“questo”: una nuova collana. Speciale Levi

Una costellazione editoriale

di Ersilia Alessandrone Perona

“La parola questo, semplice e netta, è stata scelta per dare il titolo a una collana editoriale che ospiterà ricerche, letture, dialoghi e incontri di studio a partire dai libri e dalla figura di Levi”, che fu maestro di concretezza. Così Domenico Scarpa presentò nel 2021 il volume n. 0 della collana da lui diretta, pubblicata dall’editore torinese Zamorani, da decenni specializzato in testi di cultura ebraica, collana che è giunta finora a cinque titoli, con la quale il Centro Internazionale di Studi Primo Levi prosegue l’impegno di ricerca e disseminazione iniziato nel 2009 a Torino con le annuali Lezioni Primo Levi. Se le Lezioni avevano un impianto monografico, la giovane collana “questo” apre in direzioni inattese, assumendo a partire dal numero 2 una struttura dialogica fra i problemi posti da Levi e gli sviluppi che si possono individuare nel mondo contemporaneo. Di fronte alle inedite sollecitazioni rivolte all’opera di Levi potremmo dire con Jauss che la struttura aperta dell’opera “permette interpretazioni sempre nuove (…) la nuova domanda sarà il risultato dell’interferenza del presente e del passato”. Posta una domanda come tema specifico, ogni volume raccoglie una pluralità di voci che lo analizzano e lo sviluppano.

I primi due volumi della collana si presentano col segno di tale polifonia e con un impianto storico: il numero 0 proponendo un antefatto, che delinea nel lungo periodo il profilo del mondo ebraico in Piemonte e soprattutto nel Cuneese da cui provenivano gli avi di Primo Levi: Una parete di sospetto. Presenze ebraiche e società piemontese, a cura di Fabio Levi; il numero 1, Primo Levi al plurale, a cura di Scarpa, analizza e contestualizza alcune fasi cruciali della vita di Levi. Entrambi raccolgono i contributi di due convegni organizzati nel 2019 per il centenario della nascita dello scrittore e mostrano l’impegno non celebrativo nei risultati delle ricerche presentate.

Lasciando sullo sfondo il retroterra fantastico della tradizione familiare descritto da Levi in Argon, Una parete di sospetto definisce un quadro generale che mette in luce l’origine coatta dei tipici mestieri ebraici (Renata Segre, Giancarlo Comino, Marco Francesco Dolermo, Luciano Allegra). Acquista rilievo pertanto, al di là degli stereotipi denigratori, la natura essenzialmente economica dei contrasti che alteravano la sostanziale coesistenza di cattolici ed ebrei nelle piccole comunità contadine, i cui fenomeni più rilevanti si ebbero ad Acqui nel 1799 e nel 1848. La copiosa documentazione proveniente da archivi pubblici e privati utilizzata ha contribuito non solo a rettificare luoghi comuni e a documentare l’infelice vicenda della banca Levi di Bene Vagienna (Matteo Succi), ma anche a mettere in luce particolari aspetti della cultura ebraica, come il legame fra privato e pubblico nella stipula del matrimonio, attestato dagli artistici Ketubbot (Sharon Reichel); o come il foglietto manoscritto proveniente dalla scola di Cuneo, che riporta un bilancio di minute spese sostenute a carico della Comunità mostrandone “la più umile quotidianità e, insieme, la fedeltà a vecchie consuetudini” (Alberto Cavaglion). Piccola realtà vissuta che la polifonia del volume riesce a ricreare, senza venir meno al rigore della ricerca. Primo Levi al plurale si apre con la dinamica Torino di Levi, luogo per lui di “sedentarietà e avventura” creativa e raccoglie i contributi di studiosi attivi in istituti, fondazioni e centri di ricerca torinesi, che con le loro specifiche competenze ne hanno messo a frutto le fonti per rispondere a nuovi interrogativi: cosa rappresentò la fase resistenziale per Levi, che fu tanto elusivo al riguardo? (Cesare Panizza, Claudio Panella).

