzi più efficaci contro il dominio, i luoghi comuni e l’idolatria nella vita e nell’arte. Štefica è stata la nostra prima autentica eroina, imperfetta, sentimentale e ingenua, una “zia“ fuori dall’ordinario, i cui (in)succesi in amore hanno rappresentato l’affermazione, nella nostra letteratura, delle piccole storie femminili quotidiane.
Con Štefica, Dubravka Ugrešić ha introdotto una tecnica letteraria unica di riciclaggio e montaggio, quel patchwork che perfezionerà nei suoi romanzi successivi. Tagliare e scucire, accostare e unire pezzi di testo uno accanto all’altro. Con queste strategie ha rotto l’integrità lineare e l’oppressione delle soluzioni letterarie convenzionali in un’epoca dominata dalla contrapposizione tra alta e bassa letteratura. Štefica è fatta di stracci colorati di romanzi rosa, “letteratura di cucina”, con ricami melodrammatici che assumono nuovi significati nell’interpretazione dell’autrice.
Oltre a parlare di invecchiamento e solidarietà femminile, il romanzo Baba Jaga ha fatto l’uovo è, a un livello superiore, la risposta letteraria dell’autrice a ciò che ha vissuto in Croazia negli anni novanta. Una magistrale rilettura in chiave ironica del ruolo di strega e reietta che le era stato assegnato, ruolo che aveva dato la stura ad accuse di tradimento e “svendita” della patria nel mondo e che aveva trasformato “jugoslavismo“ e “jugonostalgia“ in pericolosi malefici. In un contesto in cui il conformismo, l’adattamento e il silenzio erano norme di comportamento diffuse, Dubravka Ugrešić si è rifiutata di essere ciò che gli altri si aspettavano che fosse. Si è pubblicamente auto-cancellata dalla letteratura croata, ha augurato “buona notte” agli scrittori, ed è volata da sola verso un mondo nuovo, per lei migliore.
L’esilio le ha portato irrequietezza e solitudine, il bisogno di ricordare e di guardarsi indietro. Della nostalgia e della dispersione degli esiliati ha scritto nei romanzi Il ministero del dolore e Il museo della resa incondizionata. Tuttavia l’esilio ha portato anche temi nuovi e liberazione poetica. Il mondo è diventato la sua casa e, come lei stessa ha detto, non si sentiva persa nella traduzione, ma “liberata nella traduzione”. Nessuno in Croazia, o nell’ambito della letteratura europea, ha scritto in modo altrettanto penetrante di migrazioni contemporanee, corrosione del carattere e perdita di umanità come lei in quei capolavori che sono Europa in seppia e Cultura Karaoke.
L’esperienza di lasciare il proprio paese, vivere all’estero, lottare per il proprio spazio in un mondo letterario in cui istituzioni, stato, nazione non la sostenevano, ha ulteriormente rafforzato il suo senso di appartenenza alla letteratura transnazionale. Tutti i suoi libri criticano l’esclusivismo etnico, il narcisismo delle piccole differenze e l’inoculazione sistemica di nazionalismi nella vita e nella letteratura.
Se i migliori scrittori del realismo russo, come sosteneva Dostoevskij, sono usciti dal cappotto di Gogol’, le migliori scrittrici contemporanee dell’area post-jugoslava sono uscite dalla sartoria di Dubravka. Inoltre, da quella sartoria sono usciti molti lettori, il cui rapporto con la letteratura è stato plasmato dai libri di Dubravka Ugrešić.
Dubravka Ugrešić era anche russista, la sua formazione letteraria era legata ad alcuni fra gli scrittori russi più brillanti e più osteggiati. I suoi libri sono pieni di riferimenti a Boris Andreevič Pil’njak, Jurij Karlovič Oleša, artisti d’avanguardia russi, e la sua concezione della letteratura era, come la loro, libera dalla schiavitù delle autorità e delle paure. Come ha scritto Evgenij Zamjatin, uno di quelli alla cui famiglia lei sentiva idealmente di appartenere, “La vera letteratura non viene creata da diligenti e obbedienti impiegati, ma da pazzi, eremiti, eretici, sognatori, ribelli e scettici”. Quando oggi penso a Dubravka Ugrešić e cerco stralci di ricordi della scrittrice che ho amato, per cucirli in memoriam, me la immagino in allegra compagnia. Tra gli eretici e i sognatori a cui ha sempre voluto appartenere. Tra i perdenti, che soli abitano il mondo della grande letteratura. Me la immagino finalmente libera da nazionalismi e sciovinismi, dalla serietà stupida e dalla seria stupidità, come le piaceva vedersi, a giudicare da un saggio di Europa in seppia. E la sento dire: “Sì, avete indovinato, appartengo al novero dei perdenti. Nikolaj Kavalerov è mio fratello. Sì, io sono sua sorella. E io, come Kavalerov, detesto i potenti dal profondo dell’anima. Mi attraggono i venditori di fumo e i prestigiatori tipo Ivan Babičev, i bugiardi, gli imbroglioni, i venditori ambulanti di rimedi miracolosi per togliere le macchie, i mangiatori di fuoco, i predicatori che tutti evitano come la peste, anche se dicono soltanto la verità. Oh, sì, sono promiscua, se così si può dire, mi potete facilmente immaginare a letto con Nikolaj Kavalerov e Ivan Babičev. Il letto è immenso, si confonde con l’orizzonte, ci stiamo tutti, bellamente sdraiati, non potete neanche immaginare quanti siamo! Qui c’è Oblomov, Don Chisciotte, che combatte contro i cuscini pensando che siano mulini a vento, c’è Emma Bovary, e Oskar Matzerath, e Molly Bloom, e Humbert Humbert, e Margherita, e Stephen Dedalus, e Tess dei d’Urbervilles. Qui ci sono tanti autori e i loro personaggi, qui ci siamo anche noi, loro fedeli lettori, siamo tutti qui, ci riposiamo in questo letto immenso, sotto la coltre del cielo. Noi siamo sul fondo, e da qualche parte, in alto, in alto sopra di noi romba il tempo, rumoreggia il mondo moderno. Eppure, qualcosa mi [dice]che quel letto di perdenti, dove ognuno [abbraccia]il suo cuscino come un’ancora di salvezza, [durerà] a lungo, e che quelli in alto sono fugaci come la pioggia e il sole che aprono sopra di noi l’arcobaleno, come il vento che scompiglia sopra di noi il fogliame dorato, come una nevicata che ci avvolge in una morbida coltre, e poi si scioglie”.
Traduzione dal croato di Silvia Minetti