Alessandro Pierozzi – Luce in una notte romana

Lotto Sessantanove, Testaccio, Roma

recensione di Claudio Panella

dal numero di maggio 2018

Alessandro Pierozzi
LUCE IN UNA NOTTE ROMANA
pp. 408, € 18,50
Piemme, Milano 2018
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Alessandro Pierozzi - Luce in una notte romanaCome recita l’Avvertenza con cui s’apre, Luce in una notte romana è da considerarsi opera di fantasia, “tuttavia, guerra e dopoguerra, serrate e occupazioni delle fabbriche, non sono invenzioni, magari lo fossero state”. Lo può ben dire l’esordiente Pierozzi – finalista settantacinquenne, con questo testo, al Premio Calvino 2016 – il quale è nato proprio durante il secondo conflitto mondiale nella Roma proletaria che descrive così vividamente ed è stato a lungo operaio e poi sindacalista; firmando, dopo la pensione, un romanzo in cui storia, dramma e commedia umana si dispiegano in una scrittura brillante e saporosa d’altri tempi. Il racconto è ambientato prevalentemente in un grande caseggiato popolare del quartiere romano di Testaccio, che l’autore colloca (omaggiando il regista di Roma città aperta) in via Rossellini numero due, lotto Sessantanove, abitato da famiglie in maggioranza nient’affatto benestanti. Pur coprendo un arco cronologico piuttosto ampio, la narrazione si svolge in particolare tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio dei Cinquanta, anni di miseria e di speranze in cui il boom economico era ancora lontano. Lo sfondo storico è però molto ben delineato anche quando si ritorna indietro nel tempo ai primi decenni del Novecento con il personaggio di Vergilio, reduce e mutilato della prima guerra mondiale.

A tenere insieme l’intreccio sono proprio le parabole esistenziali dei protagonisti, cui sono intitolate le sezioni in cui Luce in una notte romana è diviso, tutti personaggi di carne e di sangue che rimangono memorabili dopo la lettura, ma non gli unici di quello che è un vero romanzo corale. Infatti, la vitalità di Giovanna, protagonista assoluta della prima parte del testo la cui vicenda si conclude però nelle ultime pagine, è guastata dai maltrattamenti del marito Antonio Pellicciari, che in via Rossellini detestano in molti e per motivi fondati, e venerata dal bibliofilo Angelino Bersani, “occhialuto e timidissimo” al punto da farle la massima tenerezza. Vergilio (così ribattezzato fin dalla nascita dalla pronuncia romana, ma per l’anagrafe Virgilio), prima della grande guerra che lo rese invalido, mendicante e alcolista aveva fatto innamorare la prostituta Marisa ma si ritrova poi a vivere con la sorella Libera, operaia. Accanto a Rosalba ci sono il marito Romano detto Ercolino (perché prestante, ma di bassa statura), la sorella Rosamaria (“Le due Rose erano il fiore all’occhiello del lotto Sessantanove”) e poi Marcellino Soldini dalla Garbatella, detto Schizzo o anche Schizzetto, che lavora nella stessa fabbrica di Ercolino ma s’innamora perdutamente della bella Rosalba provocando in Romano quella che Arpino avrebbe definito ‘nuvola d’ira’. Anna, figlia di due insegnanti, ha dedicato la giovinezza al marito Primo, operaio socialista appassionato di lirica e Petrolini, ed “è stata scelta” da Giovanna quale sua confidente: solo a lei confessa d’essersi invaghita di Carlo Alberto Lanzetti detto Er Cicoria. Per non dire del marchettaro Giorgetto e della modista Armida Santabarbara, amata da una donna e poi sfigurata da un ignoto.

La coralità è inscritta nell’ambientazione stessa del libro, nella promiscuità di cortili e terrazze dove si incontrano e scontrano i personaggi femminili, nella fabbrica O.M.A., la storia della cui “serrata” – imposta dal padrone nel settembre 1949 – scorre carsicamente tra i capitoli e culmina nell’ultimo con i cinque mesi di occupazione dei lavoratori, l’entusiasmo iniziale, i risparmi erosi una settimana dopo l’altra. Pur non perdendo la sua vena sensuale, il romanzo si fa più schiettamente politico in un nuovo turbinio di caratteri e facendo emergere pagine neglette della storia dell’Italia operaia con il molto spazio lasciato da Pierozzi alla cospicua manodopera femminile rimasta in fabbrica dai tempi della guerra, rappresentata in Commissione interna dal personaggio di Lucia, di nascita borghese e ingegnere, a testimonianza di una composizione variegata della classe operaia non certo prevalente nel nostro immaginario, ma che sul palcoscenico dell’O.M.A. si muove con sfrontatezza romanesca e libertà di costumi inedite nei modelli, quali Pratolini, a cui l’autore parrebbe rifarsi. Se Pierozzi ci avesse preso gusto, come già il corregionale Pennacchi, questo potrebbe essere solo il primo capitolo di un’epica popolare ancora da scrivere.

claudio.panella@unito.it

C Panella è dottore di ricerca in letterature comparate