di Filippo Tuena
Inauguriamo in questo numero una nuova rubrica di Filippo Tuena: libere riflessioni sulla letteratura di uno scrittore per il quale la letteratura è libertà
La recente uscita di un libriccino di Alberto Savinio, Refusi (Scritti sull’errore tipografico, a cura di Antonio Castronuovo, pp. 64, € 8, Elliot, Roma 2025) mi offre il destro per il titolo di questa rubrichetta e per l’argomento del suo esordio. Vorrei subito sfatare un mito: il refuso nel libro che abbiamo appena pubblicato, e che immediatamente salta all’occhio appena lo si sfoglia, non è un ragnetto repellente che si nasconde tra le pagine, ma una sorta di firma, un qualcosa che rende riconoscibile quel libro e che gli evita d’essere paragonato alle persone noiose, a quelle che parlano, appunto, “come un libro stampato”. Per farla breve, non condivido l’opinione di Tommaso Landolfi che, a chi gli chiedeva se fosse soddisfatto del libro appena stampato, rispondeva con il suo inconfondibile understatement: “Sì, non c’è neppure un refuso”. Per quanto, conoscendo lo scrittore di Pico, quel suo commento potrebbe persino essere un’amara constatazione dell’assenza di quel ragnetto repellente nelle sue pagine di cui sentiva nostalgia.
Del resto chi la conosce converrà con la mia opinione, la più meravigliosa scena di seduzione della storia del cinema ruota attorno a un refuso. In The Big Sleep di Howard Hawks, Humphrey Bogart nei panni di Philip Marlowe entra nella libreria Acme dove incontra la meravigliosa bookseller Dorothy Malone e per testare la di lei sapienza libresca le chiede se possiede “l’edizione 1880 di Ben Hur, quella col refuso a pag. 116”. Malone, ancora con gli occhialetti e la capigliatura raccolta dietro la nuca risponde incuriosita: “Nessuno potrebbe, non esiste”. Stabilito un punto d’incontro, Bogart accenna a una bottiglia di whiskey, lei decide di chiudere il negozio per il resto del pomeriggio e prende un paio di bicchieri da un cassetto. Prima che il regista interrompa la scena, Malone si toglie gli occhiali e si scioglie i capelli. Fine.
Invano cercherete nel romanzo di Chandler tracce di questo momento erotico. È farina del sacco degli sceneggiatori William Faulkner, Leigh Brackett e Jules Furthman. Che dio li abbia in gloria.
Ma in questo breve elogio del refuso – elogio di parte perché essi costellano i miei libri – non posso non citare il più impacciato – così Virginia Woolf lo descrisse al primo incontro – tra gli scrittori del XX secolo. Chi direbbe che Thomas Stearns Eliot sia un dissennato seminatore di refusi? I suoi abiti eleganti, il suo aplomb da wasp della East Coast emigrato a buona ragione in Inghilterra, la sua proverbiale acribia nella scelta delle parole, non lo renderebbero il più falloso poeta a proposito di refusi. Eppure è così. Racconto solo un fatto. Tra i suoi primi libri inglesi vi è un volumetto di alta sartoria editoriale il cui titolo Ara vos prect derivava da un verso del Purgatorio, recitato dal poeta provenzale Daniel Arnaut. Ebbene, nel frontespizio la frase è storpiata in Ara vus prec. Quando qualcuno fece notare l’errore al poeta, questi rispose che si era rifatto alla sua edizione e che non poteva sapere che quell’edizione presentasse quel refuso. Ma ormai il danno era fatto. Così Eliot come un segugio o cane da tartufo andò in cerca delle copie distribuite nelle librerie e, a penna, corresse la “u” in “o”. Non serve dire che quelle copie corrette valgono adesso sul mercato antiquario una cifra esorbitante.
Farò anch’io così (e lo suggerisco a tutti gli scrittori). Lasciate volontariamente qualche refuso nel vostro libro e poi correggetelo a penna. Verrà un giorno che ne ricaverete la giusta mercede per il vostro sudato lavoro di scrittori.
F. Tuena è scrittore