E ancora, come e quando maturò nei primi tre autori italiani di libri sulla deportazione e lo sterminio – Bruno Vasari, Luciana Nissim, Primo Levi – l’assunzione del “dovere di testimoniare” che avrebbe connotato per tutta la vita l’intervento pubblico di due di loro? (Barbara Berruti e Victoria Musiolek); come si concilia l’essere testimone col senso di colpa dell’essere vivi? (Susanna Maruffi). Appartengono alla prospettiva etica del testimone gli interventi di Levi sull’antisemitismo e sul razzismo (Claudio Vercelli); ma anche la sua difesa controcorrente della fortunata serie Holocaust, snobbata dagli intellettuali italiani per ragioni non solo artistiche (Andrea Minuz). Risponde ad altre domande la contestualizzazione di due opere di Levi. Com’era l’Europa che attraversò nel suo tortuoso viaggio di ritorno? “Vecchia, maledetta e pazza” la definì egli stesso, rappresentandola poi in tutta la sua devastazione in La tregua. Leggendo il libro come un documento Enrico Miletto applica la sua competenza di studioso degli spostamenti di popolazioni alle folle di profughi disperati incontrati da Levi, affermando che l’autore aveva intravisto molti dei problemi di assistenza che si sarebbero manifestati drammaticamente nel dopoguerra. Insieme contestualizzazione e proiezione nel futuro troviamo nell’analisi di Dunia Astrologo e Giovanni Ferrero di La chiave a stella, e nello studio di Simone Ghelli sulla tardiva e parziale ricezione di Primo Levi nel mondo cattolico. Primo Levi al plurale affonda nel rapporto di Levi con Torino grazie al sostrato archivistico coerente e articolato utilizzato dagli studiosi. E può essere considerato parte della stessa coralità il numero 3 della collana, Le mani di Primo Levi. Due scritti di Anna Bravo, che ripropone in un esile libretto le acute pagine dedicate al “descrivere, mostrare raccontando” dalla pioniera della ricerca sulla deportazione dal Piemonte, scomparsa nel 2019, che aveva incluso Levi nella “piccola cerchia dei nostri padri e madri simboliche”. Con Le parole del dolore, numero due di questo, che inaugurava nel 2022 i Dialoghi Primo Levi, l’interferenza del presente e del passato fin qui percepita investe le tragedie del mondo contemporaneo. Sostituendo alla retorica del “mai più” l’invito “Ricordiamo, perché ancora accade” una pluralità di voci affronta il tema della tortura e dei traumi dei sopravvissuti alle guerre, alle violenze subite nei campi di detenzione e nei viaggi dall’Asia e dall’Europa verso l’Europa “sicura”. Anche in questo caso viene interrogata l’opera di Levi, presaga del possibile ripetersi di processi di deumanizzazione: il dolore, da lui definito il vero fondamento gnoseologico dell’esistenza e l’incapacità di esprimerlo a parole sono l’oggetto della prima parte del volume con gli interventi di Fabio Levi e di due psicologhe-psicanaliste del Centre Primo Levi di Parigi (Beatrice Patsalides Hofmann, Nathalie Dollez). Nella seconda parte interventi di antropologi, magistrati, giuristi, cooperatori, giornalisti, presentano i casi drammatici da loro trattati quotidianamente, registrando l’inadeguatezza dei loro strumenti riguardo alla specificità dell’oppressione coloniale e politica che richiede “una teoria rinnovata del trauma e un nuovo vocabolario per pensare i nodi psichici e politici della tortura, della violenza di Stato”, come Frantz Fanon e Jacques Derrida dimostrarono (Roberto Beneduce). Questo smilzo volume di 90 pagine è un osservatorio illuminante su una realtà di cui fatichiamo a renderci conto pienamente e su continuità e differenze rispetto a quella che trasmessaci da Levi.

Al quale si ritorna con Primo Levi LAB. A Torino, una casa, volume 4 di questo: è di Fabio Levi, presidente del Centro, ed espone il progetto ambizioso di trasformare gli incontri periodici reali e virtuali in un’attività permanente multidisciplinare, aperta ad un pubblico plurale nel senso più esteso, a cui sia offerto un luogo dove esplorare “i mondi di Primo Levi”: quello del testimone, certo, ma non solo; anche ogni aspetto della sua opera che “può essere paragonata a una sorta di costellazione”. Un LAB, un laboratorio, nel quale la polifonia emani da soggetti sempre nuovi, mossi dalla cura del presente e dall’urgenza di conoscerne le radici. Che sia Torino la sede di questa “casa” è un auspicio che corrisponde non solo all’“appartenenza” di Levi ma anche alla possibilità di interagire con altre “case” che, come si è visto, condividono un patrimonio di saperi e di interessi.

ersilia.alessandrone@gmail.com
E. Alessandrone Perona ha diretto per molti anni Istoreto